Cass. civ. Sez. I, Sent., 04-04-2011, n. 7618 separazione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. La sig.ra R.F., con ricorso del 21 maggio 1999, chiedeva al tribunale di Forlì che fosse pronunciata la separazione personale fra di essa e il marito sig. S.S., con addebito a carico di quest’ultimo, l’assegnazione a sè della casa coniugale e l’attribuzione di un assegno di mantenimento in proprio favore. Il sig. S. si costituiva contestando la domanda relativamente all’addebito ed all’assegno richiesto. Il tribunale pronunciava la separazione con addebito a carico del marito, assegnava la casa coniugale alla moglie, che ne era proprietaria, riconoscendole un assegno dì mantenimento di Euro mille/00 mensili.

Il sig. S. proponeva appello, che veniva rigettato dalla Corte d’appello di Bologna con sentenza depositata il 5 ottobre 2006, notificata il 13 dicembre 2006. Il sig. S. ha proposto ricorso a questa Corte con atto notificato il 10/15 febbraio 2007 formulando sei motivi di gravame. La sig.ra R. resiste con controricorso notificato il 27 marzo 2007. Il ricorrente ha anche depositato memoria.
Motivi della decisione

1. Con il primo motivo si denunciano la violazione degli artt. 143, 151, 2697 cod. civ., nonchè vizi motivazionali in ordine alla pronuncia di addebito. Si deduce che la Corte d’appello avrebbe erroneamente ritenuto accertato, sulla base di ammissioni implicite – in effetti insussistenti – da parte di esso ricorrente nel suo interrogatorio formale, che egli avrebbe fatto mancare alla moglie il dovuto sostegno morale e materiale privandola dei mezzi di sostentamento e l’avrebbe sottoposta a condotte vessatorie, sottraendole anche parte del patrimonio.

Si formula il seguente quesito: "Ai sensi del combinato disposto degli artt. 151, 143 e 2697 cod. civ., art. 115 c.p.c., e considerato il rigore che gli artt. 151 e 143 impongono nell’accertamento dei requisiti che giustificano la pronuncia di addebito della separazione e considerato altresì l’onere della prova che incombe sulla parte che richiede l’addebito, è possibile ritenere ammissibile in sentenza un percorso motivazionale che abbia alla sua base un ragionamento logico – giuridico non adeguatamente motivato, nonchè contraddittorio, in quanto altresì erroneamente fondato sulle prove addotte dalle parti ex art. 2697 cod. civ. e art. 115 c.p.c., le quali, tuttavia, non risultano – nel caso di specie ci si riferisce all’interrogatorio formale del sig. S. – ad atti nella veste formale e sostanziale descritta in sentenza?" Con il secondo motivo si denunciano la violazione delle medesime norme e vizi motivazionali, sempre in ordine alla pronuncia di addebito fondata dalla Corte d’appello sulle ragioni su dette, per un verso contestandosi che i testi G. e Re.Fr., indicati nella motivazione della sentenza, avessero riferito fatti idonei a provare l’addebito, per altro verso contestando l’attendibilità dei testi B. e F..

