Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 03-11-2010) 18-02-2011, n. 6184 Detenzione abusiva e omessa denuncia

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

degli imputati, che ne ha chiesto, invece, l’accoglimento.
Svolgimento del processo

D.A., P.R., C.A., M.E. e S.S.S.V. erano chiamati a rispondere, innanzi al Tribunale di Nicosia, dei reati di seguito indicati.

P., D., C., S. e M. dei reati di lesioni personali in danno di A.I. (sub A) nonchè di danneggiamento (B), violenza privata (Q e porto ingiustificato di catene, bastoni di legno e tondini di ferro (D); ed ancora, in concorso con altra persona, di furto aggravato in concorso per essersi impossessati di un cellulare, di un giubbotto e di altro cellulare di proprietà dello stesso A. e di C.V. (L.).

Con sentenza del 3 marzo 2009, il Tribunale dichiarava gli imputati colpevoli dei reati loro ascritti e, per l’effetto, li condannava alle pene ritenute di giustizia nonchè al risarcimento dei danni in favore delle costituite parti civili.

Pronunciando sul gravame proposto dal difensore degli imputati, la Corte di Appello di Caltanissetta, con la sentenza indicata in epigrafe, riformava la pronuncia impugnata, assolvendo tutti gli imputati, tranne il S., dal reato sub A) per non aver commesso il fatto; assolveva tutti dal reato sub E), con identica formula liberatoria; dichiarava non doversi procedere in ordine al reato sub D) per intervenuta prescrizione; e, per l’effetto, riduceva, nella misura di giustizia, le pene irrogate, unificati i reati con il vincolo della continuazione, oltre consequenziali statuizioni di legge.

Avverso la pronuncia anzidetta il difensore ha proposto ricorso per cassazione, affidato alle ragioni di censura indicate in parte motiva.
Motivi della decisione

1. – Il primo motivo d’impugnazione deduce violazione e falsa applicazione della legge penale, con riferimento all’art. 192 c.p.p. e art. 546 c.p.p., comma 1, lett. c) nonchè manifesta illogicità e mera apparenza di motivazione, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., lett. e).

Si duole che i giudici di appello non abbiano tenuto conto di tutte le risultanze processuali, specie di quelle relative alla prima fase della colluttazione tra giovani che aveva visto uno sconosciuto sferrare un calcio al volto dell’ A. e solo dopo tale episodio, era scoppiata la lite. In proposito, nessun valore avrebbe potuto assumere il preteso riconoscimento fotografico, privo di valore probatorio, tanto più in ragione delle plurime contraddizioni dei testi. In definitiva, dalla globale lettura di tutte le emergenze di causa risultava una dinamica dei fatti diversa da quella ritenuta dai giudici di merito.

Il secondo motivo eccepisce nullità della sentenza per inosservanza e/o erronea applicazione della legge penale, in riferimento agli art. 530 c.p.p., comma 2, e art. 533 c.p.p., posto che il controllo probatorio non era stato rispettoso della nuova normativa sul ragionevole dubbio.

Il terzo motivo deduce identico vizio di legittimità, con riferimento al regime sanzionatorio, in relazione agli artt. 133 e 133 bis e 81 c.p.p., ai sensi dell’art. 606 c.p.p., lett. b), anche in relazione all’ingiusto diniego delle attenuanti generiche in rapporto di prevalenza sulle contestate aggravanti.

2. – La prima ragione di censura è decisamente inammissibile.

Ed invero, sub specie del vizio di legittimità, parte ricorrente tenta di veicolare nel processo una rappresentazione dei fatti diversa da quella motivatamente offerta dai giudici di merito. In proposito, è appena il caso di ribadire il pacifico principio secondo cui questo Giudice di legittimità non è chiamato a stabilire se la decisione di merito proponga la migliore ricostruzione dei fatti, nè deve condividerne la giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se tale giustificazione sia compatibile con il senso comune e con i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento, secondo una ricorrente formula giurisprudenziale (cfr., tra le tante, Cass. Cass. Sez. 4, n. 4842 del 2.12.2003, rv.

229369). La verifica anzidetta, nella vicenda in esame, ha esito largamente positivo, posto che la versione prescelta dalla Corte distrettuale e del tutto rispondente ai canoni della logica e della coerenza, nel rispetto delle menzionate emergenze di causa. In particolare, sono state argomentatamente valorizzate le dichiarazioni della persona offesa A. e dei testimoni presenti ai fatti.

Quanto poi al contestato rilievo probatorio attribuito al riconoscimento fotografico, è pacifico che anche l’informale riconoscimento può assumere valenza probatoria (cfr., tra le altre, Cass., 4.2.2004, n. 16902, rv. 228043; id. 8.10.2003, n. 46024, rv.

228043) tanto più quando, come nel caso di specie, sia corroborato da altre univoche risultanze di causa, segnatamente dalle raccolte dichiarazioni testimoniali, motivatamente ritenute attendibili. La seconda censura è pur essa inammissibile in quanto l’impianto giustificativo della pronuncia impugnata rivela corretta applicazione dei canoni di valutazione della prova e della regola di giudizio dell’al di là del ragionevole dubbio, come limite da superare ai fini della pronuncia di penale responsabilità. Regola che codifica dall’art. 53, comma 1, costituiva da sempre un parametro di giudizio, seppur non scritto, al quale ispirare l’affermazione di colpevolezza.

E, nel caso di specie, il compendio probatorio valorizzato dalla Corte di merito è stato correttamente ritenuto tale da giustificare il ribadito giudizio di penale resposabilità ben oltre il limite anzidetto.

La terza ragione di censura è vistosamente inammissibile, in quanto afferente a questione squisitamente di merito, come è quella relativa al diniego delle attenuanti generiche, improponibile in questa sede di legittimità ogni qual volta, come nel caso di specie, sia assistita da motivazione congrua e formalmente corretta.

3 -Per quanto procede i ricorsi devono essere dichiarati inammissibili ed alla relativa declaratoria conseguono le statuizioni dettate in dispositivo, compresa la condanna alla rifusione delle spese in favore delle parti civili, liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende. Condanna, altresì, i ricorrenti in solido alla rifusione delle spese processuali sostenute dalle parti civili, che liquida in complessivi Euro 2.500,00, oltre accessori come per legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *