Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 25-01-2011) 22-02-2011, n. 6867 Riparazione per ingiusta detenzione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La Corte di Appello di Reggio Calabria, con ordinanza resa all’udienza camerale del giorno 23.10.2008 dichiarava inammissibile la domanda di riparazione per ingiusta detenzione proposta da L. R.A.. Secondo la Corte territoriale la domanda di riparazione per ingiusta detenzione doveva essere dichiarata inammissibile perchè proposta ben oltre il termine di anni due dalla irrevocabilità delle pronunzie di proscioglimento concernenti i reati per i quali la custodia cautelare era stata disposta e mantenuta.

Avverso la sopra indicata ordinanza proponeva ricorso per Cassazione il L.R. e concludeva chiedendone l’annullamento con rinvio.
Motivi della decisione

Il ricorrente censura l’ordinanza impugnata per il seguente motivo:

errata prospettazione dei fatti posti a base dell’ordinanza.

Secondo il ricorrente l’ordinanza impugnata affermava erroneamente che per i reati di cui agli artt. 326 e 378 cod. pen., per i quali egli era stato assolto in via definitiva in data 26.07.2005, non vi era stata emissione di ordinanza applicativa di misura cautelare. In realtà ci sarebbe continuità tra le ordinanze di custodia cautelare e i processi che vedevano imputato il ricorrente. Pertanto non poteva essere presentata domanda di riparazione per ingiusta detenzione per le assoluzioni ottenute dal L.R. per alcuni capi di imputazione, allorquando erano ancora in corso i procedimenti per altre imputazioni (quelli in ordine ai reati di cui agli artt. 326 e 378 cod. pen.), che si sono conclusi in via definitiva soltanto in data 26.07.2005, quando è diventata definitiva la sentenza emessa dalla Corte di appello di Reggio Calabria in sede di rinvio dell’11.03.2005.

Il ricorso è palesemente infondato.

Secondo la ricostruzione delle vicende processuali operata nell’ordinanza impugnata, il L.R. era stato raggiunto da una ordinanza di custodia cautelare emessa in data 25.07.1994 per i delitti di cui agli artt. 416 bis e 323 c.p.. Nel procedimento in questione era stato contestato anche il delitto previsto dall’art. 378 cod. pen., ma, in ordine a tale reato si era proceduto con l’indagato a piede libero.

Il provvedimento restrittivo era stato poi revocato il 14.12.1995.

Il L.R. veniva poi rinviato a giudizio davanti alla Corte di Assise di Reggio Calabria per varie ipotesi di reato, in particolare per i reati di cui agli artt. 416 bis, 323, 326 e 378 cod. pen..

Per il delitto di cui all’art. 416 bis cod. pen. egli era stato assolto in primo grado, mentre era stato condannato per quello di cui all’art. 323 cod. pen.. Sia il pubblico Ministero che il L.R. avevano proposto appello, ma la Corte di Assise di appello aveva rigettato entrambe le impugnazioni. Su ricorso di L.R. la Corte di Cassazione annullava con rinvio la sentenza di condanna ed egli veniva quindi assolto dalla Corte di Assise di appello di Reggio Calabria. L’ordinanza impugnata indica chiaramente le date in cui sono diventate definitive le sentenze di assoluzione, e cioè nel 2002 quella relativa al delitto di cui all’art. 416 bis cod. pen., nel 2000 quella relativa al reato di cui all’art. 323 cod. pen., in data 26.07.2005 quella relativa ai reati di cui agli artt. 326 e 378 cod. pen..

Peraltro in ordine a tali reati non era stata mai emessa una ordinanza di custodia cautelare e, quindi, correttamente la Corte di appello di Reggio Calabria ha dichiarato il ricorso avente ad oggetto la richiesta di riparazione per ingiusta detenzione tardivo, essendo stato depositato soltanto in data 7.08.2006. Nel ricorso in Cassazione il L.R. afferma che nell’ordinanza impugnata sarebbe stato scritto che l’ordinanza di custodia cautelare era stata emessa anche in ordine ai due delitti per cui era poi intervenuta sentenza di assoluzione in data 26.07.2005. Si tratta peraltro di un evidente equivoco in cui è incorso il redattore del ricorso nel leggere l’ordinanza impugnata, che, invece, in modo assolutamente inequivoco, cita le due fattispecie di reato in questione solo con riferimento al rinvio a giudizio e alle decisioni che hanno successivamente definito il merito del processo.

Il ricorso proposto deve essere dunque dichiarato inammissibile con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1000,00 in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1000,00 in favore della Cassa ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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