Cass. civ. Sez. V, Sent., 31-03-2011, n. 7400 Imposta reddito persone fisiche

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il 18 febbraio 2005 la commissione tributaria regionale di Perugia ha accolto l’appello di M.M. nei confronti dell’agenzia delle entrate, annullando l’avviso di accertamento in rettifica per IRPEF 1991 (L. 5.075.447.000). Ha motivato la decisione ritenendo che l’ufficio – in violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 55, comma 3 – avesse proceduto all’irrogazione delle sanzioni contenute nel suddetto accertamento senza aver posto il contribuente nella condizione di poter versare il sesto del massimo della pena.

Hanno proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi, l’agenzia delle entrate e il ministero dell’economia e delle finanze;

il contribuente si è costituito con controricorso.
Motivi della decisione

A. Preliminarmente, va rilevata la carenza di legittimazione processuale dell’altro soggetto rappresentato dall’avvocatura erariale, il ministero dell’economia e delle finanze, che non è stato parte nel giudizio di secondo grado ed è oramai estraneo al contenzioso tributario dopo la creazione delle agenzie fiscali.

L’intervento ministeriale in cassazione è dunque inammissibile; esso non incide concretamente sul presente giudizio e dunque le relative spese possono essere compensate tra le parti interessate.

B. Il ricorso dell’avvocatura dello stato va, dunque, esaminato solo riguardo all’agenzia delle entrate, che è la sola a essere legittimamente impugnante. La ricorrente, con il primo motivo, denuncia la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 55, 39 e 46 e dell’art. 112 c.p.c., nonchè il difetto di motivazione sul medesimo punto decisivo. Sostiene che, una corretta applicazione dell’art. 55 cit. alla luce della pronunzia delle Corte Costituzionale n. 364 del 1987, pur richiamata dalla S.C. nella sent.

11230 del 2002, avrebbe dovuto portare a concludere che fossero oblabili solo le violazioni che non danno luogo ad accertamenti (comma 3) e non quelle che danno luogo ad accertamenti in rettifica o d’ufficio (comma 2), ex art. 55 cit..

C. Con il secondo motivo, l’agenzia ricorrente denuncia "violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 55; art. 112 c.p.c.; omessa motivazione, nullità delle sentenza ( art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4). Sostiene che i giudici d’appello avrebbero errato – e comunque non motivato – nell’annullare l’intero avviso di accertamento senza neppure distinguere l’atto di accertamento, vero e proprio, dall’atto d’irrogazione delle sanzioni.

D. In rito, va disattesa la richiesta del P.G. di rimessione della causa al giudice di primo grado, per vizio di contraddittorio in fattispecie di asserito litisconsorzio necessario, in relazione all’accertamento di maggiori redditi di partecipazione a società di persone. Quello controverso, infatti, non è il reddito sociale ma il rilievo delle sole sanzioni a carico del socio e, in particolare, della loro oblazione (Cass. 19456 del 2009).

E. Nel merito e riguardo al primo motivo, questa Corte, con due decisioni del 2002 (n. 11230) e del 2007 (n. 12978), ha ritenuto che l’istituto della definizione agevolata delle sanzioni tributarie ( D.P.R. n. 600 del 1973, art. 55, commi 2 e 3), nel testo modificato dalla sentenza "manipolativa" della Corte costituzionale n. 364 del 1987, il quale obbligava l’Amministrazione a non irrogare la pena pecuniaria qualora, nel termine di trenta giorni dalla data del relativo verbale, fosse eseguito il versamento diretto, all’esattoria, di una somma pari ad un sesto della pena massima prevista, atteso che la pronuncia del Giudice delle leggi, che ha rimosso una disparità di trattamento esistente – tra l’altro, anche – rispetto alle analoghe disposizioni in tema di IVA ( D.P.R. n. 633 del 1972, art. 58), è riferibile – al di là del dato testuale – a tutte le violazioni ivi stabilite, incluse quelle "che danno luogo ad accertamenti in rettifica o d’ufficio" (comma 2, cit.).

