Cass. civ. Sez. V, Sent., 31-03-2011, n. 7337 Imposta incremento valore immobili – INVIM

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. – Gli odierni controricorrenti impugnavano l’avviso di accertamento con cui il valore del fabbricato, sito in (OMISSIS), ad essi pervenuto in successione nell’anno 1966, ed alienato a D.S.A. con atto pubblico del 24 febbraio 1999, veniva elevato, ai fini dell’INVIM, da L. 150 milioni a L. 456 milioni.

1.1 – La Commissione tributaria regionale della Campania, con la decisione indicata in epigrafe, confermava la sentenza di primo grado, con la quale era stato accolto il ricorso proposto dai contribuenti.

Premesso che l’autorizzazione a proporre impugnazione recava una data successiva alla redazione dell’appello (essendo comunque anteriore alla notifica dello stesso), rilevata, altresì, una parziale difformità della copia dell’appello notificata ai contribuenti rispetto a quella depositata, la commissione regionale osservava poi, nel merito, che la valutazione dell’UTE, su cui si fondava l’avviso di accertamento, era stata effettuata in epoca successiva alla vendita, senza alcuna considerazione della reali condizione del bene alienato, ma sulla base dei valori di altri immobili utilizzati per la comparazione.

1.2 – Avverso tale decisione il Ministero dell’economia e delle Finanze e l’Agenzia delle Entrate proponevano ricorso, sorretto da quattro motivi.

Gli intimati resistono con controricorso.
Motivi della decisione

2. – In primo luogo va affermata la fondatezza dei primi due motivi, attinenti, il primo, all’erronea affermazione della difformità della copia del ricorso notificata rispetto a quella depositata e, il secondo, a vizi, motivazionale in merito all’autorizzazione all’impugnazione.

Quanto al primo aspetto, va rilevato che il riferimento, contenuto nell’impugnata decisione, a una pretesa difformità della copia notificata del ricorso in appello rispetto a quella depositata, neppure eccepita dagli appellati, appare del tutto generico e non conforme alle risultanze processuali. Si afferma, per altro, in maniera contraddittoria, che non sarebbe stata consentita ai contribuenti "un’adeguata difesa", dopo aver enunciato tutte le eccezioni degli appellati, inerenti anche al merito, e prive per altro di qualsiasi riferimento ad eventuali difformità della copia notificata rispetto a quella depositata. Giova in proposito richiamare il principio secondo cui si presume la conformità sia quando l’appellato si costituisca e non sollevi alcuna eccezione al riguardo, sia quando non si costituisca, così rinunciando a sollevare l’eccezione predetta (Cass. 20 marzo 2009, n. 6780).

Quanto al secondo profilo, rilevato in primo luogo che il riferimento all’assenza di autorizzazione a proporre l’impugnazione avrebbe dovuto comportare, per coerenza, la declaratoria di inammissibilità dell’appello dell’Ufficio, viceversa rigettato nel merito, deve osservarsi come assuma esclusiva rilevanza la constatazione che, con riferimento alla disciplina pertinente, ratione temporis, all’atto di appello in esame, il D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 52, comma 2 non è applicabile in relazione alle agenzie delle entrate cui il D.Lgs. n. 300 del 1999, che ha soppresso gli uffici ed organi ministeriali ai quali il citato art. 52 fa riferimento, ha attribuito la gestione della generalità delle funzioni in precedenza esercitate dai dipartimenti e dagli uffici del Ministero delle finanze, e trasferito i relativi rapporti giuridici, poteri e competenze, da esercitarsi secondo la disciplina dell’organizzazione interna di ciascuna agenzia (Cass. Sez. Un., 14 gennaio 2005, n. 604).

La fondatezza delle censure esaminate non esime dall’esame degli ulteriori rilievi, trattandosi di decisione fondata su distinte rationes decidendi, anzi, avuto riguardo all’indicata formulazione del dispositivo, principalmente incentrata sull’infondatezza, nel merito, dell’appello.

2.2 Il terzo motivo ed il quarto motivo, con il quale si deducono, rispettivamente, violazione e falsa applicazione della L. n. 131 del 1986, art. 52, comma 4, nonchè vizio di motivazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e n. 5, con riferimento all’omessa considerazione della stima dell’immobile eseguita dall’UTE, nella quale si sarebbe accertato che il valore dell’immobile sarebbe stato comunque superiore a quello dichiarato dalle parti, indipendentemente dall’effettuazione di lavori in epoca successiva all’apertura della successione (da esaminarsi congiuntamente in quanto fra loro intimamente collegati), sono in parte inammissibili, ed in parte infondati. In primo luogo deve evidenziarsi che non risultano riportate, in conformità al principio di autosufficienza del ricorso costantemente ribadito da questa Corte, le deduzioni dell’atto di appello inerenti agli aspetti asseritamente già presi in considerazione dell’Agenzia del Territorio, in relazione ai lavori eseguiti sull’immobile "successivamente alla denuncia di successione e prima della vendita".

Per il vero la decisione impugnata da atto che la stima venne effettuata in epoca successiva alla vendita, ragion per cui non risultano esplicitate, con il richiesto grado di specificità, le ragioni in base alle quali si sarebbe determinato il significativo incremento di valore del bene indicato nell’avviso di accertamento prima e non dopo l’alienazione del cespite da parte degli eredi di M.A..

La questione, per altro, attiene essenzialmente al merito, e non è sindacabile in questa sede se non con riferimento alla congruità della motivazione della decisione impugnata, che, per quanto concisa, appare esente da censure, posto che (desumendosi della parte narrativa della stessa che la vendita si riferiva anche a "tettoia con struttura tubulare in ferro, ricoperta in plastica ondulata e stuoia in canne, realizzata dopo la successione", alla quale era stato attribuito un valore di L. sette milioni) si pone in evidenza – senza che tale aspetto risulti adeguatamente censurato – che " non possono essere giustificati i parametri applicati nella valutazione, effettuata, peraltro, dall’UTE in epoca successiva alla vendita, senza attribuire un valore autonomo alle singole componenti la struttura, ma un valore complessivo sulla base del valore di acquisto di immobili presi a confronto". 2.3 – Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato, ricorrendo giusti motivi per la compensazione delle spese processuali, con riferimento alle difficoltà inerenti alla ricostruzione della fattispecie fattuale in esame.
P.Q.M.

La Corte rigetto, il ricorso. Compensa le spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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