Si formula il seguente quesito: "Ai sensi del combinato disposto degli artt. 151, 143 e 2697 cod. civ., art. 115 c.p.c., e considerato il rigore che gli artt. 151 e 143 impongono nell’accertamento dei requisiti che giustificano la pronuncia di addebito della separazione e considerato altresì l’onere della prova che incombe sulla parte che richiede l’addebito, è possibile ritenere ammissibile in sentenza un percorso motivazionale che abbia alla sua base un ragionamento logico-giuridico non adeguatamente motivato, nonchè contraddittorio, in quanto altresì erroneamente fondato sulle prove addotte dalle parti ex art. 2697 cod. civ. e 115 c.p.c., le quali, tuttavia, non risultano – nel caso di specie ci si riferisce alle prove per testimoni con i testi chiamati dalla sig.ra R. – ad atti nella veste formale e sostanziale descritta in sentenza?" I motivi, fra loro connessi, sono in parte infondati e in parte inammissibili. Infondati nella parte in cui con essi si deduce che la Corte d’appello avrebbe violato la regola di diritto secondo la quale incombe sulla parte che richiede l’addebito provarne i fatti posti a fondamento della relativa domanda, fondandosi la decisione impugnata sull’affermazione, applicativa di detta regola, che tali fatti siano stati provati. Sono parimenti infondati quanto alla dedotta non adeguatezza e contraddittorietà della motivazione, avendo la Corte d’appello, nel confermare la sentenza di primo grado che aveva a sua volta ritenuti provati i fatti costitutivi dell’addebito, ampiamente e coerentemente motivato il proprio convincimento, soprattutto sulla base di deposizioni testimoniali e prove documentali relative ai movimenti bancari, a seguito dei quali l’odierna resistente venne privata dal marito di somme di danaro provenienti da vendite di immobili di sua proprietà, così da venire a trovarsi in una condizione di sostanziale mancanza di mezzi economici. I motivi sono invece inammissibili per la parte in cui con essi si censura la valutazione delle prove testimoniali e l’attendibilità dei testimoni, che costituiscono elementi estranei al giudizio di questa Corte, e lo sono parimenti quanto alla censura relativa agli elementi di prova che sarebbero stati erroneamente tratti dall’interrogatorio del ricorrente, non apparendo essa decisiva nel contesto della motivazione della sentenza.

2. Quanto al terzo motivo, con il quale si denunciano vizi motivazionali sia in relazione alla pronuncia di addebito, sia in relazione alla liquidazione dell’assegno di mantenimento, esso è inammissibile poichè il motivo non si conclude con la sintesi prescritta dall’art. 366 bis c.p.c. (Cass. sez. un. 1 ottobre 2007, n. 20603).

3. Con il quarto motivo si denunciano ancora, in relazione alla pronuncia di addebito, la violazione degli artt. 143 e 151 cod. civ., nonchè vizi motivazionali. Si deduce in proposito che la motivazione della sentenza non avrebbe dimostrato l’esistenza di atti, compiuti da esso ricorrente, contrari ai doveri nascenti dal matrimonio che abbiano determinato la crisi del rapporto coniugale. In particolare non sarebbe stato provato che la moglie nel corso del matrimonio fosse stata ridotta dal marito in uno stato d’indigenza e non sarebbe stato comunque provato il nesso di causalità fra i comportamenti addebitati ad esso ricorrente ed il sorgere dell’intollerabilità della convivenza, essendo gli episodi riferiti dai testi collocabili in un contesto in cui i coniugi di fatto già vivevano separati. Si lamenta, infine, che la Corte d’appello abbia svalutato tutti gli elementi in contrario addotti da esso ricorrente.

Il motivo si conclude con il seguente quesito: "Ai sensi del combinato disposto degli artt. 151, 143 e 2697 cod. civ., art. 115 c.p.c., e considerato il rigore che gli artt. 151 e 143 impongono nell’accertamento dei requisiti che giustificano la pronuncia di addebito della separazione e considerato altresì l’onere della prova che incombe sulla parte che richiede l’addebito, è possibile ritenere ammissibile in sentenza un percorso motivazionale che abbia alla sua base un ragionamento logico – giuridico non adeguatamente motivato, nonchè contraddittorio, in quanto non rigorosamente ispirato a rintracciare, identificare e accertare la presenza dei comportamenti "contrari ai doveri nascenti dal matrimonio" – peraltro non provati dalla parte richiedente l’addebito – che la legge qualifica indispensabili per l’accertamento e il riconoscimento dell’addebito nella separazione dei coniugi".

Il motivo è in parte infondato e in parte inammissibile. Infondato nella parte in cui con esso si contesta che l’addebito sia stato pronunciato senza l’identificazione dei comportamenti contrari ai doveri nascenti dal matrimonio, che sono invece specificati nella sentenza (pagg. 8 e 9). Inammissibile nella parte in cui si contesta la valutazione delle prove che hanno condotto la Corte al relativo accertamento.

