Cass. civ. Sez. V, Sent., 31-03-2011, n. 7364 Imposta incremento valore immobili – INVIM

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza depositata in data 26.9.2005 n. 154 la CTR di Palermo sez. 21^ sez. staccata di Caltanissetta in accoglimento dell’appello proposto dall’Ufficio di Enna della Agenzia delle Entrate ed in totale riforma della sentenza della CTP di Enna n. 113/11/2001, ha rigettato la opposizione proposta, nelle more del giudizio, da Edil Fabi s.n.c. dell’Ing. Festanio & C. avverso l’atto di diniego della definizione della lite ai sensi della L. n. 289 del 2002, art. 16 ed ha dichiarato legittimo l’avviso di liquidazione della maggiore imposta e di irrogazione sanzioni n. (OMISSIS) – Registro ed INVIM emesso dall’Ufficio del Registro di Nicosia – impugnato anch’esso dal contribuente – ed annullato dalla Commissione Tributaria Provinciale di Enna.

I Giudici territoriali di appello hanno accolto i motivi dedotti dall’Ufficio rilevando la intervenuta definitività dell’atto presupposto (avviso di accertamento di valore), in seguito al rigetto del precedente ricorso proposto dal contribuente con sentenza n. 152 del 30.5.1997 passata in giudicato per mancata impugnazione, e ritenendo in conseguenza viziata la sentenza di primo grado che aveva annullato l’avviso di liquidazione per vizi dell’atto presupposto sul quale si era già formato il giudicato.

In considerazione della intangibilità dell’avviso di accertamento, i Giudici di appello avevano inoltre escluso che l’avviso di liquidazione potesse qualificarsi come "atto impositivo" L. n. 2829 del 2002, ex art. 16, comma 3, con il conseguente rigetto della opposizione al diniego di definizione della lite.

Nel merito hanno ritenuto l’avviso di liquazione esente da vizi propri, non essendo incorso l’Ufficio nella decadenza triennale del TU, D.P.R. n. 131 del 1986, art. 76, comma 2, lett. b) per la riscossione della imposta, essendo stato notificato l’avviso di liquidazione ed irrogazione sanzioni in data 16.9.1999 e dunque entro il triennio dalla intervenuta definitività dell’atto di accertamento presupposto.

Avverso tale sentenza, non notificata, ricorre per cassazione il contribuente denunciando quale univo motivo la falsa applicazione dell’art. 16 della legge n. 289/2002, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), allegando la natura di atto impositivo dell’avviso di liquidazione con il nel quale la imposta di registro veniva determinata in base ai maggiori valori accertati dall’Ufficio rispetto a quelli dichiarati nell’atto pubblico registrato il 26.10.1992, e richiamando in proposito diverse pronunce di questa Corte concernenti i criteri di individuazione dell’atto impositivo.

La Agenzia delle Entrate alla quale il ricorso è stato notificato in data 13.11.2006 non ha svolto difese.
Motivi della decisione

Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile per difetto del requisito di autosufficienza.

Costituisce affermazione ripetuta da parte di questa Corte di legittimità che "In tema di contenuto del ricorso per Cassazione, poichè la finalità della norma di cui all’art. 366 c.p.c., n. 4 è quella di assicurare che il ricorso stesso presenti l’autonomia necessaria a consentire: senza il sussidio di altre fonti, la immediata e pronta individuazione delle questioni da risolvere, sono inammissibili quei motivi che, anzichè precisare le ragioni delle proposte censure, si esauriscano in una generica postulazione di erroneità della sentenza impugnata e nella conseguente istanza di Cassazione" (cfr. Corte cass. n. 8421/1993, id. n. 10324/2000; id 3 sez. 20.11.2003 n. 17627).