F. Da tale orientamento, l’odierno Collegio ritiene di doversi discostare, dando continuità a diversi e più corretti criteri interpretativi emersi di recente. A tal fine, è fondamentale ricostruire nel dettaglio il "dictum" della decisione della Corte Costituzionale del 1987.

G. Nel corso di procedimenti aventi per oggetto l’imposta sul reddito delle persone fisiche, i giudici remittenti avevano sollevato questione di legittimità costituzionale del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 55, comma 3, seconda parte, il quale, disponendo in materia di violazioni, da parte del contribuente, della disciplina dell’accertamento delle imposte sui redditi, così stabiliva: "Se la violazione è stata constatata in occasione di accessi, ispezioni e verifiche… la pena pecuniaria non può essere irrogata qualora, nel termine di trenta giorni dalla data del relativo verbale, sia stato eseguito versamento diretto all’esattoria pari ad un sesto del massimo della pena". Secondo i giudici rimettenti, la limitazione del detto beneficio ai soli casi in cui la violazione fosse stata accertata in occasione di accessi, ispezioni e verifiche, ossia la sua non estensione alle ipotesi in cui le infrazioni fossero state accertate in ufficio, sembrava contrastare col principio di eguaglianza ( art. 3 Cost.), dando luogo a un trattamento diverso di situazioni sostanzialmente identiche. Sempre ad avviso dei collegi rimettenti, la violazione del principio di eguaglianza appariva tanto più evidente considerando che il D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 58 (nel testo sostituito dal D.P.R. 29 gennaio 1979, n. 24, art. 1), disponendo le sanzioni in materia di imposta sul valore aggiunto, prevedeva il beneficio in questione quale che fosse stato il modo di accertamento della violazione.

H. La Corte Costituzionale dichiarò l’illegittimità del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 55, comma 3, limitatamente alle parole "Se la violazione è stata constatata in occasione di accessi, ispezioni e verifiche eseguiti ai sensi dell’art. 33".

I. Motivò tale pronuncia affermando: "L’art. 55 cit., dopo aver previsto l’applicazione di pene pecuniarie per la violazione degli obblighi stabiliti nello stesso decreto in materia di accertamento delle imposte sui redditi, stabilisce (comma 3, seconda parte): "Se la violazione è stata constatata in occasione di accessi, ispezioni e verifiche eseguite ai sensi dell’art. 33, la pena pecuniaria non può essere irrogata qualora, nel termine di trenta giorni dalla data del relativo verbale, sia stato eseguito versamento diretto all’esattoria di una somma pari ad un sesto del massimo della pena"…… Il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 58, comma 4…., oggi suona così: "La pena pecuniaria non può essere irrogata qualora nel termine di trenta giorni dalla data del verbale di constatazione della violazione sia stata versata all’ufficio una somma pari ad un sesto del massimo della pena". E’ evidente da ciò una diversità di trattamento, priva di giustificazione. Diversità di trattamento che si riscontra sia nell’ambito delle violazioni, accertate fuori o in ufficio, della disciplina delle imposte sui redditi, sia tra le violazioni del D.P.R. n. 600 del 1973 e quelle del D.P.R. n. 633 del 1972. Quest’ultima disparità, anzi, non può essere giustificata neppure dalla diversa natura dei tributi, diretti (imposte sui redditi) e indiretto (iva), disciplinati dai rispettivi decreti presidenziali, e si spiega solo con un difetto di coordinamento dell’intervento legislativo, rimasto limitato, in sede di correzione e di adeguamento alla normativa comunitaria, al solo tributo indiretto. Stante il rilevato contrasto con l’art. 3 Cost., deve perciò essere dichiarata l’illegittimità costituzionale del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 55, comma 3, nella parte in cui limita la possibilità di oblazione, mediante versamento diretto all’esattoria di una somma pari ad un sesto del massimo della pena, alle sole violazioni constatate in occasione di accessi, ispezioni e verifiche eseguiti ai sensi del precedente art. 33. E’ appena il caso di aggiungere che spetta ai giudici comuni stabilire se il termine di trenta giorni per effettuare l’oblazione, previsto nello stesso terzo comma, possa decorrere non solo dalla data del verbale di constatazione ma anche, quando è il caso, dalla notifica dell’avviso di accertamento".

