Cass. civ. Sez. I, Sent., 01-04-2011, n. 7569 Concordato fallimentare

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. – Con sentenza del 4 marzo 2005, la Corte d’Appello di Brescia ha rigettato l’impugnazione proposta dalla Società Gestione per il Realizzo S.p.a. avverso la sentenza del 31 maggio 2002, con cui il Tribunale di Bergamo aveva approvato la proposta di concordato formulata dal Consorzio Agrario Provinciale di Bergamo Soc. Coop. a r.l. posto in liquidazione coatta amministrativa con D.M. 31 dicembre 1994 e dichiarato in stato d’insolvenza con sentenza del 25 febbraio 1995.

Premesso che l’opposizione al concordato formulata dalla SGR era stata proposta oltre il trentesimo giorno dal deposito in cancelleria della relativa proposta e dalla pubblicazione della stessa sulla Gazzetta Ufficiale e su un quotidiano locale, la Corte l’ha ritenuta inammissibile per inosservanza del termine perentorio di cui alla L. Fall., art. 214, dichiarando manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale di tale disposizione, nella parte in cui fa decorrere dal deposito della proposta, anzichè dalla comunicazione, il termine per l’opposizione del creditore, ed escludendo che la disciplina del concordato di liquidazione contrasti con il divieto di aiuti di Stato incompatibili con il mercato comune, posto dall’art. 87 del Trattato UE. 2. – Avverso la predetta sentenza la SGR propone ricorso per cassazione, articolato in due motivi, illustrati anche con memoria.

Il commissario liquidatore ed il Consorzio non hanno svolto difese scritte.
Motivi della decisione

1. – Con il secondo motivo d’impugnazione, il cui esame appare logicamente preliminare rispetto al primo, riguardando l’ammissibilità della domanda proposta dalla ricorrente, quest’ultima ripropone la questione di legittimità costituzionale del R.D. 16 marzo 1942, n. 267, art. 214.

Sostiene infatti che tale disposizione, se interpretata nel senso che il termine per l’opposizione al concordato decorre dal deposito della proposta, comporta una forte compressione del diritto alla difesa, non compensata da una rigorosa disciplina della comunicazione, e un’irrazionale differenziazione rispetto alle fattispecie di cui alla L. Fall., artt. 98, 100 e 125, nelle quali la previsione di termini decadenziali è accompagnata dall’imposizione di un obbligo di specifica comunicazione al creditore interessato, derogabile, nel caso previsto dalla L. Fall., art. 126, solo con l’osservanza di una precisa sequenza di atti. Tale disparità di trattamento, secondo la ricorrente, non può ritenersi giustificata dall’interesse pubblico sotteso alla liquidazione coatta amministrativa, riguardante nella specie una categoria di imprese che non riveste caratteri di centralità e rilevanza nel panorama economico nazionale.

1.1. – E’ opportuno premettere che la rilevanza della questione non è esclusa, nella specie, dalla sopravvenienza. nel corso del giudizio, del D.Lgs. 12 settembre 2007, n. 169, art. 18, comma 5, il quale ha sostituito l’art. 214, disponendo espressamente, nel nuovo testo, che la proposta di concordato dev’essere non solo pubblicata mediante inserzione nella Gazzetta Ufficiale e deposito presso l’ufficio del registro delle imprese, ma anche comunicata a tutti i creditori ammessi a passivo, nelle forme previste dalla L. Fall., art. 26, comma 3, e che il termine per la proposizione delle opposizioni decorre dalla comunicazione per i creditori e dall’esecuzione delle formalità pubblicitarie per ogni altro interessato.

