Cass. civ. Sez. II, Sent., 04-04-2011, n. 7632 Esecuzione specifica dell’obbligo di concludere il contratto Risoluzione del contratto per inadempimento

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con atto notificato il 27.11.98 L.L. citò al giudizio del Tribunale di Napoli la società Del Vecchio Costruzioni, s.p.a. in liquidazione, al fine di sentir pronunziare la risoluzione, per inadempimento della stessa, del contratto preliminare di compravendita del 22.7.93, ad oggetto di un immobile, in corso di costruzione all’epoca della stipula, sito in (OMISSIS), per il prezzo di L. 175.000.000, di cui 87.500.000 già versate ed il resto costituito dall’accollato mutuo fondiario. A sostegno dell’anzidetta domanda e di quella, subordinata, di riduzione del prezzo la L. deduceva che l’immobile, consegnatole in data 16.12.94, anzichè 22.9.94 come pattuito, oltre ad essere privo di licenza di abitabilità e notevolmente difforme dalla concessione edilizia, era risultato affetto da numerose carenze, evidenziate nella stessa circostanza, per cui, persi stendo la controparte nelle inadempienze, ella si era rifiutata di addivenire alla stipula dell’atto pubblico traslativo; deducendo, inoltre, di aver apportato addizioni e miglioramenti all’immobile, l’attrice ne chiedeva il rimborso, oltre al risarcimento dei danni ed alla restituzione del prezzo, nel caso di accoglimento della domanda principale. La convenuta si costituì, chiedendo il rigetto di ogni domanda attrice, in particolare eccependo la tardività della denunzia dei vizi ex art. 1495 c.c. L’inadempienza della promissaria acquirente, per essersi rifiutata di stipulare il contratto definitivo, per aver omesso di pagare gli interessi di preammortamento del mutuo all’atto della consegna le spese di frazionamento dello stesso e le successive rate, nonchè il difetto di autorizzazione alle modifiche apportate all’immobile in via riconvenzionale chiese dichiararsi la legittimità dell’esercitato recesso ed il proprio diritto ad incamerare la caparra ex art. 1385 c.c., con condanna dell’attrice alla restituzione dell’immobile e ad un’indennità per l’indebita relativa occupazione. All’esito dell’istruttoria istruzione documentale e testimoniale e della disposta consulenza tecnica, con sentenza del 13.1.04 l’adito tribunale, dichiarato prevalente l’inadempimento dell’attrice, ne rigettò la domanda, dichiarò legittimo il recesso della convenuta, con diritto alla ritenzione della caparra, e condannò la L. al risarcimento dei danni, in misura di Euro 30367,67, oltre agli interessi legali dalla data della sentenza al saldo, al rilascio immediato dell’immobile ed alle spese del giudizio.

Proposto dalla soccombente appello, resistito, con proposizione di gravame incidentale, dall’appellatala Corte di Napoli, con sentenza 12/28-7-05 respingeva le reciproche impugnazioni compensando interamente le spese del grado.

Tali, in sintesi e per quanto ancora rileva a seguito del ricorso le ragioni della suesposta decisione:

a) insussistenza della nullità, dedotta dall’attrice, del contratto L. n. 47 del 1985, ex artt. 17 e 40 essendo siffatta sanzione prevista soltanto per le ipotesi, non sanate, di mancanza della licenza o concessione edilizia o totale difformità dalle stesse, e non anche per quelle di difformità parziali;

b) inapplicabilità, comunque, delle disposizioni citate ai contratti aventi efficacia meramente obbigatoria, quali quelli preliminari;

Resistenza di una clausola contrattuale l’art 12, escludente alcuna rilevanza, ai fini della consegna dell’immobile e della stipula del definitivo, del rilascio della licenza abitabilità;

d) non riconducibilità della clausola suddetta al novero di quelle "vessatorie" di cui agli artt. 1341 e 1342 c.c., risultando da vari indici, testuali ed emergenti dal contesto complessivo della contrattazione, svoltasi in condizioni di sostanziale parità tra le parti, che il contratto non potesse considerarsi "per adesione", o concluso su "moduli o formulari " predisposti da una sola parte;

e) difetto di specificità, ex art. 342 c.p.c., della censura deducente la sottovalutazione dei vizi dell’immobile, non essendo al riguardo sufficiente il mero richiamo alla consulenza di parte.

Avverso la suddetta sentenza L.L. ha proposto ricorso per cassazione, affidato a cinque motivi, illustrati con successiva memoria.

