T.A.R. Campania Napoli Sez. II, Sent., 14-02-2011, n. 921 Decisione amministrativa Competenza e giurisdizione Rapporto di pubblico impiego Categoria, qualifica, mansioni

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con il ricorso specificato in epigrafe, il dott. S.P. premette:

a) di essere medico cardiochirurgo dal 1.11.2001, professore associato a tempo pieno presso la cattedra di cardiochirurgia della Università Federico II di Napoli, addetto allo svolgimento anche di attività assistenziale presso l’ area di cardiochirurgia del dipartimento clinico di medicina interna, geriatria, patologia cardiovascolare ed immunitaria della AOUP;

b) che all’inizio del 2004 la Azienda ha deciso,di concerto con il direttore dell’area prof. Spampanato, di procedere a lavori di ristrutturazione del reparto, lavori iniziati nel mese di giugno alle sale operatorie ed estesi nel corso del 2005 ai locali adibiti alle degenze ed agli studi medici;

c) che per effetto della ristrutturazione a giugno 2004 è stato escluso dalle cd. urgenze esterne il reparto di cardiochirurgia, la cui attività operatoria è stata limitata agli interventi a basso rischio chirurgico; che dal maggio 2005 anche tale ridotta attività è stata sospesa con la consegna del blocco operatorio alla ditta appaltatrice dei lavori; che nel dicembre 2005 egli è stato invitato a lasciare anche la stanza del IV piano ove era ubicato il suo studio, ed ospitato nella sala biblioteca al piano sottostante;

d) che tale situazione lo ha posto in una condizione di fatto di inattività forzata, per la sospensione di tutta la attività operatoria e diagnostica,

e) che anche la attività didattica è stata espletata in spazi ristretti, sporchi ed insalubri;

f) che il tutto è stato denunciato agli organi competenti,da ultimo con lettera del 20.7.2007, rimasta senza effetto non avendo ottenuto una adeguata sistemazione alternativa dalla Azienda;

g) che tale prolungata interruzione della attività di cardiochirurgia ha determinato il graduale isolamento del ricorrente dagli ambienti universitari e scientifici, con grave pregiudizio per la sua professionalità;

h) che l’impoverimento delle mansioni e la dequalificazione professionale integrano la violazione dell’art. 2087 c.c., perdurando il comportamento datoriale che non ha provveduto a reintegrarlo nella pienezza ed effettività delle sue funzioni;

tanto premesso, lamenta:

1- violazione dell’art. 2103 c.c.,dell’art. 52 D. Lgs 165/2001, artt. 1,2,4 e 35 Costituzione: per illegittimo demansionamento, lesione del diritto alle mansioni ed alla qualificazione professionale,

2- violazione art. 2087 c.c., art. 28 Costituzione, art. 2049 c.c., art. 32 Cost. ed eccesso di potere sotto vari profili, per mancata tutela della integrità fisica e psicologica del prestatore di lavoro, mancata adozione delle misure idonee a ripristinare l’esercizio delle mansioni proprie del profilo di appartenenza, il tutto riconducibile all’amministrazione datore di lavoro;

3- violazione art. 3 D.Lgs. 517/1999, art. 4 DPCM 24.5.2001 ed eccesso di potere sotto vari profili: dalle citate disposizioni si ricaverebbe il principio per cui tra le attribuzioni dei dirigenti rientra, oltre a quella derivante dalle specifiche competenze professionali, anche quella di direzione ed organizzazione della struttura, come esplicitato dall’art. 15 comma VI D. lgs 502/1992.

Instauratosi ritualmente il contraddittorio, si è costituita in giudizio l’Azienda ospedaliera Universitària contestando genericamente la fondatezza della domanda.

Si è costituita altresì la Università degli Studi Federico II di Napoli, sollevando eccezione di difetto di legittimazione passiva, e contestando la fondatezza della domanda.

Sono stati disposti incombenti istruttori, eseguiti con il deposito di relazione ed allegati della Azienda ospedaliera Universitària in data 25 giugno 2010.

