Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 09-11-2010) 21-02-2011, n. 6426

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

el PG.
Svolgimento del processo – Motivi della decisione

B.C., B.A. e M.A., tramite i rispettivi difensori ricorrono per Cassazione avverso la sentenza 9.2.2010 con la quale la Corte d’Appello di Milano in parziale riforma della decisione emessa dal Tribunale di Milano il 17.5.2007, ritenuta per B.C. e B.A. la sussistenza del vincolo della continuazione fra i fatti oggetto del presente procedimento e quelli già giudicati con sentenza emessa dal GUP presso il Tribunale di Milano il 19.11.2004 (divenuta irrevocabile il 18.12.2007), ritenuti questi ultimi più gravi, ha determinato l’aumento in continuazione per B.A. in anni due, mesi sei di reclusione e Euro 600,00 di multa, (indicando la pena complessiva in anni dieci, mesi sei di reclusione e Euro 12.600,00 di multa) e per B.C. in anni due, mesi quattro ed Euro 400,00 di multa, indicando la pena complessiva in anni dieci, mesi quattro di reclusione e Euro 12.400,00 di multa. La Corte territoriale confermava in anni tre di reclusione e Euro 1.000,00 di multa la condanna per M., eliminando le statuizioni civili disposte in primo grado a carico dello stesso M. e della EURONORD Holding spa. La Corte territoriale, infine condannava gli imputati in solido fra loro al pagamento delle spese di proseguita rappresentanza ed assistenza in favore delle costituite parte civili.

Dalla sentenza di merito si apprende che a seguito di denuncia di N.G., titolare di uno studio commercialista in (OMISSIS) di cui G.C. era socia, emergeva che nei conti correnti intestati ad alcune procedure fallimentari di cui la stessa G. era curatore, erano state prelevate ingenti somme di denaro sulla base di autorizzazioni al pagamento formalmente emesse dai giudici delegati ai diversi fallimenti, ma alterate negli importi delle somme e nell’indicazione dei nominativi dei beneficiari. Dopo pochi giorni dall’avvio delle indagini, la G. si presentava all’Autorità Giudiziaria, confessando un’appropriazione, nel corso di dieci anni, di circa Euro 35 milioni, prelevati dalla procedure fallimentari di cui era curatore, mediante la falsificazione di mandati di pagamento firmati dai Giudici delegati. Nello stesso contesto confessorio l’imputata ammetteva che il denaro prelevato era stato destinato ai fratelli A. e B.C., titolari della società RADIO MILANO INTERNATIONAL spa e (direttamente o indirettamente) delle società, "ONE o ONE", "RADIO SERVICE" Srl, "GENERAL BROADCASTING RADIO GBR" spa.

B.A., interrogato, confermava a grandi linee le dichiarazioni rese dalla G., sia con riferimento ad una loro relazione sentimentale, sia per quanto attinente all’entità delle somme convogliate verso la società, negando però di essere stato a conoscenza della provenienza delittuosa delle somme stesse. Sulla base delle indagini è risultato che la G. falsificava le autorizzazioni di prelievo firmate dal giudice delegato al fallimento relative alla esecuzione dei piani di riparto ex L. Fall., art. 111;

G. presentava alla banca presso la quale era acceso il conto corrente della procedura fallimentare, l’autorizzazione al prelevamento, regolarmente firmata dal giudice, ma in cui era stato omesso di riportare l’importo della somma in lettere, per cui la stessa G. poteva modificare la indicazione delle somme riportate in cifre e poi inserire l’importo, così modificato, anche in lettere. In questo modo la somma originariamente autorizzata dal giudice veniva erogata all’avente diritto, mentre la somma residua, frutto della manipolazione del provvedimento, veniva utilizzata a favore dei fratelli B. e di altri destinatari il cui nominativo era stato indebitamente aggiunto dalla G. nella stessa autorizzazione al prelievo. Nel corso delle indagini veniva accertato anche che parte delle somme così sottratte dalla G. venivano trasferite presso la Banca CREDIEURONORD, sul conto (OMISSIS) intestato alla RADIO MILANO INTERNATIONAL spa. Presso la stessa banca sono risultati aperti numerosi altri conti correnti intestati ai fratelli B. ed alle società loro facenti capo o direttamente o per interposta persona, nonchè alla figlia di B.A.. Sulla scorta degli accertamenti compiuti emergeva altresì che i B. avvalendosi della collaborazione del M.A., dipendente della banca, gestivano l’intera movimentazione di denaro proveniente dalla G., operando i trasferimenti delle somme dal conto (OMISSIS) agli altri conti, senza che emergessero specifiche evidenze in tal senso; infatti il M. permetteva ai B. operare mediante prelievi dal conto (OMISSIS) e successivi riversamenti, per "contante virtuale" e per importi frazionati, su altri conti accesi presso la stessa banca ed intestati ad altre società del gruppo o alle persone fisiche dei B. o della figlia dell’ A., o su libretti al portatore e ciò senza che tra le società risultassero rapporti di debito/credito. Nel corso dell’indagine emergevano altresì consistenti prelievi dal conto (OMISSIS) di somme poi riversate favore della società ELISHIP e di altre collegate al gruppo B..

La polizia giudiziaria accertava infine che la società ELISHIP utilizzava tre diversi capannoni in provincia di (OMISSIS) ( (OMISSIS)). La perquisizione degli immobili permetteva il sequestro di Tir con il logo di radio ONE e ONE, macchine di lusso e d’epoca, imbarcazioni da diporto, preziosi, elicotteri, aerei, moto di grosso cilindrata, numerose armi e munizioni e altri oggetti similari.

Dalle sentenze di merito si apprende che la G. è stata sottoposta a separato giudizio per violazione del reato di cui all’art. 314 c.p.; il processo è stato definito con sentenza della Corte di Cassazione del 18.12.2007 con la conferma della condanna per il delitto di peculato. Dalla lettura della sentenza da ultimo citata, si rileva che i fratelli B. sono stati già sottoposti procedimento penale e condannati per la violazione dell’art. 648 bis c.p., per fatti analoghi, contestuali e connessi a quelli oggetto del presente giudizio realizzando i "riciclaggi" di somme provenienti dagli indebiti prelievi perpetrati dalla G., tant’è che la sanzione irrogata dalla Corte d’Appello è un "aumento" per continuazione della pena già irrogata con la precedente decisione già passata in giudicato.

