Cass. civ. Sez. II, Sent., 04-04-2011, n. 7623 Risoluzione del contratto per inadempimento

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

C.M. agiva innanzi al Tribunale di Firenze per ottenere la condanna di P.P.A. alla restituzione della somma di L. 30 milioni, oltre accessori, quale doppio della caparra confirmatoria che egli aveva versato a quest’ultimo in occasione della stipula in data 12.11.1998 di un contratto preliminare di vendita di un terreno sito a (OMISSIS), la cui cessione il P. aveva promesso per sè e quale rappresentante degli altri intestatari, suoi congiunti, tra cui il fratello, A., in stato d’interdizione. A sostegno della domanda deduceva l’inadempimento del convenuto, sostenendo che questi non aveva effettuato quanto necessario ad ottenere l’autorizzazione del Tribunale alla vendita in norme e per conto dell’interdetto.

Nel resistere in giudizio P.P.A. imputava all’attore la mancata conclusione del contratto definitivo, per averne preteso la stipula a condizioni diverse da quelle concordate nel preliminare.

Valutate comparativamente le condotte delle parti, e considerato che il P. si era rifiutato di comparire innanzi al notaio per aver, in precedenza, il C. già negato il proprio adempimento, subordinandolo a una riduzione del prezzo in quanto il terreno era risultato soggetto a verde pubblico e ad espropriazione, il Tribunale rigettava la domanda.

Tale sentenza, impugnata dal C., era ribaltata dalla Corte d’appello di Firenze, che con sentenza n. 952 del 14.6.2004 dichiarava risolto il contratto preliminare per inadempimento del P., che condannava alla restituzione del doppio della caparra e al pagamento delle spese.

Osservava la Corte territoriale che il C. non aveva dichiarato di non voler concludere il contratto definitivo, ma nel confermare la volontà di addivenirvi si era limitato, tramite il proprio legale, a proporre una rinegoziazione del prezzo a causa dei vincolo urbanistico gravante sul terreno e non dichiarato nel contratto preliminare, in cui il bene era stato promesso "con quella destinazione disposta dagli strumenti urbanistici della pubblica amministrazione". Riteneva, quindi, che l’iniziativa del C., che qualificava come parte caduta in errore, di avviare trattative sull’esecuzione del contratto in modo conforme al contenuto che riteneva di aver pattuito, non era contraria al mantenimento del vincolo. Aggiungeva, quindi, che il P. non aveva mai negato che il C. fosse caduto nel lamentato errore circa la possibilità di destinare il terreno a parcheggio, e che, per converso, sarebbe stato semplice per il P. fissare giorno e ora della stipula del contratto e rendere così palese la di lui ipotizzata volontà di non adempiere. Concludeva, quindi, nel senso che doveva escludersi che l’inadempimento del P. fosse giustificato da un precedente inadempimento del C..

Per la cassazione di quest’ultima pronuncia ricorre P.P. A., con due motivi.

Resiste con controricorso C.M., che propone a sua volta impugnazione incidentale sul capo relativo al regolamento delle spese.
Motivi della decisione

In via pregiudiziale vanno riuniti i ricorsi, ai sensi dell’art. 335 c.p.c. 1. – Con il primo motivo del ricorso principale si deduce, testualmente, la "errata prospettazione di controparte alla Corte d’appello di Firenze – Bonifica dai "veleni" che controparte è riuscita a trasfondere nella sentenza impugnata". Parte ricorrente riporta frasi contenute nell’atto d’appello del C. come se provenissero dal giudice di secondo grado, ne lamenta l’equivoco significato assunto fuori contesto, e sostenendo che sono riportate nella sentenza d’appello afferma che esse contraddicono il dispositivo e la motivazione, laddove la Corte territoriale argomenta circa il diritto del C. ad una riduzione del corrispettivo pattuito nel preliminare. Quindi, a) riporta brani contenuti a pagg.