La parte ricorrente ha censurato la sentenza della CTR per aver erroneamente qualificato come mero atto di riscossione – anzichè come atto impositivo ai fini della definibilità della lite L. n. 289 del 2002, ex art. 16 comma 3 l’avviso di liquidazione emesso dall’Ufficio di Nicosia in sede di applicazione della imposta di registro ed INVIM. Ha tuttavia omesso di individuare l’errore nella applicazione della norma di diritto -in relazione alla portata precettiva od agli effetti dalla stessa, o ancora nella ricognizione del fatto sussunto nello schema normativo astratto – in cui sarebbe incorso il Giudice di appello qualificando l’avviso di liquidazione come atto di mera riscossione, e più specificamente quale errore sia rilevabile nella "regula iuris" desunta dalla L. n. 289 del 2002, art. 16 alla quale il Giudice di appello si è attenuto ("nei concetto di lite fiscale vanno ricomprese tutte quelle vertenze in cui la pretesa tributaria investe la determinazione dell’anno del quantum debeatur, ma non le liti che hanno per oggetto provvedimenti impugnati per vizi propri o per qualsiasi altro motivo, nei quali risulta determinato il carico fiscale dovuto": cfr. motivazione sentenza CTR n. 154/2005, pag. 2) e nell’applicazione di tale regola alla fattispecie concreta contraddistinta dal precedente giudicato formatosi sull’ "avviso di accertamento" in rettifica del valore.

Nel ricorso per cassazione, infatti, il principio di diritto cui ha fatto applicazione il Giudice di appello – peraltro conforme al costante orientamento di questa Corte: Corte Cass. 5 sez 10.2.2006 n. 2962; Corte Cass. 5 sez. 10.3.2006 n. 5356 – non viene contestato, limitandosi il ricorrente a contrapporre una propria diversa qualificazione giuridica dell’avviso di liquidazione, senza peraltro denunciare vizi motivazionali della sentenza ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5).

La mera censura di violazione di legge ( L. n. 289 del 2002, art. 16, comma 3) non assistita dalla argomentazione critica della parte motiva della sentenza impugnata nella quale il Giudice avrebbe fatto errata applicazione della norma o del principio di diritto, rende inammissibile il ricorso (Corte Cass. 3 sez. 2.8.2002 n. 11530; id.

9.4.2003 n. 5581: "Il ricorso per cassazione deve contenere la esposizione delle ragioni che illustrino in modo intelligibile ed esauriente le dedotte violazioni di norme o principi di diritto.

Pertanto è inammissibile il ricorso nel quale non venga precisata la violazione di legge nella quale sarebbe incorsa la pronunzia di merito, non essendo al riguardo sufficiente un’affermazione apodittica non seguita da alcuna dimostrazione, dovendo il ricorrente porre la Corte di legittimità in grado di orientarsi fra le argomentazioni in base alle quali si ritiene di censurare la pronuncia di merito).

Qualora poi il ricorrente abbia voluto censurare la sentenza per avere il Giudice di appello omesso di rilevare compiutamente il contenuto dell’avviso di liquidazione (non limitato alla mera applicazione dei criteri di calcolo della imposta, ma contenente nuove valutazioni del presupposto impositivo), il ricorso si palesa egualmente inammissibile in quanto, vertendosi su errore percettivo del fatto, il contribuente avrebbe allora dovuto impugnare la sentenza per revocazione ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 64 (cfr. Corte cass. 2 sez. 22.1.1977 n. 328, Corte cass. 3 sez. 27.5.2005 n. 11276; Corte cass. 3 sez. 14.3.2006 n. 5450; Corte cass. 3 sez. 27.4.2010 n. 10066. "Qualora una parte assuma che la sentenza di secondo grado, impugnata con ricorso ordinario per cassazione, è l’effetto di un errore di fatto risultante dagli atti del giudizio di merito, il ricorso è inammissibile, essendo denunziato – al di là della qualificazione come "violazione di legge" – un tipico vizio revocatorio, che può′ essere fatto valere, sussistendone i presupposti, solo con lo specifico strumento della revocazione, disciplinato dall’ari. 395 cod. proc. civ.").

Il ricorso deve essere pertanto dichiarato inammissibile. Non va disposta condanna alla rifusione delle spese di lite non avendo svolto difese la parte resistente.
P.Q.M.

LA CORTE dichiara inammissibile il ricorso. Nulla sulla spese di lite.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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