Alla pubblica udienza del 25.11. 2010 il ricorso è stato ritenuto in decisione.
Motivi della decisione

Va preliminarmente confutata l’ eccezione di difetto di giurisdizione del TAR adito, qualora voglia attribuirsi a quella proposta la natura di azione extracontrattuale. Invero, è principio consolidato in giurisprudenza che sussiste la giurisdizione del giudice ordinario solo qualora il dipendente faccia valere il comportamento vessatorio di colleghi o superiori quale titolo giustificativo della pretesa; mentre va affermata la giurisdizione del giudice amministrativo nel caso in cui la lesione sia derivante da una violazione del rapporto contrattuale, fondandosi l’azione proposta su uno specifico inadempimento da parte dell’amministrazione.

Sul tipo di responsabilità che deriva da situazioni come quella in esame è invero possibile la concorrenza tra responsabilità contrattuale ed extracontrattuale. Quest’ultima sussiste, a condizione che ci sia dolo o colpa in chi la commette, ed un conseguente danno. E’ peraltro possibile che l’azione ingiusta sia realizzata in un contesto contrattuale, cioè un rapporto tra parti legate da vincolo contrattuale:l’inadempimento contrattuale determina, infatti, il diritto al risarcimento del danno ( art. 1453 c.c. ed art. 1218 c.c.).

Nel caso di cumulo di responsabilità contrattuale ed extracontrattuale, la giurisdizione spetta al giudice amministrativo. (T.A.R. Abruzzo- Pescara 23 marzo 2007 n. 339,Cass.civ., SS.UU., 27.2.2002, n.2882; 29.1.2002, n.1147; TAR Liguria, Genova, sez.I, 12.3.2003 TAR Lazio, sez. III bis, 25.6.2004, n.6254).

Il cumulo è possibile quando la lesione lamentata, attinente all’integrità psicofisica, derivi dalla situazione di disagio e dal comportamento di superiori e quando si chieda il risarcimento del danno biologico, che, secondo la Corte Costituzionale (sent. 14.7.1986, n.184) trova la sua disciplina nell’art. 2043 c.c., in relazione all’art. 32 cost., sicché la richiesta risarcitoria di tale tipo di danno qualifica la domanda come extracontrattuale.

Ove peraltro si sostenga contestualmente la violazione di doveri legali che regolano il rapporto, deducendo l’inadempimento da parte dell’Amministrazione dei principi di buona fede e correttezza, nonché la violazione dei doveri di imparzialità e buona amministrazione, posta in essere con il proprio comportamento omissivo o commissivo, venendo meno all’obbligo specifico, di cui all’art. 2087 c.c., che obbliga il datore di lavoro ad adottare tutte le misure necessarie a tutelare l’integrità psicofisica e morale del lavoratore, si è in presenza della responsabilità contrattuale.

Le due figure di responsabilità, pertanto, in tema di mobbing, possono, in situazioni peculiari, coesistere e concorrere, ove il rapporto di lavoro non ha costituito la mera occasione per la condotta vessatoria ed ostile di colleghi o superiori gerarchici, ma ha visto anche la configurazione di una culpa in vigilando da parte dell’amministrazione, che, consapevole di tale condotta, nulla ha posto in essere perché cessasse il lamentato atteggiamento di ostilità.

Ne discende che rimane fermo il potere del giudice amministrativo adito di verificare se le modalità in cui si è concretizzata tale organizzazione siano state tali da arrecare danno ad un singolo prestatore, per effetto dell’uso distorto o improprio delle stesse.

Giova al riguardo richiamare anche le pronunce delle SS.UU. della Corte di Cassazione (ordinanza n. 15660 del 27.7.2005; 5078/2005 e 6745/2005), ove si afferma che il risarcimento del danno può essere disposto dal giudice amministrativo (purchè ricorra la giurisdizione esclusiva o anche quella di sola legittimità) anche nel caso in cui la parte interessata si limiti ad invocare la sola tutela risarcitoria.

Tanto deve ritenersi configurabile nella fattispecie in esame, in cui il ricorrente fa valere la lesione del proprio diritto alla esplicazione delle mansioni di cui è titolare in virtù di legge,sì che è agevole pervenire alla conclusione della autonoma proponibilità dell’azione risarcitoria.

Superate le questioni in punto di giurisdizione, osserva il Collegio che la domanda è infondata nel merito e va respinta.

Gli elementi di fatto dai quali il ricorrente deduce potersi rilevare gli estremi del demansionamento posto in essere ai suoi danni si riconducono sostanzialmente alle modalità ed alla durata con cui è stato deciso di procedere a lavori di ristrutturazione del reparto cui è afferente la figura professionale dello stesso, ed alla programmazione medio tempore della attività assistenziale, con particolare riguardo a quella operatoria di cardiochirurgo.

Il Collegio ha disposto incombenti istruttori, onerando il Direttore amministrativo della Azienda ospedaliera Universitària della Università Federico II di Napoli di produrre in giudizio articolata relazione sui fatti di causa.

La relazione de qua, depositata in data 25 giugno 2010, in riferimento ai quesiti posti, evidenzia:

a) le attività chirurgiche presso l’area funzionale di cardiochirurgia sono state dapprima limitate agli interventi a basso rischio chirurgico (dal settembre 2004) e poi interrotte, anche per gli interventi di urgenza, nel luglio 2005 per lavori di ristrutturazione delle sale operatorie;

sono invece continuate le attività di consulenza e reperibilità dei dirigenti medici, come è stato comprovato attraverso il deposito di copia degli ordini di servizio mensili. A tal fine sono stati messi a disposizione del personale medico, tra cui anche il ricorrente, due locali al piano terra per le attività ambulatoriali (cui si aggiungevano sino al luglio 2005 i locali al quarto e quinto piano dell’edificio n. 2).

Per le attività di day hospital ed ambulatoriali è stato utilizzato personale paramedico centralizzato afferente al Dipartimento assistenziale, essendo stato trasferito il personale di afferenza ad altre Aree funzionali della Azienda.

Quanto alla attività operatoria, di fatto nel primo semestre del 20101, per effetto delle procedure di consegna del blocco operatorio alla ditta appaltatrice dei lavori, non è stato effettuato alcun intervento chirurgico, e le sale operatorie sono rimaste chiuse a tutto il dicembre 2007, mese in cui sono riprese le attività, come da espressa attestazione della direzione amministrativa, corroborata dalla allegata nota della direzione sanitaria del 7.12.2007 prot. 19351.

Sin qui i fatti di causa, sostanzialmente pacifici tra le parti.

In relazione alla specifica posizione del prof. S. risulta che il personale sanitario medico dell’Area funzionale è stato invitato sin dal maggio 2005 a proseguire su scelta volontaria l’attività di cardiochirurgia ed emodinamica presso altre strutture cardiochirugiche del territorio, o strutture assistenziali nell’ambito della Azienda, in posizione di comando a tempo determinato (ferma restando la attività ambulatoriale e di consulenza presso la Azienda).

Su quattordici unità di dirigenti medici, la metà ha fatto ricorso al comando presso sedi esterne,mentre non risulta che il prof. S. abbia esercitato tale facoltà.

Pertanto, se è obiettivamente rispondente lal vero la circostanza dell’azzeramento della attività operatoria nel periodo in contestazione (passandosi per il prof.S. da 41 presenze nella equipe cardiochirurgica nei trenta mesi precedenti a zero interventi nel periodo de quo), la stessa non può essere letta nel senso prospettato da parte ricorrente.

Il ricorrente fa valere la violazione del proprio diritto alla esplicazione delle mansioni.

Stabilisce al riguardo l’art. 52 d.lgs 165/2001: "il prestatore di lavoro deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto o alle mansioni considerate equivalenti nell’ambito della classificazione professionale prevista dai contratti collettivi, ovvero a quelle corrispondenti alla qualifica superiore che abbia successivamente acquisito per effetto dello sviluppo professionale di procedure concorsuali o selettive. "

Trattandosi di dequalificazione professionale non solo viene in rilievo l’omologo dell’art. 2103 c.c. nel rapporto di impiego pubblico,ma soprattutto soccorre la giurisprudenza maturata per la sua interpretazione e applicazione.

Aderendo ad una consolidata giurisprudenza della S.C., va affermato che l’illecito non è escluso né dalla identità del livello di inquadramento del dipendente, né dal mantenimento del trattamento economico corrispondente alla qualifica rivestita formalmente, stante il diritto tutelato del lavoratore alla realizzazione delle proprie aspettative nell’ambito dell’attività lavorativa (cfr. Cassazione 13.8.1991 n. 8835; 14.11.2001 n. 14199): si ha dequalificazione in sostanza anche quando il datore di lavoro paga il dipendente, ma non lo fa lavorare.

Punto normativo diretto di riferimento è l’art. 2103 c.c., che sancisce il diritto del lavoratore allo svolgimento delle mansioni per cui è stato assunto, con divieto di adibizione a mansioni inferiori. Da tale norma discende il principio per cui il diritto del datore di lavoro ad attuare modifiche organizzative deve essere esercitato in modo da non ledere il corrispondente diritto del prestatore all’equivalenza delle mansioni svolte di cui all’art. 2103 c.c.: diversamente ravvisandosi un comportamento illecito nella inoperosità, depauperamento di mansioni, ed emarginazione accompagnate al conseguente svilimento della personalità.

La peculiarità dell’interesse allo svolgimento concreto di tutte le mansioni inerenti la qualifica rivestita è espressione per la Corte di Cassazione di un diritto fondamentale alla esplicazione della personalità nel luogo di lavoro, coinvolgendo un valore superiore, sintetizzato nel diritto alla professionalità.

Di qui l’affermazione (Cass. Sez. lavoro 2.11.2001 n. 13580; 12.11.2002 n. 15868) che, oltre ad integrare violazione dell’art. 2103 c.c., la dequalificazione ridonda in lesione di tale diritto fondamentale. Ed ancora va sottolineato come tale giurisprudenza enfatizza la rilevanza dell’obbligo datoriale sancito dall’art. 2103 c.c., cui corrisponde un diritto del lavoratore, dedotto non solo dal tenore letterale della norma, ma dalla stessa funzione del lavoro, che costituisce un mezzo prima ancora che di sostentamento e guadagno, di estrinsecazione della personalità del lavoratore ai sensi degli artt. 2 comma 1, 4 comma 1 e 35 comma 1 Costituzione (Cass. sez, lavoro 1.6.2002 n. 7967). Siffatta posizione da interesse si trasforma in diritto soggettivo con la stipula del contratto di lavoro che prevede una determinata prestazione; pertanto la lesione della posizione dedotta in contratto costituisce inadempimento contrattuale del datore, fonte di danno risarcibile.

Affinché tale dequalificazione sia rilevante in termini di inadempimento del datore di lavoro, occorre tuttavia che la stessa si inserisca in un contesto di grave alterazione del rapporto sinallagmatico, evincibile da indici rivelatori quali la disparità di trattamento rispetto ad altre situazioni, ovvero la mancata ricerca di soluzioni alternative. In tal caso infatti, la inoperosità, il depauperamento di mansioni, e l’ emarginazione accompagnate al conseguente svilimento della personalità sono direttamente riferibili alla condotta del datore di lavoro, attraverso la continuità del nesso causale.

Il dato rilevante nel caso in esame è stabilire se si è in presenza di un demansionamento significativo.

In sostanza, il Collegio ha richiesto una serie di elementi comparativi per verificare se e come per gli altri medici dell’area funzionale in oggetto il sistema organizzativo prescelto abbia operato.