6 e 7 della sentenza impugnata; b) ne confuta il fondamento in punto di fatto, sostenendo che il P. aveva rassicurato il C. prima e durante la stipula del preliminare che ogni vincolo espropriativo sul terreno promesso era già decaduto; per poi, c) concludere, testualmente, come segue (e che non appare sintetizzabile in termini diversi e razionali): "Quanto sopra doverosamente premesso, che nel corso della narrativa, ha già in sè – quanto meno in nuce – un primo motivo di gravame in quella contraddittorietà della motivazione, per la quale prima si riconosce che il C. aveva rinunciato ad ogni decurtazione del prezzo pattuito nel preliminare, convinto dalle argomentazioni del P. che non esisteva alcun vincolo espropriativo e successivamente alla pagina 10 della impugnata Sentenza la Corte d’Appello di Firenze, decisamente, cambia binario e utilizzando altra missiva dell’Avv. G.G., che è ormai fuori causa dal momento che, per quanto in zona cesarini (sic), la controparte ha ormai riconosciuto che il vincolo non esiste (nè esisteva al momento del contratto preliminare) al rigo n 9 e seguenti, testualmente: "Come si vede, si conferma apertamente il P. a vendere il terreno promesso. Si richiama la scoperta "della destinazione a verde pubblico e si richiama la "considerazione di tale vincolo all’esproprio come ragione di "minor valore del bene" da tenere presente "per la sua incidenza sul contratto, con riguardo al prezzo pattuito". A voler tutto concedere, e non siamo disposti e disponibili a farlo, la difesa del C. ha sostenuto una cosa diversa e diametralmente opposta: credeva che ci fosse il vincolo ed ha scoperto che il creduto vincolo non c’era. Pare evidente il vizio logico nel quale è incorsa la Corte d’appello di Firenze, vizio logico che travolge ogni motivazione e la rende contraddittorio". 1.1. – Il motivo è manifestamente inammissibile.

Non solo la sua inconsueta titolazione non è riconducibile ad alcuno dei motivi di cassazione previsti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, ma altresì va rimarcato che esso afferma una pretesa contraddittorietà della sentenza impugnata ponendone in sequenza una parte della narrativa (pagg. 6 e 7), in cui sono riportati i motivi dell’appello proposto dal C., con una parte tratta dai motivi della decisione, sì da farne commistione come se entrambe esprimessero il pensiero dell’organo giudicante.

1.2. – Nè il motivo può essere ritenuto ammissibile de residuo, almeno, cioè, nella parte riferita alla sopra riportata affermazione motivazionale della Corte fiorentina. La sola critica che ne risulta, una volta depurata la censura da ogni riferimento a considerazioni provenienti non dal giudice, ma dalla parte appellante, consiste nella mera petizione (concessa, ma non ammessa) di un fatto (ossia che il C. abbia dapprima creduto che sul terreno gravasse un vincolo preordinato all’espropriazione, per poi scoprirne l’insussistenza) che ove pure conclamato dagli atti potrebbe al massimo veicolare un errore revocatorio, e non già un mezzo di annullamento in cassazione.

2. – Con il secondo motivo il ricorrente deduce il "malgoverno delle prove versate in atti da parte appellata fino dal primo grado di giudizio dinanzi al Tribunale di Firenze".

Il motivo contiene, nell’ordine: l’esplicazione del documento prodotto sub 1 in primo grado (in sostanza il contratto preliminare con la piantina descrittiva del fondo); la riproduzione del testo del preliminare quanto a prezzo di vendita e tempi di pagamento;

