Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 30-11-2010) 18-02-2011, n. 6204 Falsità ideologica

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

C.M., nella sua qualità di presidente della 4^ circoscrizione del comune di (OMISSIS), e V.A., venivano condannati alla pena ritenuta di giustizia, oltre al risarcimento dei danni in favore della costituita parte civile, in entrambi i gradi di merito – sentenze emesse dal tribunale di Cosenza in data 8 ottobre 2007 e dalla Corte di appello di Catanzaro il 4 dicembre 2009 – per il delitto di falso in atto pubblico perchè il C., con l’aiuto del V., attestava contrariamente al vero che Ca.Ga., parte lesa costituita parte civile, aveva sottoscritto una dichiarazione sostitutiva di atto notorio in sua presenza, sottoscrizione che, invece, risultava essere stata apposta da altra persona.

Secondo la ricostruzione dei giudici di merito era accaduto che la Ca. aveva denunciato lo smarrimento di alcuni titoli di credito e che la dichiarazione sostitutiva in discussione costituiva una specie di ritrattazione di quanto denunciato, nel senso che con tale atto la Ca. affermava di essersi sbagliata con riferimento ad alcuni assegni denunciati come smarriti.

In effetti si trattava di assegni in possesso del V. con il quale la parte offesa aveva intrattenuto rapporti di affari e del quale si fidava, tanto che gli aveva consegnato degli assegni firmati in bianco ed una copia della carta di identità. Bisogna anche ricordare che la Ca. era stata tratta a giudizio per il delitto di calunnia in danno di tale G.F. per essere stato accertato che uno dei titoli denunciati come smarriti era stato dalla Ca. consegnato proprio al G..

Da tale reato, però, la Ca. veniva assolta perchè il fatto non costituisce reato per mancanza dell’elemento soggettivo.

La condanna dei due imputati era fondata sulle dichiarazioni della parte lesa, oltre che sulle risultanze del procedimento penale per calunnia del quale si è detto, sull’esito di una consulenza grafica del Pubblico Ministero che aveva accertato non essere della Ca. la firma apposta in calce alla dichiarazione sostitutiva, e sulla accertata autenticazione da parte del C. di altra dichiarazione sostitutiva di atto notorio del V. nella stessa data del 5 dicembre 2002.

Con due ricorsi per Cassazione dai motivi sostanzialmente identici C.M. e V.A. deducevano:

1) la violazione di norme processuali perchè Ca.Ga. non era stata escussa ai sensi dell’art. 197 bis c.p.p., essendo stata imputata in un processo penale collegato/connesso ex art. 12 c.p.p. – connessione oggettiva ed interprobatoria – concluso con sentenza assolutoria perchè il fatto non costituisce reato. Del resto era stata la stessa parte civile che aveva chiesto l’acquisizione della sentenza resa nell’indicato processo;

2) la violazione ed erronea applicazione dell’art. 192 c.p.p. ed il vizio di motivazione perchè la mancata applicazione dell’art. 197 bis c.p.p. aveva prodotto il completo travisamento della prova, dal momento che l’attendibilità della Ca. si sarebbe dovuta valutare ai sensi dell’art. 192 c.p.p., comma 3;

3) la violazione di legge in relazione alla L. 15 maggio 1997, n. 127, art. 3, comma 10, non necessitando più la sottoscrizione della dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà di autenticazione a seguito della abrogazione della L. 4 gennaio 1968, n. 15, art. 2;

4) la mancanza e contraddittorietà della motivazione sia perchè la Corte non aveva spiegato in che cosa fosse consistito il potenziamento della efficacia probatoria dell’atto con la autenticazione, sia perchè aveva fatto riferimento a dichiarazioni del C., che non era mai stato esaminato, sia per il mancato accertamento di circostanze rilevanti ai fini della decisione.

Il V. non deduceva il terzo motivo di impugnazione e segnalava ulteriori elementi di contraddizione della motivazione della sentenza impugnata.

I motivi posti a sostegno dei ricorsi proposti da C.M. e V.A. non sono fondati.

Infondato è il primo motivo di impugnazione perchè la parte lesa Ca. non doveva essere assunta come testimone ai sensi dell’art. 197 bis c.p.p. perchè non era stata imputata, poi assolta perchè il fatto non costituisce reato, in un procedimento connesso e/o collegato.

In effetti i ricorrenti hanno dedotto tale vizio, che non avevano, peraltro, dedotto in grado di appello, ed hanno affermato la esistenza di connessione tra i due procedimenti, ma non hanno poi precisato di quale ipotesi di connessione e/o collegamento si trattasse e in che cosa consistesse la connessione/collegamento.

La Ca., come si è già osservato, aveva denunciato lo smarrimento di alcuni moduli di assegno e tra di essi vi era anche un assegno che, invece, era stato dato legittimamente a tale G..

