Cass. civ. Sez. III, Sent., 31-03-2011, n. 7459 prescrizione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con atto 12 aprile 1994 C.S. ha convenuto in giudizio, innanzi al tribunale di Reggio Calabria, la AXA Compagnia di Assicurazione, chiedendone la condanna al risarcimento dei danni subiti a seguito dell’incendio dalla vettura Polo (OMISSIS), atteso che la convenuta non aveva provveduto al risarcimento nonostante la tempestiva denunzia del sinistro e la produzione della richiesta documentazione.

Costituitasi in giudizio l’AXA ha eccepito, in limine, la prescrizione del diritto azionato, ai sensi dell’art. 2952 c.c., comma 2, per essere trascorso oltre un anno senza validi atti interruttivi della prescrizione stessa da parte del danneggiato.

Svoltasi l’istruttoria del caso l’adito tribunale, con sentenza 31 luglio 2000 ha rigettato la domanda, attesa la intervenuta prescrizione del diritto azionato dall’attore, compensate le spese di lite.

Gravata tale pronunzia in via principale dal C. e, in via incidentale, dall’AXA s.p.a. la Corte di appello di Reggio Calabria con sentenza 21 gennaio 2008 ha rigettato sia l’appello principale che quello incidentale, compensate tra le parti le spese di lite del grado.

Per la cassazione di tale ultima pronunzia ha proposto ricorso, affidato a 5 motivi, illustrato da memoria, C.S..

Resiste con controricorso l’AXA Assicurazioni s.p.a..
Motivi della decisione

1. Notificato il ricorso il 4 marzo 2009 parte controricorrente ha notificato il proprio controricorso unicamente il 20 aprile 2009 e, pertanto, oltre i termini di cui all’art. 370 c.p.c..

Deve, pertanto, dichiararsene la inammissibilità.

La circostanza, peraltro – alla luce di una giurisprudenza decisamente maggioritaria di questa Corte regolatrice – non incide sul diritto del difensore nominato (con procura a margine del controricorso) alla discussione orale (cfr. Cass. 17 aprile 1998, n. 3915, nonchè Cass., sez. un., 12 marzo 2003, n. 3602).

2. L’appello principale – hanno evidenziato i giudici del merito – è infondato e, pertanto, va respinto.

Come correttamente ritenuto dal giudice di primo grado – hanno ancora evidenziato quei giudici – l’eccezione di prescrizione del diritto del C. ai sensi dell’art. 2952 c.c., è fondata.

In particolare:

– non essendo stata pattuita una clausola relativa alla sospensione dell’ esercizio del diritto (e, correlativamente, del decorso del termine prescrizionale) da parte dell’assicurato, deve ritenersi applicabile la disciplina codicistica;

– l’invocata lettera inviata dall’odierna appellata in data 26 ottobre 1992 non può essere qualificata come atto di riconoscimento del debito – valevole ai sensi dell’art. 2944 c.c., quale atto interruttivo del decorso del termine prescrizionale – in quanto il contenuto della missiva in questione non fa ritenere in alcun modo la volontà univoca della compagnia assicuratrice di riconoscere il credito del C., trattandosi di una mera richiesta di invio di documentazione;

– nessun altro documento, avente valore di atto interruttivo del termine prescrizionale, risulta essere stato prodotto dall’attore, di data anteriore a quella, tardivo, del 24 settembre 1993;

– non hanno alcun rilievo le dichiarazione rese dai testimoni escussi poichè tali dichiarazioni non possono provare nè l’esistenza di una pattuizione derogativa delle condizioni della polizza sottoscritta (in quanto non aventi la forma scritta richiesta) nè una volontà di riconoscere un debito in favore del C.;

– la circostanza che la odierna appellata abbia richiesto tutta una serie di documenti al fine di valutare la indennizzabilità del danno subito dal C. non poteva mai esonerare quest’ultimo dal formulare una richiesta formale, valida ai fini interruttivi del termine annuale di cui all’art. 2952 c.c., comma 2. 3. Con il primo motivo il ricorrente censura la sentenza impugnata denunziando "violazione e falsa applicazione degli artt. 2935 e 2952 c.c.", assumendo che la controparte con la richiesta di nuovi documenti formulata con nota 26 ottobre 1992 ha posto un impedimento alla nascita del diritto al risarcimento del danno in capo a esso concludente, avendo, in sostanza, la compagnia di assicurazione, esercitato la facoltà prevista dall’art. 1, comma 2, delle condizioni generali di polizza.