l’interpretazione datane dal ricorrente, che sostiene che la misurazione definitiva del terreno, ai fini dell’esatta quantificazione del corrispettivo, fosse "correlata" al rogito notarile e al pagamento, salvo appunto diversa misura, dell’ultima tranche del prezzo; dichiarazioni meramente polemiche circa la condotta del C. e della sua difesa nel creare questioni e nel non voler pagare la rata di prezzo di 15 milioni di scadenza coeva all’immissione in possesso "il prima possibile", come stabilito nel contratto preliminare; l’assunto per cui "nel dettaglio codesta problematica è stata saltata a piedi pari dalla Corte d’appello di Firenze che non ha menomamente accennato ai fatto che c’erano altri 15 milioni da pagare prima di fare il contratto", e che "in soldoni" il giudice di secondo grado "doveva prendere in esame tutto il (…) documento n 1 e non soltanto la prima pagina, come appare pacifico che essa Corte si è limitata a fare", non avendo in alcuna parte della pronuncia menzionato l’obbligo di pagamento di ulteriori L. 15 milioni dopo la stipula del preliminare e "il prima possibile";

l’affermazione secondo cui il giudice di primo grado aveva quasi potuto "toccare con mano" durante l’interrogatorio del C. la volontà di lui di sottrarsi all’adempimento e di pretendere una riduzione del prezzo sol perchè in passato il bene promesso era stato assoggettato a vincolo;

e la conclusione che la Corte d’appello non si è curata di leggere gli atti, di guisa che la relativa decisione è "viziata dall’inesistenza e/o contraddittorietà della motivazione (prima censura); 2) mancato esame degli atti di causa e conseguente esame di una fattispecie inesistente e non di quella all’oggetto dei giudizi di merito di primo e di secondo grado (seconda censura); 3) errore di diritto per avere dichiarato che la parte inadempiente era adempiente, e viceversa, maltrattando diritto e logica oltremisura, senza neppure esaminare il testo del contratto preliminare (terza censura)". 2.1. – Anche tale motivo è palesemente inammissibile, non essendo dato di coglierne altro senso se non la doglianza di omesso esame di un fatto – il mancato pagamento della seconda tranche del prezzo (L. 15 milioni, in aggiunta agli altri 15 corrisposti a titolo di caparra e destinati ad essere inglobati nel corrispettivo globale) – di cui non è apprezzabile la decisività, visto che a stregua delle argomentazioni della stessa parte ricorrente il pagamento della seconda rata del prezzo di vendita sarebbe stato collegato all’immissione del promissario acquirente nel possesso del bene. E poichè la sentenza d’appello non afferma esservi stata trasmissione del possesso, nè il ricorrente censura, a sua volta, la motivazione della sentenza impugnata come omessa in parte qua, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, il motivo in parola appare formulato in maniera inidonea.

3. – Con il ricorso incidentale il contro ricorrente denuncia la violazione dell’art. 112 c.p.c., dolendosi del fatto che la Corte territoriale si sia limitata a regolare le spese del solo secondo grado di giudizio, nonostante l’espressa richiesta di condanna dell’appellato alla rifusione delle spese di entrambi i gradi di merito.

3.1. – La censura è fondata.

E’ noto e costante orientamento di questa Corte che il giudice d’appello, accolta in tutto o in parte l’impugnazione e riformata di conseguenza la sentenza di primo grado, deve provvedere sulle spese di entrambi i gradi di giudizio secondo l’esito complessivo della lite (v. per tutte e tra le ultime, Cass. n. 18837/10).

3.1.1. – Nello specifico, nè dalla motivazione, nè dal dispositivo della sentenza impugnata è dato di ricavare tale necessaria doppia liquidazione delle spese, vuoi perchè difetta ogni indicazione al riguardo (si parla solo di "spese processuali del giudizio"), vuoi perchè l’entità delle singole voci così come specificate in motivazione appare incompatibile con il regolamento anche delle spese del primo grado.

Pertanto, la sentenza impugnata deve essere cassata in relazione a tale motivo, con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Firenze, che provvederà a liquidare sia le spese del primo grado, sia quelle del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.

LA CORTE riuniti i ricorsi, rigetta il ricorso principale, accoglie quello incidentale e cassa la sentenza impugnata in relazione al ricorso accolto e rinvia ad altra sezione della Corte d’appello di Firenze che provvederà anche alle spese della fase di cassazione.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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