Di conseguenza venne tratta a giudizio per rispondere di una calunnia implicita in danno del G., fatto dal quale venne assolta con la formula ricordata. Il presente procedimento a carico di V. e C. ha un oggetto del tutto differente perchè l’accusa concerne il fatto che V. avrebbe predisposto una dichiarazione sostitutiva con firma non autentica della Ca., con la quale la stessa contraddiceva la denuncia di smarrimento; il C. avrebbe, poi, attestato la avvenuta sottoscrizione del documento in sua presenza, cosa non veritiera. Tra i due procedimenti palesemente non esiste nessuna connessione ex art. 12 c.p.p. nè alcuna ipotesi di collegamento prevista dall’art. 371 c.p.p.; inoltre se tra il V. e la Ca. è certamente ipotizzarle la esistenza di un rapporto di affari preesistente – consegna di tre moduli di assegni in bianco -, tra il C. e la Ca. non è mai esistito alcun rapporto se non di semplice conoscenza.

Nemmeno è ravvisabile la così detta connessione interprobatoria, nel senso che la prova di un reato possa influire sull’altro, soltanto enunciata dai ricorrenti, ma non dimostrata.

Il fatto che la parte civile Ca. abbia richiesto nel presente procedimento l’acquisizione della sentenza emessa nel procedimento per calunnia non muta evidentemente i termini della questione, dovendo le ipotesi di connessione risultare in modo oggettivo, cosa che non è ravvisabile nel caso di specie. E’ appena il caso di osservare che anche se la sentenza impugnata sostiene che tra gli elementi a carico vi è anche la sentenza di assoluzione per calunnia della Ca., va detto che nella motivazione non è dato apprezzare alcun riferimento specifico a tale documento.

La infondatezza del primo motivo di impugnazione comporta la non fondatezza anche del secondo motivo perchè non può trovare accoglimento la pretesa dei ricorrenti di una valutazione delle dichiarazioni della Ca. ai sensi dell’art. 192 c.p.p., comma 3, prevista per i testimoni ascoltati ai sensi dell’art. 197 bis c.p.p..

La Ca. è un testimone del tutto normale, essendo, però, anche parte lesa costituita parte civile.

Nulla vi è da osservare sulla valutazione di attendibilità della parte lesa compiuta con il necessario rigore dai giudici di merito.

D’altra parte i ricorrenti si sono limitati a richiedere una valutazione rigorosa sul punto, ma non hanno precisato in che cosa fosse manchevole quella operata dai primi giudici.

E’ poi appena il caso di osservare che la prova del reato commesso non è data soltanto dalle dichiarazioni della Ca., ma anche dalla consulenza grafica che ha accertato che la firma in calce alla dichiarazione sostitutiva in discussione non era stata apposta dalla Ca., dal fatto che il V. era in possesso della carta di identità della Ca. e dal fatto che in quella giornata il C. aveva firmato anche altra dichiarazione sostitutiva del V..

Infine la Corte di merito ha messo in evidenza che l’unico che poteva avere dei vantaggi dalla dichiarazione in discussione era proprio il V. che avrebbe potuto in tal modo fare apparire legittima la negoziazione dei titoli da parte del ricorrente.

Infondato è anche il terzo motivo di impugnazione del C. perchè la Corte condivide l’indirizzo giurisprudenziale secondo il quale in tema di falsità in atti, l’abrogazione delle disposizioni contenute nella L. 4 gennaio 1968, n. 15, attuata in via generale, da ultimo, dal D.Lgs. 28 dicembre 2000, n. 445, art. 77, in seguito alla quale la sottoscrizione della dichiarazione sostitutiva di atto notorio non deve più essere autenticata dal pubblico ufficiale, non comporta la inutilità del falso eventualmente compiuto mediante l’autenticazione, in quanto quest’ultima, ancorchè non più richiesta, può potenziare l’efficacia probatoria di cui l’atto è dotato (Cass. 6 luglio 2005, Sacchini e Cass., 11 aprile 2006, Perna).

Infondato è, infine, anche l’ultimo motivo di impugnazione, che è anzi ai limiti della ammissibilità perchè i ricorrenti, anche se hanno eccepito il vizio di motivazione, hanno in realtà censurato la valutazione delle prove compiuta dai giudici del merito.

Il potenziamento della efficacia probatoria dell’atto è prodotto proprio dal fatto che un pubblico ufficiale attesti che quell’atto proviene da chi lo ha sottoscritto;

non vi è dubbio che con siffatta attestazione il documento acquisti un maggior credito presso i cittadini con danno per la fede pubblica, che è il bene protetto dalla norma contestata.

Corretta appare poi la valutazione degli esiti della consulenza grafica essendo la motivazione che sorregge le conclusioni dei giudici immune da manifeste illogicità.

Quanto agli altri elementi di prova se ne è già parlato a proposito del secondo motivo di impugnazione ed a quelle considerazioni si rinvia.

Infine è vero che la Corte di merito ha richiamato la motivazione della sentenza di primo grado, cosa, peraltro, legittima, ma è pure vero che ha esibito una propria e specifica motivazione per confutare tutte le argomentazioni degli appellanti.

Per tutte le ragioni indicate i ricorsi debbono essere rigettati e ciascun ricorrente deve essere condannato a pagare le spese del procedimento.
P.Q.M.

La Corte rigetta i ricorsi e condanna ciascun ricorrente a pagare le spese del procedimento.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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