J. Successivamente, è stata sollevata questione di legittimità costituzionale del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 55, comma 2. Ad avviso del giudice rimettente, tale norma sarebbe stata lesiva del principio di eguaglianza nella parte in cui escludeva, per le sanzioni irrogate a seguito di "violazioni che danno luogo ad accertamenti in rettifica o d’ufficio", la possibilità di oblazione prevista invece dal terzo comma dello stesso art. 55, quale risultante dalla declaratoria d’illegittimità costituzionale parziale di cui alla sentenza n. 364 del 1987, per le sanzioni relative alle "violazioni che non danno luogo ad accertamenti", siano esse constatate in ufficio o mediante accessi, ispezioni e verifiche.

La stessa sentenza n. 364 del 1987, nel demandare ai giudici di stabilire se il termine di trenta giorni per l’oblazione potesse decorrere, per le violazioni accertate in ufficio, "dalla notifica dell’avviso di accertamento", avrebbe inteso chiaramente riferirsi, secondo il giudice a quo, proprio alle violazioni che "danno luogo ad accertamenti", di cui all’art. 55, comma 2.

K. La Corte Costituzionale nel dichiarare la questione manifestamente infondata ha affermato: "che….non sussiste la lamentata lesione del principio di eguaglianza, stante la non omogeneità delle violazioni rispettivamente previste del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 55, dai commi 2 e 3; che le violazioni, per le quali il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 55, comma 3, assunto a tertium comparationis, prevede la possibilità di oblazione, sono infatti quelle, di carattere esclusivamente formale, che non danno luogo ad accertamenti di maggiore imposta, cosicchè non può ritenersi irragionevole che il legislatore – nell’esercizio della ampia discrezionalità di cui gode in materia – preveda per esse un trattamento sanzionatorio diverso e complessivamente più favorevole rispetto alle violazioni di carattere sostanziale, disciplinate dalla norma impugnata, che danno, invece, luogo ad accertamenti di imposta in rettifica o d’ufficio;

che nessun argomento a sostegno del dubbio di legittimità costituzionale può essere tratto dalla sentenza n. 364 del 1987, relativa a diversa norma, ove con l’espressione "avviso di accertamento" – nel passaggio citato dal rimettente – si vuole con ogni evidenza indicare l’atto mediante il quale la constatazione, effettuata in ufficio, di una violazione non comportante accertamento di maggiore imposta viene portata a conoscenza del contribuente" C. Cost. 25 luglio 2001, n. 304.

L. Dal tenore letterale delle due decisioni, dalla loro reciproca integrazione e dalla comparazione di esse con i motivi di rimessione emerge con chiarezza che il "dictum" della Corte delle Leggi nella pronunzia del 1987 fosse limitato al solo D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 55, comma 3, e che giammai esso, anche indirettamente o implicitamente, riguardasse il comma 2 dello stesso art. 55, atteso il tenore sistematico e lessicale della pronuncia e "la non omogeneità delle violazioni rispettivamente previste dai due commi" evidenziata nella successiva decisione del 2001.

M. Accertata l’inapplicabilità del meccanismo oblatorio alle ipotesi disciplinate dal secondo comma del citato art. 55, si accoglie il primo motivo e, assorbito il secondo, va cassata la difforme sentenza impugnata; ne deriva, decidendo nel merito ex art. 384 c.p.c., il rigetto del ricorso introduttivo e la condanna del contribuente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità secondo soccombenza. Nelle ragioni della decisione si ravvisano giusti motivi per compensare, invece, le spese dei gradi di merito.
P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso ministeriale e compensa le relative spese. Accoglie il primo motivo di ricorso dell’agenzia delle entrate e, assorbito il secondo, cassa la sentenza impugnata.

Decidendo nel merito, rigetta il ricorso introduttivo del contribuente che condanna alle spese del giudizio di legittimità liquidate, a favore dell’agenzia delle entrate, in Euro 12.000,00 per onorario, oltre alle spese prenotate a debito; compensa le spese dei gradi di merito.

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