Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 04-04-2011, n. 7647 Contributi

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con ricorso del 5 novembre 2008 l’Associazione Oasi Maria S.S. si rivolgeva al Tribunale di Enna proponendo opposizione al decreto del 14 dicembre 1999 con cui èva stato ingiunto il pagamento in favore dell’INPS di L. 6.239.847.919 per contributi previdenziali omessi dal 1 ottobre 1995 al 30 novembre 1998. Il Tribunale accoglieva l’opposizione ritenendo inesistenti gli obblighi contributivi dedotti dall’ente previdenziale, che, da un lato, per il periodo considerato l’Associazione poteva usufruire dell’esonero dai contributi alla Cassa unica per gli assegni familiari (CUAF), ai sensi della L. n. 33 del 1980, art. 23 bis essendosi già accertata, con precedente decisione dello stesso Tribunale – passata in giudicato – relativa a periodo contributivo anteriore, l’assenza di fini di lucro nell’attività svolta dall’opponente, e, dall’altro, con riferimento agli altri contributi, non poteva applicarsi, in relazione al solo ritardo nella corresponsione delle retribuzioni ai dipendenti, la sanzione prevista dalla L. n. 389 del 1989, art. 6, comma 9, – applicata invece dall’Istituto – riguardante la diversa ipotesi della mancata osservanza dei minimi retributivi previsti dalla contrattazione collettiva.

2. Tale decisione veniva parzialmente riformata dalla Corte d’appello di Caltanissetta, che, con la sentenza qui impugnata, confermava la statuizione relativa all’esonero dai contributi CUAF e dichiarava, invece, la sussistenza dell’obbligazione relativa ai restanti contributi di cui al decreto ingiuntivo opposto, in particolare, per quanto rileva nella presente sede di legittimità, la Corte di merito osservava che: a) il giudicato formatosi sulla spettanza dell’esonero dai contributi per assegni familiari, ancorchè riguardante un periodo contributivo anteriore, spiegava efficacia anche per il periodo in questione, alla stregua di un generale principio affermato dalla giurisprudenza di legittimità, non essendo state dedotte, nella specie, circostanze nuove idonee a modificare la situazione presa in esame dalla precedente decisione passata in giudicato; b) la corresponsione delle retribuzioni con circa sei mesi di ritardo, integrando l’inadempimento di un’obbligazione primaria del datore di lavoro, comportava l’applicazione della sanzione di decadenza dai benefici relativi ai restanti contributi pretesi dall’ente previdenziale, a prescindere dal rispetto dei minimi retributivi previsti dal contratto collettivo.

2. La cassazione di questa decisione viene domandata dall’Associazione con ricorso articolato in un unico motivo.

L’Istituto resiste con controricorso e propone, a sua volta, ricorso incidentale con un motivo di impugnazione.
Motivi della decisione

1. In via preliminare, 1 ricorsi devono essere riuniti, ai sensi dell’art. 335 c.p.c., in quanto proposti avverso la stessa sentenza.

2. Con il proprio ricorso l’Associazione denuncia violazione e falsa applicazione della L. n. 389 del 1989, art. 6, comma 9. Si sostiene che la decadenza, ivi prevista, dai benefici contributivi non può trovare applicazione in relazione ad un occasionale ritardo nel pagamento dei trattamenti retributivi, conformi ai minimi fissati dal c.c.n.l..

Il ricorso incidentale dell’Istituto denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c. Si deduce che il giudicato – relativo all’esonero dai contributi CUAF – formatosi per un periodo anteriore non poteva spiegare alcun effetto per i periodi contributivi successivi.

4. Il ricorso principale non è fondato.

1.1. Il D.L. 9 ottobre 1989. n. 838, art. 6, comma 9 convertito con modificazioni nella L. 7 dicembre 1989, n. 389, prevede la decadenza dal diritto alla fiscalizzazione degli oneri, sociali e agli sgravi contributivi in relazione ai lavoratori che non siano stati denunciati agli istituti previdenziali, ovvero siano stati denunciati con orari o giornate di lavoro inferiori a quelli effettivamente svolti o con retribuzioni inferiori a quelle minime previste dai contratti collettivi, ovvero siano stati retribuiti in misura inferiore a tali retribuzioni minime.

4.2. Nella specie, è stato accertato che l’Associazione ha corrisposto la retribuzione ai propri dipendenti, in misura non inferiore a quella minima prevista dal contratto collettivo, ma in ritardo di circa sei mesi dalla scadenza, attribuendosi, però, lo sgravio contributivo anche per i mesi in cui la retribuzione non veniva corrisposta.

4.3. Il Collegio ritiene che in tale situazione operi la decadenza prevista dalla L. n. 389 del 1989, art. 6, comma 9 così come affermato dalla sentenza impugnata.