Formula, al riguardo, il ricorrente, ai sensi dell’ art. 366 bis c.p.c., il seguente quesito di diritto: "dica l’Ecc.ma Corte di Cassazione se – come nel caso di specie – qualora lo Compagnia di Assicurazioni pretenda lo certificazione di chiusa inchiesta, detta Compagnia elevi tale richiesta, nella sua autonomia, a condizione sospensiva del diritto all’indennizzo, con lo conseguenza che il termine di prescrizione decorre solo dal momento dell’acquisizione da parte della Compagnia di tale provvedimento, configurandosi solo così l’insorgenza del diritto all’indennizzo, che può, quindi, esser fatto valere solo da quel momento e, pertanto, il Giudice viola gli artt. 2935 e 2952 c.c., nel far decorrere lo prescrizione annuale dalla data dell’evento dannoso e non dall’acquisizione del provvedimento di archiviazione dell’inchiesta penale, richiesto dalla Compagnia di assicurazione onde procedere alla liquidazione del danno". 4. Il motivo è, per un verso, inammissibile, per altro, manifestamente infondato.

4.1. Quanto al primo profilo, inammissibilità, si osserva che giusta quanto assolutamente pacifico presso una giurisprudenza più che consolidata di questa Corte regolatrice – e da cui totalmente e senza alcuna motivazione prescinde parte ricorrente – nel giudizio di cassazione è preclusa alle parti la prospettazione di nuove questioni che postulino indagini ed accertamenti di fatto non compiuti dal giudice del merito, a meno che tali questioni non abbiano formato oggetto di gravame o di contestazione nel giudizio di appello (Cass. 26 febbraio 2007,n. 4391; Cass. 2 febbraio 2006, n. 2270; Cass. 12 luglio 2005, nn. 14599 e 14590, tra le altre).

Contemporaneamente, non può tacersi che ove una determinata questione giuridica – che implichi un accertamento di fatto – non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il ricorrente che proponga la suddetta questione in sede di legittimità, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità, per novità della censura, ha l’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione innanzi al giudice di merito, ma anche di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dare modo alla Corte di cassazione di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la questione stessa (Cass. 5 aprile 2004, n. 6656).

Pacifico quanto precede si osserva che nella specie i giudici del merito;

– da un lato, hanno accertato, in linea di fatto, che le parti non avevano pattuito alcuna clausola relativa alla sospensione dell’esercizio del diritto e, correlativamente, del decorso del termine prescrizionale da parte dell’assicurato;

– dall’altro – in relazione alle difese sviluppate in sede di merito dall’odierno ricorrente, hanno interpretato la lettera 26 ottobre 1992 affermando che la stessa "non può essere qualificata come atto interruttivo del decorso del termine prescrizionale".

Certo quanto sopra è palese che il motivo in esame è inammissibile, sotto molteplici profili.

In primis si osserva che con tale motivo non è censurata la ratio decidendi che sorregge la decisione impugnata, allorchè ha ritenuto irrilevante, al fine del decidere, il contenuto della lettera 26 ottobre 1992.

In secondo luogo, anche a prescindere da quanto precede, il motivo è palesemente inammissibile nella parte in cui invoca, per la prima volta in sede di legittimità, che in realtà esisteva nel caso di specie una clausola sospensiva del diritto all’indennizzo.

Infatti:

– non risulta che in sede di merito l’odierno ricorrente abbia mai invocato che l’art. 7 comma 2 delle condizioni di polizza contenesse una "condizione sospensiva" quanto al diritto all’indennizzo e – pertanto – non può invocare questa per la prima volta in sede di legittimità (a prescindere, comunque, dal considerare che la questione, sebbene adombrata nella parte espositiva del motivo, è taciuta totalmente nel quesito conclusivo di cui all’art. 366 bis c.p.c., da cui un ulteriore profilo di inammissibilità della censura);

– costituisce, comunque, questione nuova – preclusa ove prospettata per la prima volta in sede di legittimità – quella sollevata con il motivo in esame allorchè si invoca che le parti, successivamente al verificarsi dell’evento coperto da assicurazione cioè l’incendio della vettura avrebbero stipulato una nuova clausola contrattuale.

4.2. Anche a prescindere da quanto precede – comunque – non può tacersi, nell’ordine:

– da un lato, che la "condizione sospensiva" cui fa riferimento Cass. 4 aprile 2003, n. 5322, nonchè la sentenza impugnata, è quella convenuta – dalle parti – nel contratto di assicurazione al momento della sua sottoscrizione e non – certamente – come pretende ora la difesa del ricorrente, un accordo successivo all’evento assicurato;

– dall’altro, che il contratto di assicurazione deve essere provato per iscritto e nella specie non vi è alcuna prova di un accordo scritto – intervenuto tra le parti – recante una condizione sospensiva nei termini invocati dal ricorrente (tale non potendosi – palesemente – qualificare la lettera 26 ottobre 1992, non sottoscritta, dal C.).

5. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta "violazione e falsa applicazione degli artt. 2944 e 2952 c.c.", atteso che essa non fa riferimento alcuno alle trattative (costituite dalla corrispondenza intercorsa tra le parti, nonchè dall’offerta effettuata) certamente idonee, secondo la giurisprudenza del S.C. a interrompere il termine prescrizionale.

Formula, al riguardo, ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c., il ricorrente il seguente quesito di diritto: "Dica l’Ecc.ma Corte di Cassazione se – come nel caso di specie in cui si sono svolte trattative tra assicurato e assicuratore e quest’ultimo ha formulato un’offerta precisa, sia pur non accettata perchè notevolmente inferiore al dovuto – il Giudice incorra nella violazione degli artt. 2944 e 2952 c.c., quando applichi l’intervenuta prescrizione senza tener conto che le trattative di bonario componimento della vertenza inte-grano gli estremi dell’ atto idoneo ad interrompere la prescrizione ex art. 2944 c.c., tutte le volte in cui, dal comportamento di una delle parti, risulti il riconoscimento dell’altrui diritto di credito, essendo dipesa la mancata transazione da questioni inerenti alla liquidazione del danno e non anche alla esistenza del diritto". 6. Il motivo è, per alcuni versi, inammissibile, per altri, manifestamente infondato.

Infatti:

– nelle lettere AXA riportate nel motivo non risulta alcuna offerta di bonario componimento della controversia proveniente dalla AXA (non potendosi, palesemente, qualificare tali le affermazioni unilaterali provenienti dal C.);

– il quesito formulato, pertanto, non appare conforme al modello di cui all’art. 366 bis c.p.c., dando lo stesso per "accertato" ciò che invece non solo è ancora controverso, ma – al limite – escluso dalla sentenza impugnata;

– come assolutamente pacifico tutta la corrispondenza invocata è successiva alla perfezionatasi prescrizione del diritto azionato dal C., sì, che dalla stessa – come puntualmente evidenziato dalla sentenza impugnata – non possono trarsi elementi di sorta per giungere a una diversa soluzione della controversia;

– quanto precede trova non equivoca conferma nella stessa descrizione della corrispondenza intervenuta tra le parti, contenuta nel corpo del secondo motivo, ove, dopo la lettera dell’AXA 26 ottobre 1992 che – come accertato dai giudici a quibus e oramai incontestabile, a seguito del mancato accoglimento del primo motivo – non può essere qualificata come atto di riconoscimento di debito, valevole ai sensi dell’art. 2944 c.c. – si precisa che l’unica lettera dell’AXA è del 2 febbraio 1994 nella quale si precisa, testualmente, "vi significhiamo che Ns malgrado, non possiamo aderire alla Vs richiesta stante il fatto che il sinistro è prescritto. La prescrizione vi era ben nota dal momento che già in data 29 settembre 1993 …". 7. Con il terzo motivo il ricorrente denunzia, ancora, "violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c." atteso che la corte del merito si è fermata all’esame della sola lettera del 26 ottobre 1992, senza valutare tutto il resto della documentazione prodotta e allegata al fascicolo di primo grado (lettere di esso C. 24 settembre 1993, 7 gennaio 1994 e 10 febbraio 1994, dell’AXA del 2 febbraio 1994 e verbali di prova dell’udienza del 16 gennaio 1995).

Formula, al riguardo, ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c., il seguente quesito di diritto: "dica l’Ecc.ma Corte di Cassazione se – come nel caso di specie – ove II ricorrente abbia fornito prove precise in ordine alla sussistenza di una condizione sospensiva del diritto all’indennizzo nonchè prove relative all’intervenuto riconoscimento del debito da parte della Compagnia di Assicurazione, e dette prove non siano state valutate dal Giudice di merito, esso violi le norme di cui agli artt. 115 e 116 c.p.c., poichè, la loro valutazione avrebbe comportato l’accoglimento della domanda con declaratoria di mancato decorso del termine prescrizionale". 8. Il motivo è inammissibile.

Sotto diversi, concorrenti, profili.

8.1. In tema di ricorso per cassazione, nel vigore dell’art. 366 bis c.p.c., ognuno dei quesiti formulati per ciascun motivo di ricorso deve consentire la individuazione del principio di diritto censurato posto dal giudice a quo alla base del provvedimento impugnato e, correlativamente, del principio, diverso da quello, la cui auspicata applicazione a opera della Corte di Cassazione possa condurre a una decisione di segno inverso.