E’ pur vero che l’art. 22 del medesimo D.Lgs., nel dettare la disciplina transitoria, si limita, al comma terzo, ad estendere l’applicabilità dell’art. 18, comma 5, alle procedure concorsuali pendenti, senza nulla disporre in ordine a quelle di concordato, a differenza del comma 2, il quale precisa che le altre disposizioni della riforma si applicano, oltre che ai procedimenti per dichiarazione di fallimento pendenti alla data della sua entrata in vigore, "alle procedure concorsuali e di concordato fallimentare aperte successivamente alla sua entrata in vigore", in tal modo escludendo l’applicabilità delle stesse alle procedure di concordato per le quali alla predetta data sia già intervenuta la relativa proposta. Avuto peraltro riguardo all’irrazionalità degli effetti che si produrrebbero nel caso di innesto della nuova disciplina su quella previgente, soprattutto con riferimento ai criteri di valutazione della proposta concordataria ed allo svolgimento del giudizio di omologazione, appare più ragionevole ricondurre l’assenza di un’analoga precisazione nel comma quinto all’intento del legislatore di estendere la nuova disciplina alle procedure di liquidazione coatta amministrativa già in corso, limitatamente alle proposte di concordato avanzate successivamente alla sua entrata in vigore (cfr. con riguardo ai requisiti di legittimità della proposta. Cass., Sez. 1, 18 marzo 2008. n. 7263).

Nel presente giudizio, trova pertanto applicazione il testo originario dell’art. 214, il quale, al comma 2, faceva decorrere il termine per la proposizione delle opposizioni dal deposito della proposta di concordato presso la cancelleria del tribunale, senza prevedere a carico del proponente o del commissario liquidatore un obbligo di darne comunicazione ai creditori, ma disponendone soltanto la pubblicazione nelle forme indicate dall’autorità di vigilanza.

1.2. – Tale disciplina si differenziava solo parzialmente da quella dettata per il concordato fallimentare dalla L. Fall., art. 125, della il quale, pur prevedendo la comunicazione della proposta ai creditori a mezzo di lettera raccomandata (comunicazione che, in presenza di un rilevante numero di destinatari, poteva essere sostituita, a norma dell’art. 126, dalla pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale ed eventualmente in altri giornali), faceva decorrere il termine per la dichiarazione di dissenso dalla data del deposito della proposta in cancelleria. In realtà, era l’art. 129 a prevedere che. in caso di approvazione della proposta dai parte dei creditori, ne dovesse essere data comunicazione a proponente, al fallito e ai creditori dissenzienti, facendo decorrere da tale comunicazione il termine per la proposizione di eventuali opposizioni. Nessuna comparazione sarebbe d’altronde possibile tra la disciplina dettata dall’art. 214 e quella di cui all’art. 125, dal momento che in riferimento al concordato di liquidazione non è prevista una fase di votazione analoga a quella contemplata per il concordato fallimentare, avendo il legislatore demandato la tutela dei creditori al solo strumento dell’opposizione, al fine di favorire l’approvazione della proposta concordataria, evitando che nell’ambito della votazione essa possa rimanere bloccata dal gioco delle maggioranze.

Quanto alle differenze riscontrabili tra l’art. 214 e l’art. 129, esse trovano giustificazione nell’interesse pubblico sotteso all’intera disciplina della liquidazione coatta amministrativa ed in particolare a quella del relativo concordato, il quale esclude la possibilità di assumere quale tertium comparationis, ai fini del giudizio di legittimità costituzionale per violazione dell’art. 3 Cost., la disciplina del concordato fallimentare, ispirata in via esclusiva alla tutela degli interessi del ceto creditorio.

Certamente, come questa Corte ha riconosciuto, la rilevanza economica e sociale dell’impresa, che comporta la sua sottoposizione ad una disciplina peculiare, nella quale la sua eliminazione dal mercato o il suo recupero sono gestiti direttamente in sede amministrativa, non si spinge fino al punto da legittimare, in sede di concordato, il sacrificio senza indennizzo delle posizioni dei creditori, attraverso la sottrazione di alcuni beni alla garanzia generica di cui al l’art. 2740 cod. civ., o la previsione di trattamenti definitivi differenziati tra i creditori (cfr. Cass., Sez. 1^, 19 settembre 2006, n. 20259). Essa tuttavia appare sufficiente a giustificare la previsione di modalità di svolgimento della procedura diverse da quelle ordinarie, ed in particolare la limitazione dei poteri del giudice, in sede di approvazione della proposta, alla sola tutela dei diritti dei creditori, con la riserva all’autorità amministrativa della valutazione preventiva in ordine alla convenienza del concordato, e la conseguente esclusione della fase di votazione (cfr.