Con riguardo all’attribuzione dei benefici conseguenti alla fiscalizzazione degli oneri sociali e agli sgravi contributivi la giurisprudenza di questa Corte ha precisato che il Legislatore, subordinando i benefici alla erogazione ai dipendenti di un trattamento retributivo non inferiore a quello minimo previsto dalla disciplina collettiva, ha inteso collegare alla retribuzione corrisposta ai dipendenti il vantaggio di una contribuzione ridotta, sì da ripartire l’agevolazione fra le imprese e i lavoratori (c.d. clausola sociale) (cfr. Cass. n. 189 10 del 2004). In particolare, il collegamento avviene mediante la configurazione di un onere a carico dell’impresa, consistente nella corresponsione della retribuzione minima fissata dal contratto collettivo applicabile nello specifico settore. La verifica dell’adempimento dell’onere va compiuta in concreto. Ne consegue che non è sufficiente che il datore di lavoro si limiti a denunciare la suddetta retribuzione fissata dalla contrattazione collettiva, dovendo invece materialmente corrisponderla (cfr. Cass. n. 1748 del 2001); e, nell’ambito di un tale criterio di effettività, rileva dunque l’ipotesi in cui la retribuzione, quantunque denunciata nella misura minima indispensabile per la fruizione dei benefici, non sia effettivamente corrisposta: ipotesi cui va assimilata la situazione accertata nella controversia in esame, siccome il ritardo nel pagamento delle retribuzioni integra un inadempimento dell’obbligazione contrattuale imposta al datore di lavoro, ai sensi dell’art. 1218 c.c. e incide, d’altra parte, sulla effettiva consistenza della retribuzione e sulla sua idoneità a garantire ai lavoratovi una esistenza libera e dignitosa, così come esattamente rilevato dal giudice del merito.

5. Infondato è anche il ricorso incidentale dell’INPS. E’ necessario osservare, per quanto attiene all’esatta interpretazione dell’art. 2909 c.c. che in ordine ai rapporti giuridici di durata ed alle obbligazioni periodiche che eventualmente ne costituiscano il contenuto il giudice pronuncia con accertamento su una fattispecie attuale ma con conseguenze destinate ad esplicarsi anche in futuro. Pertanto l’autorità del giudicato impedisce il riesame e la deduzione di questioni tendenti alla decisione nuova di questioni già risolte con provvedimento definitivo, che esplica efficacia anche nel tempo successivo alla sua emanazione: nel lessico meno recente si esprimeva questa efficacia pro futuro della regiudicata affermandosi che la pronuncia giudiziale sulla "maggiore obbligazione" valeva su ogni sua "parte" che venisse successivamente controversa. Essa viene meno soltanto di fronte a qualsiasi sopravvenienza, di fatto o di diritto, che muti il contenuto materiale del rapporto o ne modifichi il regolamento. Questi consolidati principi sono stati riaffermati dalla Corte, anche a sezioni unite (cfr. Cass. n. 3230 del 2001; Cass., sez. un., n. 383 del 1999; Id, n. 13916 del 2006), essendosi precisato, con riferimento ai diritti ed agli obblighi che derivano dai rapporti di durata, che, se con una pronuncia passata in giudicato si accerta l’esistenza di determinati diritti (e correlativamente di obblighi gravanti sulla controparte, dei quali sono oggetto prestazioni da eseguire periodicamente), con una seconda pronuncia non può essere posta nel nulla la precedente statuizione a situazione normativa e fattuale immutata, mentre un diverso assetto degli interessi coinvolti può essere disposto, senza violazione alcuna del principio dell’intangibilità del giudicato, qualora si accerti la modificazione di quella situazione. La Corte ha anche affermato che, qualora due giudizi tra le stesse parti abbiano riferimento al medesimo rapporto giuridico, ed uno dei due sia stato definito con sentenza passata in giudicato, l’accertamento così compiuto in ordine alla situazione giuridica ovvero alla soluzione di questioni di fatto e di diritto relative ad un punto fondamentale comune ad entrambe le cause, formando la premessa logica indispensabile della statuizione contenuta nel dispositivo della sentenza con autorità di cosa giudicata, preclude il riesame dello stesso punto di diritto accertato e risolto, e ciò anche se il successivo giudizio abbia finalità diverse da quelle che hanno costituito lo scopo ed il petitum del primo (Cass. n. 6041 del 2000; n. 10280 del 2000).

6. Deve quindi ribadirsi che, in caso di situazioni giuridiche di durata, oggetto del giudicato è l’unico rapporto giuridico continuato e non gli effetti verificatisi nei singoli periodi del suo svolgimento. A tale principio si è attenuta la sentenza impugnata, avendo accertato l’assenza di alcuna allegazione dell’Istituto in ordine ad una eventuale modificazione della situazione di fatto e di diritto relativa al carattere non lucrativo dell’attività svolta dall’Associazione Oasi Maria S.S. 7. In conclusione, entrambi i ricorsi devono essere respinti. Si compensano fra le parti le spese del giudizio in ragione della loro reciproca soccombenza.
P.Q.M.

LA CORTE riuniti i ricorsi, li rigetta. Compensa le spese.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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