Nella sostanza, alla luce della istruttoria espletata, ritiene il Collegio di non poter ravvisare gli elementi tipici del demansionamento, mancando la pluralità delle condotte, unificate dalla loro sistematicità; e la direzione delle stesse nei confronti di un unico prestatore di lavoro.

Invero, detta riduzione delle mansioni risponde da un lato a esigenze obiettive e predeterminate, e dall’altro ad una condizione generalizzata di tutto il personale medico dell’area funzionale, al quale sono state offerte delle alternative di prosecuzione dell’attività operatoria presso altre strutture.

Dall’insieme degli elementi acquisiti emerge che le difficoltà nella riapertura delle sale operatorie non sono comprovate in termini di univoco indirizzo avverso la persona del ricorrente.

Va pertanto rilevato che, per effetto di una determinata organizzazione del lavoro, la obiettiva dequalificazione della professionalità del ricorrente, non è corredata dei necessari riscontri, affiancandosi ad una riduzione in senso assoluto della attività affidata al ricorrente nell’arco di tempo in cui è lamentata la condotta illecita, una eguale riduzione in senso relativo, prendendo in esame i dati afferenti altri colleghi.

Peraltro l’obiettiva impossibilità di esercitare le mansioni chirurgiche presso l’area funzionale di appartenenza è stata compensata con la possibilità di autorizzazione di comandi presso altre strutture, facoltà della quale non risulta che il ricorrente abbia richiesto di avvalersi.

Il Collegio ritiene necessarie alcune considerazioni in ordine alla sussistenza in termini oggettivi dell’illecito, anche qualora lo stesso venga a qualificarsi come azione contrattuale.

Sul tipo di responsabilità che deriva da situazioni come quella in esame è possibile la concorrenza tra responsabilità contrattuale ed extracontrattuale. Quest’ultima sussiste, a condizione che ci sia dolo o colpa in chi la commette, ed un conseguente danno. E’ peraltro possibile che l’azione ingiusta sia realizzata in un contesto contrattuale, cioè un rapporto tra parti legate da vincolo contrattuale:l’inadempimento contrattuale determina, infatti, il diritto al risarcimento del danno ( art. 1453 c.c. ed art. 1218 c.c.).

Per altro la coesistenza tra il profilo di responsabilità extracontrattuale e contrattuale costituisce un vantaggio per il danneggiato in quanto il mancato rispetto della regola contrattuale (come l’art. 2087 c.c. per il rapporto di lavoro) potrà costituire il profilo di colpa richiesto per la realizzazione della fattispecie ex art. 2043 c.c. e, conseguentemente, esonerare dalla ricerca dell’elemento psicologico.

Tuttavia anche la responsabilità contrattuale soggiace alla ricerca della imputabilità dell’inadempimento, per cui il contraete rimane esonerato qualora provi di non aver potuto adempiere per causa a lui non imputabile.

Nella fattispecie in esame va rilevato che il quadro complessivo risultante dalle emergenze istruttorie esclude l’elemento oggettivo dell’illecito demansionamento; ma in ogni caso non potrebbe dirsi sussistente una imputabilità dell’inadempimento, avendo l’Azienda fornito la prova della inevitabilità della interruzione della attività operatoria, in ragione delle apprezzabili esigenze superiori di svolgimento del servizio operatorio in strutture dotate degli elementi di sicurezza ed adeguatezza tecnologica da assicurare attraverso i lavori di ristrutturazione ed adeguamento del complesso opertraorio.

Non può pertanto ravvisarsi un uso distorto o improprio delle misure organizzative da parte del datore di lavoro, né una condotta vessatoria ed ostile di colleghi o superiori gerarchici, e comunque non sussiste la lamentata violazione del cd. obbligo di protezione gravante sul datore di lavoro.

La domanda va in definitiva respinta.

Sussistono giusti motivi per compensare integralmente le spese di lite tra le parti, in considerazione della natura delle posizioni soggettive azionate.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania (Sezione Seconda)

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto,respinge la domanda e compensa integralmente le spese di lite tra le parti.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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