Ove tale articolazione logico – giuridica mancasse, infatti, il quesito si risolverebbe in una astratta petizione di principio, inidonea sia a evidenziare il nesso tra la fattispecie e il principio di diritto che si chiede venga affermato, sia a agevolare la successiva enunciazione di tale principio a opera della Corte, in funzione nomofilattica.

Il quesito, pertanto, non può consistere in una mera richiesta di accoglimento del motivo o nell’ interpello alla Corte in ordine alla fondatezza della censura come illustrata nello svolgimento dello stesso motivo o nella richiesta di affermazione della astratta applicabilità di una norma, ma deve costituire la chiave di lettura delle ragioni esposte e porre la medesima Corte in condizione di rispondere a esso con la enunciazione di una regula iuris che sia, in quanto tale, suscettibile di ricevere applicazione in casi ulteriori rispetto a quello sottoposto all’esame del giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata (Cass., sez. un., 24 dicembre 2009, n. 27368).

Non controverso quanto precede è palese la inammissibilità del motivo in esame stante la assoluta inadeguatezza del quesito che lo conclude.

Invero, le circostanze – date per pacifiche dal ricorrente – che il ricorrente abbia fornito prove precise in ordine alla sussistenza di una condizione sospensiva del diritto all’indennizzo, nonchè prove relative all’intervenuto riconoscimento del debito da parte della Compagnia di Assicurazione, non solo non sono affatto "pacifiche" ma escluse in radice dalla sentenza impugnata e dal rigetto dei precedenti motivi di ricorso.

8.2. Anche a prescindere da quanto precede, comunque, si osserva che il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di una erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e, quindi, implica necessariamente un problema interpretativo della stessa (da cui la funzione di assicurare la uniforme interpretazione della legge assegnata dalla Corte di cassazione).

Viceversa, la allegazione di una erronea ricognizione della fattispecie concreta, a mezzo delle risultanze di causa, è esterna alla esatta interpretazione della norme di legge e impinge nella tipica valutazione del giudice del merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione.

Lo scrimine tra l’una e l’altra ipotesi – violazione di legge in senso proprio a causa della erronea ricognizione della astratta fattispecie normativa, ovvero erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta – è segnato, in modo evidente, che solo questa ultima censura e non anche la prima è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa (In termini, Cass. 5 giugno 2007, n. 13066, nonchè Cass. 20 novembre 2006, n. 24607, specie in motivazione; Cass. 11 agosto 2004, n. 15499, tra le tantissime).

Pacifico quanto precede è agevole osservare che nella specie parte ricorrente pur invocando che i giudici del merito, in tesi, hanno malamente interpretato le molteplici disposizioni di legge indicate nella intestazione del motivo ( artt. 115 e 116 c.p.c.), in realtà, si limita a censurare la interpretazione data, dai giudici del merito, delle risultanze di causa, interpretazione a parere del ricorrente inadeguata, esaurendosi la censura nella sollecitazione – contra legem e cercando di superare quelli che sono i limiti del giudizio di cassazione – di un nuovo giudizio di merito su quelle stesse risultanze (ossia perchè si ritenga – in contrasto con gli accertamenti, in fatto, compiuti dalla sentenza impugnata – da un lato, che le prove in atti sono univoche nel senso che le parti hanno previsto una condizione sospensiva del diritto all’indennizzo, dall’altro, che è stata data da esso concludente la prova dell’intervenuto riconoscimento del debito da parte della Compagnia di Assicurazione).

9. Con il quarto motivo il ricorrente lamenta "contraddittoria motivazione circa controverso e decisivo per il giudizio".

Ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c., precisa il ricorrente, che "la motivazione è contraddittoria laddove i Giudici d’appello, nell’argomentare in ordine alla sussistenza o meno di una condizione sospensiva, dopo aver ritenuto insussistente nel caso di specie una tale clausola, proseguono esponendo ragioni sul punto che, invece, riguardano lo sussistenza o meno di atti interruttivi della prescrizione, come un riconoscimento di debito". 10. Il motivo è manifestamente infondato.

In termini opposti, rispetto a quanto suppone la difesa di parte ricorrente, giusta quanto assolutamente incontroverso, presso una giurisprudenza più che consolidata di questa Corte regolatrice (da cui ancora una volta senza alcuna motivazione totalmente prescinde parte ricorrente) il vizio di contraddittoria motivazione presuppone che le ragioni poste a fondamento della decisione risultino sostanzialmente contrastanti in guisa da elidersi a vicenda e da non consentire l’individuazione della ratio decidendi, e cioè l’identificazione del procedimento logico – giuridico posto a base della decisione adottata (Cass. 3 agosto 2007, n. 17076).