Cass., Sez. 1^, 18 marzo 2008. n. 7263). Le stesse dimensioni organizzative dell’imprese sottoposte a liquidazione coatta amministrativa e la rilevanza economico-sociale della loro attività risultano di per sè idonee, in numerosi casi, a coinvolgere nel dissesto ampie categorie di soggetti, portatori di interessi anche diversi da quelli dei creditori, motivando l’attribuzione della legittimazione a proporre opposizione non solo ai creditori, ma, più in generale, a tutti gli interessati. Ed è proprio l’apertura del giudizio di opposizione a pretese diverse da quelle strettamente creditorie, derivante da questo allargamento della legittimazione a soggetti non individuabili preventivamente, a indicare la ragione che ha indotto il legislatore a prevedere una forma differenziata di diffusione della proposta, svincolando dalla stessa la decorrenza del termine per l’opposizione.

In quest’ottica, può escludersi che l’art. 214 dia luogo ad un’ingiustificata disparità di trattamento anche in riferimento alla disciplina dettata per l’opposizione allo stato passivo, avendo quest’ultima ad oggetto pretese di singoli soggetti già individuati in sede di verifica dei crediti, e rispetto ai quali non sorgono pertanto difficoltà di comunicazione.

La scelta compiuta con la disposizione in esame non appare dunque priva di giustificazione, nè può ritenersi inficiata dalla circostanza, emergente dalla successiva evoluzione legislativa, che fossero ipotizzagli forme diverse di comunicazione, idonee ad assicurare maggiori garanzie di conoscenza per alcuni dei destinatari, spettando alla discrezionalità del legislatore, nei limiti segnati dal rispetto dei criteri di ragionevolezza, la disciplina del diritto di difesa, le cui modalità di esercizio possono ben essere conformate con norme particolari rispondenti alla specialità del procedimento ed alle finalità che con esso si vogliono raggiungere.

La questione di legittimità costituzionale va pertanto dichiarata manifestamente infondata, con il conseguente rigetto del primo motivo d’impugnazione, riflettente la decorrenza del termine per la proposizione dell’opposizione.

2. – La conferma della sentenza impugnata, nella parte in cui ha ribadito la tardività della domanda, comporta l’inammissibilità del primo motivo d’impugnazione, con cui la ricorrente deduce l’incompatibilità della disciplina dettata dalla L. Fall., art. 214, e dalla L. 28 ottobre 1999, n. 410, art. 5, con gli artt. 2, 87 e 234 del Trattato UE, invocando la disapplicazione della stessa o il rinvio pregiudiziale della questione alla Corte di Giustizia CE, e denunciando inoltre la violazione e la falsa applicazione dell’art. 2696 cod. civ., e segg., nonchè l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia.

2.1. – Tale censura, riflettente la riconducibilità della disciplina del concordato di liquidazione dei consorzi agrari alla nozione di aiuto di Stato incompatibile con la concorrenza, attiene infatti al merito dell’opposizione alla proposta di concordato, ed avrebbe dovuto essere considerata assorbita dal rilievo della tardività della domanda, di per sè idoneo a reggere la dichiarazione d’inammissibilità pronunciata dal giudice di primo grado e confermata dalla Corte d’Appello; le argomentazioni da quest’ultima svolte al riguardo si configurano pertanto come una motivazione ad abundantiam, che, in quanto estranea alla ratio decidendi della sentenza impugnata, è improduttiva di effetti giuridici, e non può quindi essere oggetto d’impugnazione, per difetto d’interesse (cfr.

Cass., Sez. Un., 2 aprile 2007, n. 8087; 20 febbraio 2007, n. 3840;

Cass., Sez. 3^, 5 luglio 2007, n. 15234).

3. – Il ricorso va pertanto rigettato, con la conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali, che si liquidano come dal dispositivo.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso, e condanna la Società Gestione per il Realizzo S.p.a. al pagamento delle spese processuali, che si liquidano a favore di ciascuno degli intimati in complessivi Euro 2.200,00, ivi compresi Euro 2.000,00 per onorario ed Euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese generali ed agli accessori di legge.

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