Prima di passare alla disamina dei singoli motivi di ricorso proposti dagli imputati il Collegio ritiene opportuno far presente che le decisioni del Tribunale e della Corte d’Appello sono fra loro conformi, posto che il giudice del gravame, ha confermato la decisione di primo grado, condividendone le argomentazioni in fatto ed in diritto; pertanto è possibile in questa sede, procedere ad una lettura integrata delle sentenze di primo e secondo grado, così da farle confluire in un prodotto unico posto che in entrambe le decisioni sono stati utilizzati criteri omogenei e apparati logico- argomentativo uniformi (v. Cass. Sez. 3, 1.2.2002, Lombardozzi).

Avverso la suddetta decisione, le difese degli imputati hanno proposto impugnazione in questa sede richiedendo l’annullamento della sentenza della Corte d’Appello di Milano e deducendo i seguenti motivi partitamente considerati.

B.C.:

1.) Denuncia (ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c) la nullità del procedimento di appello perchè il relativo decreto di citazione sarebbe stato notificato ex art. 157 c.p.p., comma 8 bis presso lo studio del difensore e non già presso il domicilio eletto dall’imputato all’atto della sua scarcerazione (Zinasco Cassinino, v.

Guarnoni 38); la difesa afferma che già nel procedimento n. 31034/03 Rgnr (del quale il presente costituirebbe uno "stralcio") l’imputato aveva eletto il proprio domicilio presso il suddetto indirizzo, di poi riconfermato al momento della sua dimissione dalla casa circondariale (come da copia del verbale, allegato al ricorso, in cui sono riportate le formalità di scarcerazione). La doglianza, formulata nei medesimi termini nel corso del giudizio di appello, è stata respinta dalla Corte territoriale perchè: 1) la elezione di domicilio effettuata dall’imputato all’atto della sua scarcerazione è attinente ad un diverso procedimento penale, con conseguente mancanza di qualsivoglia valore nel presente procedimento penale; 2) non risulterebbe che l’imputato abbia fatto dichiarazioni o elezioni di domicilio nel presente procedimento. Dalla lettura della documentazione prodotta dalla difesa, si apprende che il B. C., in data 16.12.2008 è stato dimesso dal Carcere di San Vittore in esecuzione della Ordinanza 11.12.2008 del Giudice di Sorveglianza, applicativa della misura alternativa dell’affidamento in prova. Dal verbale 16.12.2008 di notificazione ed esecuzione della suddetta ordinanza, non risulta che l’imputato abbia "eletto" o "dichiarato" un domicilio ex art. 161 c.p.p., posto che vi è solo l’indicazione della dimora "imposta" per la esecuzione della detta ordinanza.

Da quanto sopra si possono trarre le seguenti conclusioni: è di lapalissiana evidenza che l’indicazione della residenza " (OMISSIS) c/o la madre", contenuta nel verbale 16.12.2008, non è un’elezione di domicilio valevole, ex art. 161 c.p.p. nel presente procedimento, sicchè appare corretta la prima affermazione contenuta nella decisione della Corte territoriale; con riferimento poi alla seconda affermazione della Corte territoriale, la difesa, in questa sede non ha fornito alcuna indicazione efficacemente dimostrativa della propria asserzione, perchè non ha dato la prova (mediante produzione della dichiarazione di cui all’art. 161 c.p.p.) che in altro e diverso procedimento penale (cui questa Corte, tra l’altro, non ha modo di accedere), del quale il presente sarebbe uno stralcio, l’imputato ha fatto una valida elezione di domicilio indicando l’indirizzo retro indicato.

Pertanto, si deve affermare che decisione della Corte Milanese è esatta, ed è corretto il procedimento notificatorio adottato. Il motivo deve essere dichiarato inammissibile, perchè contenente deduzioni manifestamente infondate.

2.) Con un secondo motivo la difesa lamenta il vizio di cui all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. d) perchè la Corte territoriale non ha rinnovato l’istruttoria dibattimentale, pur avendo la difesa richiesto: 1) l’espletamento perizia contabile complessiva sulle somme in contestazione per la ricostruzione delle movimentazioni di denaro attribuite ai B. ed alle società ai medesimi riconducibili, alla Dott.ssa G. e al dr N.; 2) l’espletamento di perizia tecnografica sugli originali degli assegni al fine di stabilire se le scritture dei predetti documenti fossero da ricondursi ad una o a più mani; 3)l’acquisizione della perizia tecnografica della dott.ssa C.S.; 4) l’acquisizione delle agende e dei quaderni sequestrati alla G., per la ricostruzione delle somme consegnate dalla stessa ai B.; 5) l’escussione dei testimoni indicati nella richiesta già formulata al Tribunale, ex art. 468 c.p.p. con particolare riferimento a cancellieri, magistrati della sezione fallimenti del Tribunale di Milano, Ispettori del Ministero della Giustizia che hanno svolto le indagini amministrative nell’autunno del 2003, esponenti del partito della Lega Nord in relazione alle vicende della CREDIEURONORD. La difesa lamenta che con la reiezione delle suddette richieste non è stato adeguatamente rispettato il diritto alla prova affermato dall’art. 495 c.p.p..

La Corte territoriale, ai sensi dell’art. 603 c.p.p., comma 1, ha respinto la richiesta ritenendo il materiale probatorio acquisito nel corso del giudizio di primo grado, sufficiente ai fini della decisione.

La difesa, pertanto, denuncia in questa sede, il vizio di cui all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. d).

La doglianza è generica per le seguenti ragioni.

La rinnovazione del dibattimento, ex art. 603 c.p.p., comma 1, è istituto di carattere eccezionale, infatti, valendo la presunzione di completezza dell’indagine istruttoria già svolta nel primo grado di giudizio, il giudice dell’appello può disporre la rinnovazione dell’istruttoria solo nel caso in cui ritenga di non essere nelle condizioni di decidere allo stato degli atti (v. ex multis: Cass. pen., sez. 5, 10.12.2009, n. 15320, Pacini), Di qui consegue che "mentre la rinnovazione deve essere specificamente motivata, occorrendo dare conto dell’uso del potere discrezionale derivante dalla acquisita consapevolezza di non potere decidere allo stato degli atti, nel caso, viceversa, di rigetto, la relativa motivazione può essere anche implicita nella stessa struttura argomentativa posta a base della pronuncia di merito, che evidenzi la sussistenza di elementi sufficienti per una valutazione in senso positivo o negativo sulla responsabilità, con la conseguente mancanza di necessità di rinnovare il dibattimento". (v. sent. da ultimo citata).

Sulla base di queste premesse va quindi riaffermato il principio, condiviso da questo collegio, per il quale "…il mancato accoglimento della richiesta volta ad ottenere detta rinnovazione in tanto può essere censurato in sede di legittimità, in quanto risulti dimostrata, indipendentemente dall’esistenza o meno di una specifica motivazione sul punto nella decisione impugnata, la oggettiva necessità dell’adempimento in questione e, quindi, l’erroneità di quanto esplicitamente o implicitamente ritenuto dal giudice di merito circa la possibilità di "decidere allo stato degli atti", come previsto dall’art. 603 c.p.p., comma 1; ciò significa che deve dimostrarsi l’esistenza, nell’apparato motivazionale posto a base della decisione impugnata, di lacune o manifeste illogicità, ricavabili dal testo del medesimo provvedimento (come previsto dall’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. a), e concernenti punti di decisiva rilevanza, le quali sarebbero state presumibilmente evitate qualora fosse stato provveduto, come richiesto, all’assunzione o alla riassunzione di determinate prove in sede di appello" (v. Cass. Sez. 1, 28.6.1999, Capitani).

Nel caso in esame, si rileva che la difesa ricorrente non ha fornito un’adeguata dimostrazione dell’indispensabilità delle prove richieste ai fini del giudizio, nel senso anzidetto e, nel contempo non ha fornito indicazione circa la decisività delle prove stesse, da intendersi quale capacità dimostrativa idonea a portare ad un giudizio diverso da quelle assunto dalla Corte di merito. Per tali ragioni il motivo in esame deve essere dichiarato manifestamente inammissibile.

Nell’ambito di questo stesso motivo, la difesa lamenta che la Corte territoriale non ha dichiarato l’inammissibilità della testimonianza dell’Avv.to CATENACCIO avendo questi deposto su circostanze ulteriori rispetto a quelle espressamente ammesse, ex art. 468 c.p.p. dal Tribunale. In particolare la difesa rappresenta che l’avv.to CATENACCIO è stato indicato ex art. 468 c.p.p., dal Pubblico Ministero come testimone sul tema riguardante la custodia dei beni in sequestro; aggiunge la difesa che il Tribunale, con ordinanza 21.6.2006, aveva disposto: "altrettanto devono ritenersi inammissibili le richieste di prova relative alla vicenda dei beni in sequestro successivamente al sequestro stesso, atteso che non vi è pertinenza rispetto all’accertamento del fatto qui in contestazione".

Dalla lettura degli atti si rileva che la difesa, già con memoria 25.1.2007 depositata nella relativa udienza avanti il Tribunale, aveva sostenuto la inammissibilità della testimonianza dell’avv.to CATENACCIO, perchè, escluso dal Tribunale il tema attinente alle vicende dei beni in sequestro, null’altro poteva dichiarare il testimone in assenza di specifiche indicazioni sul punto da parte del Pubblico Ministero; con ordinanza 25.1.2007 il Tribunale, esaminando la suddetta doglianza ha affermato che: 1) era già stata disposta l’ammissione del testimone; 2) non vi era contraddizione tra I’ ammissione del testimone e la delimitazione dell’oggetto della deposizione nei termini di irrilevanza delle vicende dei beni di cui l’avv.to CATENACCIO era custode, "successive" al loro sequestro; 3) il testimone poteva essere escusso in relazione a tutti profili inerenti alla sua attività di custode, con la sola limitazione di cui al punto 2.

Sulla base delle suddette considerazioni il Tribunale ha rigettato l’istanza dalla difesa, che la riproponeva con i motivi di appello.

Sul punto la Corte territoriale, a sua volta, non ha dato risposta e la difesa ripropone la questione anche in questa sede.

Premesso che la difesa ricorrente non ha formulato censure al fatto che la Corte territoriale, pur prendendo atto di questo specifico motivo di gravame, non abbia specificatamente risposto, va osservato:

a) appare evidente, dal complesso della motivazione della sentenza impugnata, che la Corte territoriale ha, in modo implicito, ritenuto la questione dedotta, priva di qualsivoglia fondamento, siccome esaustiva e corretta la decisione assunta dal Tribunale con ordinanza 25.1.2007; b) in questa sede la difesa ricorrente si è limitata a riproporre la medesima questione senza peraltro illustrare le ragioni per le quali debba ritenersi erronea la ordinanza del Tribunale, la quale ha perfettamente chiarito i termini e gli ambiti della deposizione dell’avvocato CATENACCIO; c) la difesa non ha fornito alcuna indicazione in merito al reale contenuto della deposizione dell’avv.to CATENACCIO e in particolare non ha indicato quali parti della deposizione stessa abbiano avuto ad oggetto temi diversi da quelli ammessi dal Tribunale; d) la difesa non ha indicato l’oggettiva rilevanza della deposizione (per le parti eventualmente eccedenti i limiti imposti dal Tribunale) dell’avv.to CATENACCIO nel contesto delle decisioni dei giudici di merito. Di qui consegue che, a fronte di un provvedimento specifico e puntuale contenente una delimitazione dell’oggetto su cui è stato chiamato a deporre il testimone proposto dal Pubblico Ministero, la difesa non ha dato concreta e specifica indicazione delle parti della deposizione che possano essere considerate eccedenti il limite imposto dall’ordinanza ex art. 468 c.p.p.. L’omissione rende inammissibile il motivo per la genericità della deduzione.

Lamenta ancora la difesa l’illegittimità delle modalità di audizione del testimone N.G. e in particolare l’illegittimità del riconoscimento della sua "facoltà di non rispondere alle domande" siccome imputato di reato commesso ex art. 210 c.p.p.. Il N. (titolare dello studio professionale ove lavorava la G.) risulta essere stato sottoposto a procedimento penale per i fatti connessi alla presente vicenda ed è stato assolto, a seguito di giudizio abbreviato, con sentenza 29.5.2006 del GUP del Tribunale di Milano. La difesa afferma che, in relazione ai fatti per i quali è processo, il N. aveva mosso specifiche accuse nei confronti del B.C., aggiungendo "…. come si evince dalla integrazione della denuncia querela – RG 31034/03, data 21.11.2003, depositata presso la Procura della Repubblica di Milano, nella quale il predetto N. affermava che a B.C. sarebbero pervenute somme di pertinenza dello studio N., per scopi estranei alla attività dello studio stesso. Nel citato atto, in buona sostanza, N., oltre a muovere specifiche accuse a B.C., si qualificava – implicitamente – quale persona offesa dal reato avendo subito depauperamenti sul proprio conto bancario…" Sulla base di queste premesse la difesa ricorrente sostiene che al N., nella sua duplice veste di imputato di reato connesso e di parte offesa del reato, doveva essere riconosciuta maggior valenza alla sua posizione di "testimone" parte offesa, con la conseguenza che non gli doveva essere accordata la "facoltà di non rispondere".

Pertanto la difesa lamenta l’erroneità della decisione assunta dal Tribunale nello stabilire le forme con le quali doveva essere escusso il N. e nel contempo lamenta che la Corte d’Appello, investita della questione non ha dato risposta.

Partendo da questa seconda censura si deve prima di tutto ribadire che: "Il mancato esame di un motivo di impugnazione manifestamente infondato, da parte del giudice di secondo grado, non costituisce ragione di annullamento della sentenza in sede di Cassazione in quanto anche se il motivo fosse stato esaminato, non avrebbe potuto essere accolto, così che nessun pregiudizio è derivato all’imputato da tale omissione". (Cass. pen., 30.9.1985, Pintore).

Nel caso in esame la doglianza risulta essere formulata in termini talmente generici da apparire palesemente inammissibile. Infatti: 1) la difesa non dimostra che il Tribunale avesse a disposizione la denuncia proposta dal N. il 21.11.2003, non risultando espressamente indicata fra gli atti adoperati dal Tribunale ai fini del giudizio (v. pag. 6 della sentenza di primo grado); 2) la difesa non illustra le ragioni per le quali il N. debba essere considerato parte offesa in quella denuncia; 3) la difesa non fornisce alcuna indicazione circa la sorte processuale di quella denuncia (se oggetto del presente o di diverso procedimento penale);

4) la difesa non indica quale sarebbe stato l’oggetto della deposizione cui il N. si sarebbe sottratto, con la conseguenza che neppure può essere apprezzata la sua rilevanza; 5) la difesa non fornisce alcun chiarimento circa la situazione processuale del N. da valutarsi secondo le regole stabilite dall’art. 197 bis c.p.p..

Pertanto, la mancanza di indicazione: a) delle imputazioni mosse al N., b) del loro collegamento o connessione con i fatti oggetto del presente procedimento; c) della esistenza delle condizioni di cui all’art. 197 bis c.p.p., comma 4, rende il motivo in esame del tutto generico e come tale inammissibile. La inammissibilità del motivo, rende del tutto irrilevante la omessa pronuncia su di esso da parte della Corte territoriale.

3) Con un terzo motivo la difesa lamenta, ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), l’inosservanza e l’erronea applicazione dell’art. 648 bis c.p.p., proponendo due diverse questioni attinenti all’elemento oggettivo del reato.

La difesa afferma essere accertato che parte delle somme sovvenienti dagli illeciti prelievi perpetrati dalla G., sono state da questi consegnate (in assegni circolari) direttamente al B. C. o ai creditori della RMI spa.

Sulla base di questa premessa la difesa sostiene che: 1) il versamento di assegni circolari a creditori della RMI spa (Radio Milano International spa) non integra il delitto di "riciclaggio", perchè inidoneo alla lesione dell’interesse protetto dall’art. 648 bis c.p.; 2) l’utilizzo delle somme da parte del B.C., non costituisce forma di riciclaggio, ma al più, semplice utilizzo di un illecito provento di un reato di ricettazione.

La doglianza, è generica, perchè la difesa non indica in modo puntuale a quali delle numerose operazioni dettagliatamente elencate nel capo di imputazione intenda riferirsi, puntualmente descrivendole nel loro sviluppo. Di conseguenza il collegio non è in grado di verificare se, come afferma la difesa ricorrente, il giudice di merito abbia, in parte, erroneamente applicato l’art. 648 bis c.p. a condotte che ne esulerebbero. La doglianza inoltre è comunque manifestamente infondata, perchè elude la complessiva ricostruzione della vicenda effettuata dal Tribunale nella sua sentenza la cui motivazione, interamente recepita dalla Corte territoriale, appare immune da qualsivoglia vizio. Il giudice di merito ha descritto le diverse modalità con le quali gli imputati (per oltre dieci anni) hanno ricevuto versamenti di ingentissime somme di denaro (svariati miliardi di Lire) sottratte dalla G. alle procedure concorsuali nelle quali rivestiva incarichi; le somme (portate in assegni circolari variamente intestati) sono state movimentate in entrata su conti della RMI spa (società facente capo ai fratelli B.) o impiegate per pagare creditori delle stessa in modo diretto o consegnate al B. per un loro immediato impiego successivo, ma comunque sempre con modalità operative tali da occultare la tracciabilità della provenienza del denaro. Si tratta in concreto di "operazioni" effettuate creando ostacolo all’identificazione della provenienza della somme procurate dalla G. attraverso vari espedienti consistenti pur sempre nell’aggiramento delle regole di normale esecuzione dell’attività posta in essere, senza chiare evidenze contabili nelle società che ne hanno in diversi modi tratto beneficio.

Si è pertanto in presenza di "operazioni" che in modo concreto costituiscono ostacolo alla identificazione della provenienza del denaro. Sul punto va precisato che la giurisprudenza (pienamente condivisa da questo Collegio), in riferimento alla fattispecie di cui all’art. 648 bis c.p., si è orientata a dare una definizione ampia del concetto "operazione", trattandosi di una condotta a forma libera, limitata dal riferimento finalistico all’idoneità dell’ostacolare l’identificazione dei beni di provenienza delittuosa e dal fatto che deve trattarsi di operazioni diverse (altre operazioni) da quelle prese in considerazione nella prima parte della norma, cioè "sostituzioni" o "trasferimenti" di beni o denaro. Ne consegue che il termine "operazione" non richiede necessariamente una connotazione giuridico-economico o finanziaria, essendo invece unicamente richiesto che la condotta debba risolversi in ogni caso in un ostacolo all’identificazione della provenienza. A tal proposito la stessa giurisprudenza ha precisato che integra il reato di riciclaggio il compimento di operazioni volte non solo ad impedire in modo definitivo, ma anche a rendere comunque più "difficile" l’accertamento della provenienza del denaro attraverso un qualsiasi espediente che consista nell’aggirare la libera e normale esecuzione dell’attività posta in essere (V. Cass. Sez 2, 12.1.2006 n. 2818, Caione e nello stesso senso Cass. Sez. 6, 18.12.2007, n. 16980).

Ovviamente non qualsiasi "operazione" inerente al denaro di illecita provenienza può integrare la condotta incriminatrice, ma solo quelle "operazioni" che in concreto sono idonee alla realizzazione della finalità di ostacolare l’identificazione della provenienza. La valutazione della "idoneità" (da considerarsi in concreto) dell’operazione attiene alla sfera del giudizio di merito, e se adeguatamente motivata, come nel caso sottoposto, non è sindacabile in sede di legittimità. Per tale ragioni, la doglianza prospettata è manifestamente infondata. Alla medesima conclusione si deve pervenire peraltro, anche con riferimento alla seconda parte della doglianza con la quale la difesa prende in considerazione i versamenti degli assegni circolari transitati sui conti della RADIO MILANO INTERNATIONAL spa, sia che l’immediato beneficiario fosse il B.C. o altri soggetti. A tal proposito la difesa sostiene che l’operazione posta in essere fosse inidonea ad ostacolare le "indagini" sulla provenienza delle somme, attesa la macroscopica "rozzezza" del metodo seguito e delle gravi irregolarità nella tenuta della contabilità. La doglianza anche in questo caso attiene al merito di una valutazione fatta dal Tribunale prima e della Corte Milanese poi, che risulta essere sorretta da motivazione adeguata (non manifestamente illogica) come tale non sindacabile in sede di legittimità con la quale è stata articolatamente descritta la tecnica adoperata. La sentenza di appello richiamando la decisione di primo grado ha individuato le condotte attraverso cui, per oltre dieci anni, gli imputati hanno ricevuto versamenti di ingenti somme di denaro dalla G. attraverso operazioni congegnate in modo da non lasciare traccia della provenienza del flusso di denaro. Il denaro veniva infatti versato inizialmente sui conti della RADIO INTERNATIONAL MILANO spa per poi essere dirottate verso soggetti terzi (altre società facenti capo ai fratelli B., creditori o fornitori di dette società o i B. medesimi). Le somme venivano contabilizzate in entrata su un "conto finanziamento soci", mentre le uscite sul "conto rimborso finanziamento soci" ed in questo modo, proprio attraverso l’indebito riferimento a soci veniva frapposto un ostacolo per l’individuazione della provenienza illecita del denaro.

I giudici di merito, con articolata motivazione hanno indicato le ragioni per le quali i due suddetti conti costituivano mera apparenza idonea ad occultare la provenienza della somme, e il loro successivo impiego. Pertanto, correttamente esclusa nella ricostruzione del fatto, ogni ipotesi di concorso dei fratelli B. nel peculato contestato alla G., deve ritenersi che la qualificazione delle condotte dei fratelli B., fatta dal Tribunale e ripresa dalla Corte d’Appello è corretta. Il motivo in esame è pertanto manifestamente infondato. Deve infatti affermarsi che non è illogico ritenere che l’utilizzo di un fittizio conto finanziamento soci, per annotare entrate e uscite di somme di denaro nell’economia di una società, costituisca una "operazione" concretamente idonea, ex art. 648 bis c.p., ad ostacolare la ricostruzione della movimentazione delle dette somme di denaro sovvenienti da un delitto.

4) Con un quarto motivo la difesa lamenta la mancanza della prova della consapevolezza dell’imputato circa la provenienza illecita delle somme e dell’elemento soggettivo del delitto di riciclaggio. La censura è manifestamente infondata in tutti i suoi aspetti, tesa nel concreto a proporre, in questa sede, un’inammissibile diversa lettura del materiale probatorio acquisito nel corso del giudizio. Le tecniche poste in essere dai Fratelli B. (e dal C. in particolare) nel gestire le somme di denaro procurate dalla G. sono, ex se, idonee a dimostrare la piena consapevolezza degli imputati circa la provenienza illecita delle somme di denaro. Il Tribunale ha posto in evidenza che, nel caso in esame, si tratta di un rilevantissimo flusso di denaro (L. 70 miliardi) pervenuto nella disponibilità degli imputati in un lasso di tempo di dieci anni e per causali non certo coincidenti con quelle ufficialmente dichiarate ("finanziamento soci") attese le anomalie, pure evidenziate dai giudici di merito riscontrate nella gestione delle entrate e delle uscite dei conti societari. Le modalità concrete della condotta sono state quindi reputate dimostrative, sia della consapevolezza dell’illecita provenienza delle somme, sia della volontà di occultare la provenienza delle somme medesime, con una motivazione che, per logica e coerenza, non può essere contestata in questa sede; si deve qui infatti ribadire che la prova dell’elemento psicologico del reato, nonchè degli stati di "conoscenza" di fatti antecedenti e coessenziali alla consumazione del reato di riciclaggio, ben possono essere desunti dal giudice, attraverso adeguata motivazione, anche dalla complessiva condotta del reo.

Pertanto, nel caso sottoposto all’attenzione di questo collegio, si deve rilevare che la articolata descrizione ed analisi dell’agire degli imputati, rende contestualmente anche della loro componente soggettiva e cognitiva, non essendo delineata una ragionevole alternativa spiegazione, delle ragioni per le quali sono state adottate dagli imputati determinate modalità operative nel gestire le ingenti somme procurate dalla G..

5) con un ultimo motivo il ricorrente lamenta l’inosservanza ed l’erronea applicazione della legge penale ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b). Afferma il ricorrente che: la Corte d’Appello si sarebbe limitata a trascrivere le motivazioni della sentenza di primo grado omettendo di fornire una propria valutazione "circa la scelta effettuata dalla Procura della Repubblica, successivamente avvallata dal Gip e dal Tribunale, di procedere al deposito delle somme ricavate dalla vendita dei beni di cui "ai capannoni" sul conto corrente intestato a B.C. e alla procedura 31034/03 Rgnr, mentre altre e più considerevoli somme, provenienti dalla vendita delle "radio", pari a circa Euro 42 milioni risulterebbero, da quanto emerso in dibattimento, assegnate all’avv.to Antonio Adinolfi di Milano quale incaricato alla distribuzione delle medesime a favore delle parti/civili persone offese, firmatarie di un accordo transattivo mai sottoscritto dagli indagati, non risulterebbero avere seguito la medesima procedura, bensì, a quanto è dato conoscere, sarebbero state utilizzate per risarcire le parti civili".

Il motivo è del tutto aspecifico e come tale inammissibile, perchè dallo stesso non si comprende, perchè non indicati: 1) quale sia la norma di legge della quale viene denunciata la violazione ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b); b) quale sia il contenuto della doglianza proposta e disattesa dalla Corte territoriale; c) a quale provvedimento il ricorrente faccia riferimento, e quale sia l’organo giudiziario che lo ha disposto, nonchè la data e la natura dello stesso e se afferente a questo procedimento penale. Per le suddette ragioni anche questo motivo deve essere dichiarato inammissibile.

B.A.:

6) Il ricorrente denuncia in primis il vizio di carenza di motivazione in riferimento alla richiesta di estromissione della società ELISHIP, G.B.R., One o One e RMI costituite parte civili.

Dalla lettura degli atti si rileva che nel corso del giudizio, il Giudice dell’udienza preliminare aveva respinto la costituzione di parte civile delle società One o One s.r.l., Eliship s.r.l., G.B.R. spa, R.M.I. spa, dubitando del fondamento delle pretese risarcitoria perchè riferentesi ad danni indiretti rispetto agli illeciti contestati agli imputati; in tale ambito processuale il Giudice dell’udienza preliminare non poneva alcun dubbio sulla questione pregiudiziale al fondamento della domanda e della causa petendi, riguardante la osservanza delle regole che disciplinano la legittimazione formale nella fase di costituzione delle parti civili (deliberazioni assunte in sede assembleare nelle rispettive società e regolarità delle procure rilasciate per l’esercizio di dette azioni). Le suddette società, in quanto escluse nel corso della udienza preliminare, rinnovavano l’atto di costituzione di parte civile nei termini di legge, nel giudizio di primo grado. A tale ammissione la difesa dell’imputato proponeva opposizione deducendo questioni inerenti il fondamento della domande risarcitorie formulate dalle suddette parti civili, eccependo altresì irregolarità di ordine formale da ricollegarsi alla incompletezza dei deliberati assembleari delle dette società. Il Tribunale, con ordinanza 9.11.2006 riconosceva legittimità della causa petendi formulata dalle dette parti civili e affermava altresì la regolarità delle delibere assembleari con le quali le società avevano manifestato l’intenzione di costituirsi parte civile rilevando che :"per ogni società la procura speciale è stata ritualmente espressa dai soggetti che ne avevano i poteri (in particolare pet la EUSCHIP risulta che ogni liquidatore avesse potere di agire per conto della società disgiuntamente, mentre per RMI il liquidatore che ha conferito la procura speciale era anche rappresentante legale della società". Con l’atto di appello la difesa dell’imputato B. A. riproponeva la questione, negli stessi termini, già formulati in primo grado, senza peraltro addurre nuove e diverse argomentazioni a confutazione specifica della motivazione della richiamata ordinanza del Tribunale. La Corte d’Appello, pur prendendo atto del motivo di gravame, a sua volta non ha espresso alcuna autonoma considerazione, così implicitamente ritenendo inammissibile il motivo a fronte del contenuto della ordinanza 9.11.2006 non confutata nel suo specifico contenuto. Il motivo, riproposto in questa sede è manifestamente infondato. Infatti, la doglianza formulata nell’atto di appello, risulta essere priva di specifiche argomentazioni (in fatto e in diritto) idonee a confutare il contenuto dell’ordinanza 9.11.2006 del Tribunale; conseguentemente la Corte territoriale avrebbe dovuto dichiarare la inammissibilità del motivo di gravame. E’ principio già richiamato, che "in tema di ricorso per Cassazione non costituisce causa di annullamento della sentenza impugnata il mancato esame di un motivo di appello che per la sua assoluta indeterminatezza e genericità doveva essere dichiarato inammissibile" (v. in tal senso sul punto Cass. pen., sez. 4, 15.12.1998, lannotta e più recentemente: Cass. pen., sez. 4, 17.4.2009, n. 24973 Ignone). Il vizio di genericità per altro caratterizza anche la censura reiterata in questa sede, non essendo dedotte puntuali e specifiche ragioni inerenti o ad aspetti di erronea applicazione della legge processuale o vizi della motivazione riconducibili ad una delle fattispecie previste dall’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. E).

Per tali ragioni il motivo è inammissibile.

7) La difesa lamenta il vizio di carenza di motivazione in ordine alla richiesta dichiarazione di inutilizzabilità degli atti non acquisiti formalmente dal Tribunale, non essendo stato formato dal GUP un fascicolo per il dibattimento ex art. 431 c.p.p..

Con i motivi di appello la difesa del B.A., aveva chiesto che venisse disposta la estromissione dal fascicolo del dibattimento di tutti gli atti non formalmente o legittimamente acquisiti o che ne venisse comunque dichiarata l’inutilizzabilità, lamentando che nel corso del giudizio di primo grado erano stati acquisiti "atti depositati nel corso del dibattimento, prevalentemente da testimoni, costituenti per lo più elaborati di natura tecnica" evidenziando che "il Tribunale pur dichiarando con ordinanza l’ammissibilità della acquisizione in occasione delle deposizioni testimoniali, ha formalmente affermato che tali acquisizioni avrebbero dovuto effettuarsi nel rispetto del contraddittorio". Sul punto la Corte territoriale, pur dando atto del motivo di gravame proposto, non ha dato una risposta espressa, così implicitamente respingendo la doglianza in esame attesa la sua evidente genericità. Infatti, tanto con l’atto di appello, quanto, peraltro con il ricorso proposto nella presente sede, la difesa del B.A. non ha fornito: a) una specifica e dettagliata indicazione dei singoli atti che sarebbero stati illegittimamente acquisiti; b) un’ indicazione specifica per ognuno dei suddetti documenti della ragione di diritto per la quale l’atto doveva essere espunto o dichiarato inammissibile; c) l’indicazione dell’incidenza e della rilevanza di ciascuno dei suddetti atti/documenti nella motivazione della decisione. La doglianza già formulata con l’atto di appello, siccome carente di suddette indicazioni, era da ritenersi inammissibile, con la conseguenza che la omessa pronuncia sul punto da parte della Corte territoriale non riveste alcuna rilevanza. Peraltro anche nella presente sede la doglianza proposta continua a caratterizzarsi per le carenze sovraindicate, con la conseguenza che il motivo continua ad essere inammissibile, perchè generico.

8) Con un/terzo motivo la difesa del B.A. richiede che venga dichiarata la nullità della sentenza per erronea interpretazione della legge penale e processuale per omessa in quanto apparente motivazione, illogicità e contraddittorietà della stessa in riferimento alla richiesta di rinnovazione del dibattimento.

La doglianza è manifestamente infondata per la genericità del contenuto per le medesime ragioni illustrate sub 2 della presente motivazione nella parte riguardante la disamina del gravame proposto dal ricorrente B.C.. Infatti, come già precedentemente affermato, la rinnovazione del dibattimento, ex art. 603 c.p.p., comma 1, è istituto di carattere eccezionale, valendo la presunzione di completezza dell’indagine istruttoria già svolta nel primo grado di giudizio, per cui il giudice dell’appello può ricorrervi solo nel caso in cui ritenga di non essere nelle condizioni di decidere allo stato degli atti (v. ex multis: Cass. pen., sez. 5, 10.12.2009, n. 15320, Pacini). Di qui consegue che "mentre la rinnovazione deve essere specificamente motivata, occorrendo dare conto dell’uso del potere discrezionale derivante dalla acquisita consapevolezza di non potere decidere allo stato degli atti, nel caso, viceversa, di rigetto, la relativa motivazione può essere anche implicita nella stessa struttura argomentativa posta a base della pronuncia di merito, che evidenzi la sussistenza di elementi sufficienti per una valutazione in senso positivo o negativo sulla responsabilità, con la conseguente mancanza di necessità di rinnovare il dibattimento".

(v. sent. da ultimo citata). Sulla base di queste premesse va quindi riaffermato il principio, condiviso da questo collegio, per il quale "…il mancato accoglimento della richiesta volta ad ottenere detta rinnovazione in tanto può essere censurato in sede di legittimità, in quanto risulti dimostrata, indipendentemente dall’esistenza o meno di una specifica motivazione sul punto nella decisione impugnata, la oggettiva necessità dell’adempimento in questione e, quindi, l’erroneità di quanto esplicitamente o implicitamente ritenuto dal giudice di merito circa la possibilità di "decidere allo stato degli atti", come previsto dall’art. 603 c.p.p., comma 1; ciò significa che deve dimostrarsi l’esistenza, nell’apparato motivazionale posto a base della decisione impugnata, di lacune o manifeste illogicità, ricavabili dal testo del medesimo provvedimento (come previsto dall’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. a) e concernenti punti di decisiva rilevanza, le quali sarebbero state presumibilmente evitate qualora fosse stato provveduto, come richiesto, all’assunzione o alla riassunzione di determinate prove in sede di appello" (v. Cass. Sez. 1, 28.6.1999, Capitani).

Nel caso in esame, si rileva che la difesa ricorrente non ha fornito un’adeguata dimostrazione dell’indispensabilità delle prove richieste ai fini del giudizio, nel senso anzidetto e, nel contempo non ha fornito indicazione circa la decisività delle prove richieste e non ammesse, pertanto il motivo è inammissibile perchè generico.

Parimenti generica è la doglianza inerente alla disposta confisca dei beni sequestrati, ai sensi del D.L. 8 giugno 1992, n. 306, art. 12 sexies, se cui si soffermano con articolata motivazione tanto il Tribunale (v. pp. 49-54 della sentenza di primo grado) quanto la Corte d’Appello (v. pp. 23-24 della sentenza di secondo grado). In particolare si rileva che il ricorrente non ha fornito alcuna indicazione specifica atta ad individuare i beni dei quali sarebbe stata disposta un’illegittima confisca, nè tantomeno specifica indicazione dei documenti che, prodotti dalla difesa, sarebbero stati disattesi dal giudice di merito. Il motivo in esame deve quindi essere dichiarato inammissibile.

9) con il quarto motivo la difesa del B.A. richiede che venga dichiarata la nullità della sentenza impugnata per assenza, illogicità, contraddittorietà di motivazione, erronea interpretazione ed applicazione della legge con riferimento ai motivi attinenti la qualificazione giuridica dei reati e in particolare sul concorso di B.A. negli illeciti addebitabili a G. C..

In ordine alla qualificazione giuridica del fatto ascritto agli imputati B. (art. 648 bis c.p.), la Corte territoriale, facendo richiamo anche al contenuto della sentenza 18.12.2007, e implicitamente a quanto già affermato dal Tribunale di Milano, nella propria decisione del 17.5.2007, in modo succinto, ma adeguato ha indicato le ragioni della propria decisione. La doglianza formulata dalla difesa nella presente sede si traduce in una mera riproposizione della questione già sollevata nel giudizio di appello senza che siano dedotte puntuali critiche a quella decisione.

In questa sede la difesa, senza svolgere critiche specifiche al contenuto della motivazione, si limita a formulare considerazioni di mero fatto enunciative di una diversa valutazione del merito della vicenda (non suscettibile di vaglio nella presente sede). Pertanto il motivo deve essere dichiarato inammissibile.

M.A.:

10) La difesa con il primo e il secondo motivo lamenta il vizio di violazione di legge ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) violazione dell’art. 192 c.p.p..

Entrambi i motivi sono inammissibili perchè, riportando generiche considerazioni inerenti la "normativa antiriclaggio" la difesa non indica quale sia la norma di legge violata nella sua applicazione dalla Corte d’appello che ha, invece illustrato in modo specifico e dettagliato le illegittime condotte dell’imputato: 1) inosservanza del decalogo della Banca d’Italia; 2) attuazione di concrete modalità operative attraverso le quali veniva occultata la traccia di provenienza dei flussi di denaro che pervenivano sul conto (OMISSIS) intestato alla RMI spa, prestando i propri consigli al B. C.; 3) reiterazione delle operazioni con violazione dell’obbligo di segnalazione previsto dalla Banca d’Italia.

In particolare risulta infatti che il M. ha consentito per circa settanta volte in due anni, operazioni di trasferimento di fondi dal conto (OMISSIS) ad altri conti (riferibili ai B. o a loro società) facendo figurare in modo del tutto "virtuale" prelievi e successivi versamenti per contanti, così interrompendo la "tracciabilità" del flusso del denaro. La Corte d’Appello, richiamando anche la decisione di primo grado, ha fornito motivazione adeguata della regioni per le quali, il M., venendo meno ai propri doverosi comportamenti indicati nella circolare della banca d’Italia, ha violato l’art. 648 bis c.p..

11) con il terzo e il sesto motivo la difesa denuncia la violazione di legge per inesistenza dell’elemento soggettivo, rilevando come il prevenuto non fosse a conoscenza dell’illecita attività della G. e come non potesse rendersi conto di svolgere una attività di riciclaggio delle somme affluite sui conti facenti capo ai B..

La doglianza è generica e riporta considerazioni di mero fatto, senza formulare censure specifiche riconducibili alle fattispecie di cui all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e).

In particolare va rilevato che nella sentenza del Tribunale Milanese, da leggersi congiuntamente a quella dell’appello, per le ragioni retro indicate sono dettagliatamente indicate (v. pp. 37-41) le disposizioni impartite (e non osservate dal M.) dalla Banca d’Italia ed attuative del D.L. 3 maggio 1991, n. 143, art. 3. La rilevanza delle somme trasferite sui conti dei B. o delle loro società, la reiterazione delle operazioni anomale, la natura stessa delle anomalie delle operazioni poste in essere dai B. con l’autorizzazione e il consiglio del M., sono state considerate dai giudici di merito, in sè pienamente probanti della consapevolezza del M. che i B. ponevano in essere operazioni di riciclaggio. Le motivazioni appaiono adeguate e non censurabili attesa la coerenza e la logicità delle stesse.

12) con il quarto motivo la difesa del M. lamenta che all’imputato sarebbe stato contestato l’art. 61 bis c.p..

La doglianza è inammissibile, in primo luogo perchè all’imputato non risulta essere stato contestato alcun art. 61 bis c.p. (peraltro inesistente), ma l’aggravante di cui all’art. 61 c.p., n. 7; in secondo luogo la difesa non indica alcuna valida ragione giuridica per la quale debba ritenersi illegittima la contestazione di tale aggravante. Pertanto la doglianza è generica.

13) con il quinto motivo la difesa lamenta che il Tribunale e la Corte non hanno preso in considerazione la posizione dei vertici bancari quali il presidente e il vicedirettore generale della banca CREDIEURONORD. Trattasi di doglianza già dedotta nel corso del giudizio di merito in ordine alla quale sia il Tribunale che la Corte d’Appello Milanese hanno dato adeguata risposta affermando il condivisibile principio "…non è compito del giudicante effettuare valutazioni comparative rispetto ad eventuali responsabilità di altri soggetti in relazione ai quali la pubblica accusa ha deciso di non dare ulteriori sviluppo a filoni di indagine e ciò per scelte investigative e in ogni caso non sindacabili in questa sede….".

La doglianza è pertanto generica e deve essere dichiarata inammissibile.

Per tutte le suddette ragioni i ricorsi devono essere dichiarati inammissibili e i ricorrenti vanno condannati al pagamento delle spese processuali e ciascuno della somma di Euro 1.000,00 alla Cassa delle Ammende.

I ricorrenti vanno altresì condannati in solido fra loro al pagamento delle spese del grado sostenute dalle parti civili e che liquida in favore del Fallimento FINLOCAT spa e HALLDOMUS spa in Euro 5.022,00 oltre I.V.A. e Cp e in favore dei fallimenti AGRICOLA CORNER Spa, SOCOGEN Spa, FIMAPRINT Spa in Euro 6.300,00 oltre Iva e cp.
P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e ciascuno della somma di Euro 1.000,00 alla Cassa delle Ammende e in solido fra loro al pagamento delle spese del grado sostenute dalle parti civili e che liquida in favore del Fallimento FINLOCAT spa e HALLDOMUS spa in Euro 5.022,00 oltre Iva e Cp e in favore dei fallimenti AGRICOLA CORNER Spa, SOCOGEN Spa, FIMAPRINT Spa in Euro 6.300,00 oltre Iva e cp. Così deciso in Roma, il 9 novembre 2006.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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