In particolare, qualora si deduca – come nella specie – che la sentenza oggetto di ricorso per cassazione è censurabile sotto il profilo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, per essere sorretta da una contraddittoria motivazione è onere del ricorrente, a pena di inammissibilità, trascrivere, nel ricorso, le espressioni tra loro contraddittorie ossia inconciliabili contenute nella parte motiva della sentenza impugnata che si elidono a vicenda e non permettono, di conseguenza, di comprendere quale sia la ratio decidendi che sorregge la pronunzia stessa.

Pacifico quanto sopra deve decisamente escludersi che nella specie sussista l’invocato vizio.

I giudici del merito, in particolare, dopo avere escluso che le parti abbiano – con clausola espressa, convenuta al momento della stipulazione del contratto – previsto una "clausola relativa alla sospensione dell’esercizio del diritto e, correlativamente, del decorso del termine prescrizionale" con conseguente necessità di fare applicazione de "la disciplina codicistica" hanno esaminato, proprio alla luce della disciplina codicistica e, in particolare, in applicazione dell’art. 2044 c.c., la lettera 26 ottobre 1992 dell’AXA, giungendo alla conclusione che la stessa non può essere qualificata "come atto di riconoscimento del debito".

Pacifico quanto sopra non è dato comprendere, neppure in tesi, quali siano le ragioni per le quali sussista, nella specie, tra una proposizione e l’altra, una "contraddittoria motivazione" nei sensi indicati sopra.

11. Con il quinto, e ultimo, motivo, il ricorrente denunzia "insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio".

Ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c., precisa il ricorrente, che "la motivazione è insufficiente laddove la Corte di merito ritiene insussistente la pattuizione di una clausola relativa alla sospensione dell’esercizio del diritto senza tenere in considerazione la richiesta di cui alla nota della Compagnia del 26 ottobre 1992 e le condizioni generali di polizza che prevedono sotto il capo relativo a Incendio-Furto, all’art. 7 lo facoltà per lo Compagnia di richiedere lo certificazione di chiusa inchiesta. Ed infine, la motivazione è ancora insufficiente laddove la Corte d’Appello ritiene inesistenti altri interruttivi del termine prescrizionale senza fare riferimento alcuno al resto della documentazione allegata in atti ed alla prova testimoniale da cui risulta invece una precisa offerta idonea all’interruzione del termine prescrizionale per riconoscimento del debito". 12. Il motivo è, per un verso, inammissibile, per altro manifestamente infondato.

Infatti:

– come evidenziato in margine al primo motivo non era mai stato dedotto, in sede di merito, la esistenza di una clausola nei termini invocati per la prima volta in questo giudizio di legittimità. E’ palese, per l’effetto, che non può configurarsi il vizio di omessa motivazione su circostanze estranee al thema decidendum;

– come risulta dall’esame dei precedenti motivi, i giudici del merito,hanno ampiamente e adeguatamente, dimostrato, da un lato, che la lettera del 26 ottobre 1992 era inidonea a poter essere qualificata come atto di riconoscimento del debito, valevole ai sensi dell’ art. 2944 c.c., quale atto interruttivo della prescrizione. E’ evidente, pertanto, che l’invocato vizio non sussiste;

– l’invocato vizio di motivazione, infine, non sussiste neppure quanto ai restanti documenti e alle altre risultanze di causa, accertato, come è stato accertato dai giudici a quibus, da un lato, che i documenti invocati sono tutti successivi al perfezionarsi della prescrizione, dall’altro che "le dichiarazioni rese dai testimoni non possono provare nè l’esistenza di una pattuizione derogativa della polizza sottoscritta (in quanto non aventi la forma richiesta), nè una volontà di riconoscere un credito in favore del C. (il tutto a prescindere dal considerare e che tali ultime affermazioni non risultano in alcun modo adeguatamente censurate in alcuno dei numerosi motivi in cui si articola il ricorso e che, comunque, non è stato trascritto in ricorso il contenuto di tali deposizioni testimoniali)". 13. Risultato infondato in ogni sua parte il proposto ricorso – in conclusione – il proposto ricorso deve rigettarsi, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese di questo giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.

LA CORTE rigetta il ricorso;

condanna il ricorrente al pagamento delle spese di questo giudizio di legittimità liquidate in Euro 200,00, oltre Euro 1.000,00 per onorari e oltre spese generali e accessori come per legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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