4. Con il quinto motivo si denunciano la violazione degli artt. 156 e 2697 cod. civ., nonchè vizi motivazionali, in ordine all’attribuzione e determinazione in favore della moglie di un assegno di mantenimento di euro 1000,00 mensili, per non essere le affermazioni contenute nella sentenza impugnata conformi a quanto risultante dalla documentazione in atti. La Corte d’appello ha affermato, infatti, che esso ricorrente godrebbe di un pensione mensile di Euro 2.500,00 oltre ad un canone di affitto di un appartamento di Euro 430,00 mensili, mentre la moglie godrebbe unicamente di un reddito di Euro 403,00 mensili da pensione e abiterebbe in un appartamento dì sua proprietà, di grandi dimensioni. Invece, in effetti, secondo quanto risultante dalla documentazione depositata, esso ricorrente godrebbe di un pensione mensile di Euro 1.893,00 oltre a detto canone, ma pagherebbe Euro 188,00 mensili per l’ammortamento di un debito contratto per riparazioni all’appartamento nel quale abita. Ne deriverebbe che, versando l’assegno di Euro 1000,00 mensili alla moglie, gli rimarrebbe un reddito mensile effettivo di Euro 1.125,00, a fronte di Euro 1.403,00 mensili dei quali verrebbe a godere la moglie. Inoltre a Corte d’appello non avrebbe tenuto conto del valore dell’appartamento di proprietà della moglie, mentre avrebbe tenuto conto del valore dei due miniappartamenti di proprietà di esso ricorrente, in uno dei quali egli abita. Si lamenta, ancora, che la Corte d’appello, come già il tribunale, abbia dato eccessivo rilievo alle condizioni di salute della controparte ed alle connesse spese mediche, nonostante che, tenendo conto specificamente di esse, il tribunale avesse in un primo tempo quantificato l’assegno in Euro 700,00 mensili. Si contesta inoltre che dette spese mediche, pari a 10,000 Euro in un anno, fossero adeguatamente documentate, così come si nega che sia stata data la prova di uno stato patologico permanente che le renda necessarie. La Corte d’appello, ancora, nel quantificare l’assegno, avrebbe omesso di determinare il tenore di vita dei coniugi durante il matrimonio, che ai sensi dell’art. 156 cod. civ. costituisce uno dei punti di riferimento per la determinazione della spettanza e misura dell’assegno.

Si formula il seguente quesito: "Ai sensi del combinato disposto degli artt. 156 e 2697 cod. civ., considerato il rigore che la legge impone nell’individuazione e accertamento dei requisiti che giustificano la liquidazione di una somma a titolo di mantenimento per il coniuge, è possibile considerare assolto l’onere della prova che anche in tale frangente incombe sulla parte che richiede la liquidazione dell’assegno, pur in presenza d’inconfutabili dati oggettivi che attestano la presenza di una situazione complessiva di entrate più favorevole al coniuge che riceve l’assegno, ovvero che attestano la disponibilità in capo a tale coniuge di un patrimonio immobiliare di maggior valore, ovvero che riconoscono la sua disponibilità di conti correnti personali presso altre banche (Banco Posta di Forlì e Credito Emiliano), ovvero, infine, che fonda la sua necessità di un assegno di mantenimento sulla base delle precarie condizioni di salute, mai provate da CTU, ma solo con esibizione di scontrini, peraltro per la più parte relativi a cure omeopatiche o di bellezza, ma comunque voluttuarie e non necessarie e per il resto non utilizzando i vantaggi che il SS.N. offre agli ultrasessantenni".

"Alla luce di tali oggettive carenze probatorie è possibile ritenere ammissibile un percorso motivazionale che abbia alla sua base un ragionamento logico – giuridico non adeguatamente motivato, nonchè contraddittorio, in quanto non rigorosamente ispirato a rintracciare, identificare e accertare la presenza dei requisiti essenziali e oggettivi richiesti dalla legge per la liquidazione di un assegno di mantenimento".

Con il sesto motivo si denunciano la violazione dell’art. 156 c.p.c. e vizi motivazionali in relazione all’assegno di mantenimento liquidato. Si insiste al riguardo nel dedurre che la Corte d’appello avrebbe erroneamente ritenuto la esistenza di una sperequazione dei redditi fra i coniugi in favore di esso ricorrente, avendo omesso di considerare che la moglie vive in un grande appartamento mentre egli è costretto a vivere in un miniappartamento e pagando l’assegno stabilito gode dì un reddito inferiore a quello della moglie. Si lamenta che la Corte d’appello non abbia disposto accertamenti su c.c. bancari e postali della controparte e non abbia tenuto conto che la moglie appartiene a famiglia molto ricca e destinataria, alla morte della madre, di una cospicua eredità.

Si formula il seguente quesito: "Ai sensi del disposto dell’art. 156 cod. civ., considerato il rigore che la legge impone nell’individuazione e accertamento delle condizioni economiche e personali dell’obbligato, la cui sola ricorrenza può giustificare la liquidazione di una somma a titolo di mantenimento per il coniuge avente diritto, è possibile considerare corretta, lineare ed immune da censura la motivazione del giudice che attesti la presenza di una sperequazione dei redditi dei due coniugi con una tendenza positiva a favore decisamente del marito separato, senza avere avuto riguardo alle circostanze e ai redditi oggettivi dell’obbligato come emergenti dagli atti;

ed alla luce di tali obbiettive carenze e contraddizioni è possibile ritenere ammissibile, in sentenza, un percorso motivazionale che abbia alla sua base un ragionamento logico-giuridico non adeguatamente motivato e contraddittorio, in quanto non rigorosamente ispirato a rintracciare, identificare e accertare la presenza dei requisiti essenziali e oggettivi, richiesti dalla legge per la liquidazione di un assegno di mantenimento come stabiliti dall’art. 156 cod. civ.".

I due motivi vanno esaminati congiuntamente e va respinta la censura relativa alla mancata determinazione del tenore di vita dei coniugi durante il matrimonio in relazione al quale l’assegno va ragguagliato, risultando tale tenore implicitamente desunto dai rispettivi redditi dei coniugi e dal complesso delle loro proprietà immobiliari quali risultanti dall’indagine della Guardia di finanza.

I motivi vanno invece accolti nei limiti con i quali con essi si denunciano vizi motivazionali in ordine alla misura dell’assegno di mantenimento liquidato. Mentre infatti giustamente la Corte d’appello non ha dato rilievo alle affermazioni dell’odierno ricorrente relative alle capacità economiche della famiglia di origine della resistente, nel determinare i redditi dell’odierno ricorrente e nell’affermare che egli godeva nel 2003 di un reddito da pensione di Euro 2.500,00 mensili, non ha chiarito se si trattasse di reddito netto e non invece lordo, come fa ritenere la circostanza che nella stessa sentenza la Corte d’appello (pag. 12) ha affermato che nell’anno 2000, secondo quanto accertato dal tribunale, egli godeva di una pensione di circa Euro 1.800,00 mensili. Tale elemento, nel contesto reddituale delle parti, risulta decisivo ed inficiante tutta la motivazione sulla quantificazione dell’assegno dal punto di vista motivazionale.

Il ricorso va pertanto accolto limitatamente a tale profilo e la sentenza va cassata, con rinvio alla Corte d’appello di Bologna in diversa composizione che deciderà anche sulle spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.

LA CORTE DI CASSAZIONE Rigetta i primi quattro motivi, accoglie nei sensi di cui in motivazione il quinto e il sesto motivo, cassa la sentenza nei limiti su detti e rinvia alla Corte d’appello di Bologna in diversa composizione anche per le spese.

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