Ha resistito la società Del Vecchio Costruzioni s.p.a. in liquidazione, con controricorso.
Motivi della decisione

Con il primo motivo del ricorso, deducente violazione o falsa applicazione della L. n. 724 del 1994, artt. 17 e 40, 39 e della L. n. 662 del 1996, art. 2, comma 57 con connesse carenza e contraddittorietà di motivazione, si censurano le argomentazioni con le quali la corte di merito ha escluso la configurabilità delle ipotesi di nullità di cui alle sopra citate disposizioni, per contraddittorietà e per omessa considerazione che nella specie le difformità non erano limitate a quelle dichiarate nella domanda di condono (modifiche prospettiche degli edifici, diversa distribuzione degli interni, mancata realizzazione della autorimessa interrata), peraltro divenuta improcedibile, ma attenevano a ben più gravi irregolarità (segnatamente eccesso volumetrico per circa mc 1.000, diversità delle unità immobiliari realizzate, per numero e tipologia); sicchè legittimo sarebbe stato, in mancanza della relativa sanatoria, non più ottenibile, oltre che della licenza di abitabilità, il rifiuto della promissaria acquirente di stipulare l’atto pubblico e di adempiere le altre proprie obbligazioni.

Con il secondo motivo, deducente violazione e falsa applicazione dell’art. 1362 c.p.c. e segg. e connesse carenze e contraddittorietà della motivazione, si censura l’interpretazione del compromesso, con riferimento alla clausola n. 12, per avere i giudici di merito erroneamente ravvisato nella stessa un esonero assoluto della promittente venditrice da responsabilità per il mancato ottenimento della licenza di abitabilità, senza tener conto del chiaro tenore letterale della stessa, prevedente comunque l’onere della relativa richiesta, nella specie neppure proposta dall’impresa, come pur documentato dalla difesa della deducente. Si soggiunge di avere, al riguardo, anche proposto alla Corte d’Appello richiesta di revocazione ex art. 395 c.p.c., n. 4.

Con il terzo motivo si deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 1362 c.c. e segg., carenza e contraddittorietà della motivazione, per aver ritenuto conseguita, per silenzio – assenso, la sanatoria per condono ed irrilevante la mancanza di certificato di abitabilità, senza considerare che l’oblazione assolta dalla società Del Vecchio era quella dovuta soltanto per gli abusi minori da essa dichiarati e non per quelli, di maggior rilevanza in precedenza menzionati, irregolarità urbanistiche comportanti l’impossibilità di accatastamento e di conseguimento della licenza di abitabilità, carenze delle quali, contrariamente a quanto, immotivatamente e con erronea interpretazione della clausola 12 del contratto, ritenuto dalla corte di merito, avrebbe dovuto rispondere la promittente venditrice.

Con il quarto motivo, deducente violazione dell’art. 1299 c.c., si censura la mancata dichiarazione di nullità, ai sensi di tale norma, della clausola sopra citata, ove interpretata nei, pur censurati, termini di totale esonero, in quanto integrante un patto preventivamente escludente la responsabilità del debitore per dolo o colpa grave.

Con il quinto motivo si denuncia, infine, la mancata pronunzia, in violazione dell’art. 112 c.p.c., sulla subordinata domanda di riduzione del prezzo, dei vizi e carenze dell’immobile. Tanto premesso, vanno anzitutto esaminati congiuntamente, per la stretta connessione tra le relative censure, il primo ed il terzo motivo e dichiarata la fondatezza degli stessi. La Corte di merito ha affrontato, in termini peraltro insufficienti, come si dirà oltre, i problema della validità L. n. 47 del 1985, ex artt. 17 e 40 del contratto preliminare, senza considerare che non su tale negozio si controverteva, bensì sulla validità o meno del non stipulato atto pubblico di trasferimento del bene, cui le parti si erano impegnate con il compromesso, al fine di stabilire se il rifiuto di addivenire allo stesso (con la connessa sospensione dei pagamenti del mutuo) ex art. 1460 c.c., opposto dalla promissaria acquirente, motivato dalla impossibilità di una valida stipulazione, fosse o meno legittimo.

Così individuato l’essenziale thema decidendum, palese risultando l’inconferenza della ratio decidendi (sull’inapplicabilità ai contratti preliminari delle comminatorie di nullità di cui alle sopra citate disposizioni speciali) sub b) riportata in narrativa, in un contesto nel quale l’appellante aveva dedotto che il proprio rifiuto era motivato, oltre che dai vizi dai quali l’immobile consegnato era affetto, anche e soprattutto dalla incommerciabilità dello stesso, in quanto affetto da totale difformità, rispetto al progetto assentito nel titolo concessorio, non sanabile con la domanda di condono (peraltro neppure pervenuta a buon esito) prodotta dalla società costruttrice e promittente venditrice, relativa a sole difformità architettoniche non essenziali, compito della corte di merito sarebbe stato quello di accertare l’effettiva consistenza delle denunciate irregolarità afferenti l’immobile, nel contesto complessivo dell’intervento edilizio, e di verificare, ai fini della possibilità di una valida stipulazione L. n. 47 del 1985, ex artt. 17 e/o 40 oltre che della possibilità di conseguimento della licenza di abitabilità, se le stesse avessero formato oggetto di richiesta di sanatoria. Va al riguardo ribadito il principio, recentemente riaffermato da questa Corte secondo cui "in tema di esecuzione specifica dell’obbligo di concludere un contratto di compravendita, ai sensi della L. 28 febbraio 1985, n. 47, art. 40 non può essere pronunziata sentenza di trasferimento coattivo ex art. 2932 cod. civ. (e quindi neppure alla stipula dell’atto di trasferimento) non solo qualora l’immobile sia stato costruito senza licenza o concessione edilizia (e manchi la prescritta documentazione alternativa concessione in sanatoria o domanda di condono corredata dalla prova dell’avvenuto versamento delle prime due rate dell’oblazione), ma anche quando l’immobile sia affetto da totale difformità dalla concessione e manchi la sanatoria" (Cass. n. 2058/09). A tale indirizzo il collegio ritiene di conformarsi, considerato che nel contesto della L. n. 47 del 1985 l’ipotesi di costruzione in totale difformità dalla concessione o con variazioni essenziali risulta, agli effetti sanzionatori, sia amministrativi (v. art. 7), sia penali (v. art. 20 lett. b), del tutto equiparata a quella dell’assenza di concessione e tenuta distinta da quella di difformità parziale (v. artt. 12 e 20 lett. a), sicchè risulterebbe del tutto irragionevole escludere siffatta equiparazione sul solo piano sanzionatorio civile, tenuto conto delle esigenze di impedire la circolazione di immobili affetti di radicale illegittimità della relativa edificazione sottese alle comminatorie di cui agli artt. 17 e 40, che risulterebbero del tutto frustrate nei casi in cui il titolo concessorio costituisca soltanto un pretesto esteriore per mascherare un ben più consistente intervento edilizio.

