Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 21-10-2010) 21-02-2011, n. 6289

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Il Tribunale di Palermo, adito ex art. 309 cod. proc. pen., con ordinanza del 5 maggio 2010, confermava l’ordinanza in data 2 aprile 2010 dal Giudice per le indagini preliminari del medesimo Tribunale, che aveva applicato la misura degli arresti domiciliari ad M. A., ultrasettantenne, in ordine al delitto di cui all’art. 416- bis cod. pen., per avere partecipato all’associazione mafiosa "Cosa Nostra", mandamento di Castelvetrano, con condotte dirette, anche attraverso la programmazione di estorsioni, incendi, interposizioni fittizie di valori, al controllo delle attività economiche, di appalti e servizi pubblici e comunque alla realizzazione di profitti ingiusti, nonchè con condotte dirette ad assicurare la latitanza del capo della provincia mafiosa di Trapani Me.De.Ma. (in (OMISSIS) e altre località sino alla data dell’ordinanza cautelare).

2. Osservava il Tribunale, rigettate le eccezioni difensive circa la inutilizzabilità delle conversazioni captate sulla base di decreti intercettazione o di proroga delle relative operazioni, fatta eccezione di due o tre delle dette conversazioni, comunque non determinanti, che i gravi indizi di colpevolezza a carico del M., già condannato irrevocabilmente per partecipazione ad associazione mafiosa con riferimento a condotte pregresse, derivavano, in primo luogo, dalle dichiarazioni, giudicate attendibili, del collaboratore V.A., e, inoltre, da servizi di osservazione di p.g. e da varie conversazioni telefoniche o ambientali intercettate, che davano conto della continua frequentazione del M. con personaggi di elevato spessore mafioso come G.F., reggente del mandamento di Castelvetrano e di R.G., frequentatori della autofficina del coindagato I.L..

3. Avverso tale ordinanza ha proposto ricorso per cassazione l’indagato a mezzo del difensore avv. Celestino Cardinale, il quale denuncia:

3.1. Inutilizzabilità delle conversazioni intercettate sulla base del decreto 2383/04 (oltre che di una tra quelle derivanti dal decreto 2384/04, come già ritenuto dal Tribunale del riesame) nonchè di quelle captate sulla base dei decreti di proroga, per inidoneità della motivazione circa il ricorso a impianti esterni.

3.2. Vizio di motivazione in punto di sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, basati esclusivamente sulla frequentazione da parte del M. dell’officina del coindagato Ippolito e sull’assiduita di contatti con altri coindagati, che in realtà si riducevano a due contatti nel (OMISSIS), due contatti nel (OMISSIS) e uno nel (OMISSIS), non essendovi peraltro alcun elemento concreto che tali incontri riguardassero contenuti criminali di natura mafiosa.
Motivi della decisione

1. Il primo motivo di ricorso appare infondato.

Il ricorrente non tiene conto delle puntuali osservazioni del Tribunale, secondo cui, fatta eccezione di due decreti, tutti quelli esecutivi in proroga delle intercettazioni ambientali erano assistiti da adeguata motivazione circa la insufficienza degli impianti situati presso la sala ascolto della Procura; e questo rilievo è in perfetta linea con l’onere motivazione richiesto dalla costante giurisprudenza di legittimità, a partire, quanto meno, dalla sentenza delle Sezioni unite n. 919, 26 novembre 2003, Gatto.

2. Il secondo motivo appare invece fondato.

Il Tribunale adduce come elemento significativo della sussistenza di indizi di colpevolezza, in primo luogo, il fatto che il M. era stato già condannato, circa dieci anni prima, per il reato di cui all’art. 416-bis cod. pen..

Ma questo precedente, se è certamente idoneo a offrire uno spunto di indagine relativamente alla successiva condotta dell’indagato, non assume di per sè rilievo ai fini della contestazione di una perdurante adesione al sodalizio mafioso con riferimento agli anni presi in considerazione nella ordinanza (2004-2009).

In secondo luogo, si traggono elementi decisivi nel detto senso dalla accertata presenza del M. nell’autofficina di I. L., indicata dal collaboratore V.A. come covo e luogo di riunione del gruppo mafioso di Castelvetrano, nonchè dalla frequentazione da parte del M., anche al di fuori di tale luogo, di personaggi mafiosi di primo piano, quali G. F..

Va al riguardo osservato che questo ulteriore elemento indiziario non risulta qualificato dalla individuazione di condotte specificamente sintomatiche di una fattiva partecipazione al sodalizio criminoso, secondo gli indici più volte evidenziati dalla giurisprudenza di legittimità, che in particolare sottolinea la necessità che emergano elementi significativi di un ruolo funzionale agli interessi del gruppo criminale, consistente in un contributo causale recato dalla condotta dell’agente alla conservazione o al rafforzamento dell’associazione (per tutte, Sez. un., n. 33748, 12 luglio 2005, Mannino); restando, invece, la mera frequentazione di soggetti affiliati al sodalizio, soprattutto in contesti territoriali ristretti, meri indizi, utilizzabili a norma dell’art. 192 cod. proc. pen., ove qualificati da connotati indicativi di un effettivo contributo dato dall’agente alla esistenza o al rafforzamento del sodalizio (v., ad esempio, Sez. 6, n. 24469, S maggio 2009, Bono).

3. Date tali carenze motivazionali, l’ordinanza impugnata va annullata, con rinvio, per nuovo esame, al Tribunale di Palermo.
P.Q.M.

Annulla la ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di Palermo.

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