Palesemente carente e superficiale, pertanto, risulta la motivazione della sentenza impugnata, laddove, pur avendo esordito con la corretta affermazione secondo cui "la disciplina di cui alla L. n. 47 del 1985, artt. 17 e 40 trova applicazione soltanto in caso di opere abusive realizzate in totale difformità o in assenza della licenza o concessione" (v. pag. 4 ult.p.) ed altrettanto correttamente citato L. n. 794 del 1994, art. 39, n. 4 che espressamente equipara al mancato pagamento dell’oblazione i casi in cui la stessa sia stata determinata "in modo non veritiero e palesemente doloso", in un contesto nel quale l’appellante aveva proprio dedotto che tale fosse la situazione concreta, per la non rispondenza della oblazione alla effettiva consistenza delle difformità essenziali connotanti l’intervento edilizio, conclude del tutto sbrigativamente con la reiezione della doglianza deducente l’incommerciabilità dell’immobile, senza dar conto della natura ed entità delle irregolarità, rispetto al titolo edificatorio, in concreto effettivamente sussistenti, sulla base di un adeguato accertamento di fatto, indipendentemente da quello basato sul mero formale dato documentale, costituito da una domanda di condono e dal pagamento della relativa oblazione. L’accertamento omesso era particolarmente rilevante ai fini della valutazione comparativa, funzionale all’attribuzione della prevalente responsabilità della mancata esecuzione del contratto, delle condotte delle parti, considerato che l’eventuale totale illegittimità,non sanata,della costruzione dell’immobile, sarebbe stata di ostacolo, oltre che alla stipulazione del definitivo contratto traslativo,anche all’iscrizione in catasto ed al rilascio della licenza di abitabilità, costituente per costante giurisprudenza di questa Corte un indispensabile requisito funzionale alla destinazione economico – sociale del bene oggetto della compravendita immobiliare,in quanto attinente alla sua legittima fruibilità (v. art. 1477 c.c., comma 3) ed incidente sulla relativa successiva commerciabilità (v. tra le altre, Cass. nn. 25040/09, 1701/09, 8880/00). Tali ultime considerazioni comportano la fondatezza anche del secondo motivo, perchè la corte territoriale, valorizzando soltanto la parte finale della clausola, relativa all’esonero della promittente venditrice da responsabilità in ordine all’esito della pratica di abitabilità, non ha tenuto conto, così violando il fondamentale canone ermeneutico di cui all’art. 1362 c.c., del chiaro tenore della stessa, comportante comunque l’impegno della suddetta parte a richiederne l’autorizzazione. Sicchè, anche a prescindere dalla prevista non incidenza dell’avvenuto rilascio della licenza al momento della stipula, la dedotta mancata presentazione della relativa istanza da parte del contraente che vi era convenzionalmente onerato, anche in considerazione delle ragioni,derivanti al mancato perfezionamento della sanatoria (sia pure in relazione ai minori abusi dichiarati), che lo avrebbero, secondo l’appellante, determinato, avrebbe comunque integrato un comportamento inadempiente, di cui tener conto nell’ambito della suddetta valutazione comparativa; il mancato accertamento al riguardo si è, pertanto, risolto in difetto di motivazione su un punto decisivo della controversia. I rimanenti motivi, subordinati rispetto a quelli accolti, restano assorbiti. La sentenza impugnata va conclusivamente cassata, in relazione alle censure accolte, con rinvio ad altra sezione della corte di provenienza, cui si demanda anche il regolamento delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.

LA CORTE accoglie i primi tre motivi di ricorso, dichiara assorbiti i rimanenti, cassa la sentenza impugnata in relazione alle censure accolte e rinvia, anche per le spese del presente giudizio, ad altra sezione della Corte d’Appello di Napoli.

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