Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 20-01-2011) 22-02-2011, n. 6534 Detenzione, spaccio, cessione, acquisto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con ordinanza del 3.8.2010, il Tribunale della Libertà di Catanzaro, rigettava l’istanza di riesame proposta da C.A. avverso l’ordinanza applicativa della misura cautelare della custodia in carcere emessa nei suoi confronti dal gip dello stesso Tribunale il 17.7.2010, per il reato di associazione per delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti. Il tribunale collocava i fatti all’interno del contesto criminale del coriglianese, caratterizzato, secondo i giudici territoriali, dall’assenza di una leadership riconosciuta, e dall’esistenza di due fazioni in lotta tra di loro, facenti capo, rispettivamente, a B.M. e M.P. S., il primo legato al gruppo di zingari che verso la fine degli anni 90 erano riusciti a costituire una "locale" autonoma rispetto alla ndrina insediata sullo stesso territorio (i termini "locale" e "ndrina" designano particolari articolazioni organizzative della criminalità organizzata del calabrese); il secondo legato, anche per personali rapporti di familiarità, a vecchi uomini "di rispetto" come G.V. e C.A., e ad M.A., figlio del più noto (OMISSIS), da tempo in carcere per plurime condanne all’ergastolo.

Le due fazioni, in particolare, si sarebbero contese il monopolio del traffico di sostanze stupefacenti, settore di attività che vedeva il Mo. in contatto con fornitori di cocaina dell’area milanese, per il tramite della famiglia Presta di Reggiano Gravina. Il tribunale ricordava che l’esistenza di un’associazione per delinquere di stampo mafioso radicatasi nel coriglianese risultava da numerose sentenze passate in cosa giudicata, la prima emessa dal Tribunale di Rossano il 27.11.1995, che aveva accertato l’affermazione sul territorio della "locale di Carigliano" composta tra gli altri da Ca.

S. detto "il grande", F.G.V., Ma.An., S.D., C.A., Ma.

G., R.T. e Ci.Gi..

Il gruppo si era emancipato dalla "locale" di Sibari, guidata da c.g., verso la fine degli anni 80, e aveva attratto nella propria sfera di influenza criminale le ndrine di Altomonte, Francavilla, Cassano, Castrovillari, Saracena, Rossano e San Lorenzo del Vallo. Il Ca. aveva riorganizzato le ndrine conquistate ai propri progetti criminali, perseguendo i propri copi con la sistematica eliminazione fisica dei soggetti rimasti fedeli al c., fino ad essere coinvolto in vicende giudiziarie che gli erano costate pesanti condanne e una non più interrotta detenzione.

Gli era succeduto tale m., trovatosi però ben presto a fronteggiare l’opposizione interna del F., sfociata nella faida criminale ricostruita dalla sentenza della Corte di Assise di Cosenza del 24.2.2001.

Le tappe successive della faida, nella ricostruzione "giudiziaria" del tribunale, sono oggetto di una sentenza del Dicembre del 2005; al comando della cosca guidata dal m., decimata dai processi e dagli arresti, era subentrato, P.N. detto "(OMISSIS)", e il gruppo aveva perso la sua autonomia, cadendo sotto il controllo del locale di Cassano, costituito da A.F. con l’autorizzazione della cosca di Cirò. Uscito dal carcere, F.V. aveva tentato di risollevare le sorti della locale Coriglianese, ma era stato ucciso.

Le indagini più recenti, infine, avevano ricostruito gli affari della cosca coriglianese, impegnata soprattutto in estorsioni in danno di proprietari terrieri attraverso l’imposizione delle guardianie, nella conquista del monopolio della vendita di video- giochi, in fatti di usura ecc…

Il Tribunale si soffermava quindi sulle fonti di prova relative all’assetto organizzativo del sodalizio, tra le quali le attività intercettative, i servizi di ocp, gli arresti, i sequestri di armi e sostanze stupefacenti e, infine, le dichiarazioni di numerosi collaboratori di giustizia come R.T., Ci.Gi., B.G., Ci.An., Ca.An., C. G., A.C. e Cu.Vi..

I giudici esaminavano quindi gli essenziali aspetti organizzativi della cellula criminale in questione rilevando:

quanto alla disponibilità di armi comuni, che essa si desumeva dalle dichiarazioni rese dall’ A. il 10.10.2007 su un viaggio in Germania dallo stesso effettuato insieme a Me.Co. per l’acquisto di armi, una delle quali asseritamente corrispondente quella sequestrata su sua indicazione; riscontrate da quelle di Co.Gi., B.G. e R.T. e dal contenuto della conversazione n. 170 del 2.11.2008, intercettata nei confronti del D.I. e di tale G., riferita all’uso di una pistola a scopo intimidatorio da parte del Mo.; e della conversazione delle ore 17,47 del 5.10.2008, captata all’interno dell’autovettura in uso a C.P. tra quest’ultimo, l’omonimo zio e Ma.Al., nel corso della quale il Ma. ricordava di avere poco tempo trasportato a (OMISSIS) armi e droga.

Peraltro, la disponibilità di armi era stata clamorosamente confermata, nel tempo, dai sanguinosi agguati che avevano caratterizzato le locali faide criminali. Secondo l’ A. e altri collaboratori, inoltre, la cosca disponeva di una cassa comune alimentata dai proventi delle illecite attività dei sodali e che a sua volta forniva i fondi per il pagamento di spese legali, per l’esercizio di attività usurarie, per l’acquisto di sostanze stupefacenti, per il pagamento degli "stipendi" degli associati ecc..

La cosca sarebbe stata particolarmente attiva anche nel settore del taglieggiamento della attività commerciali e imprenditoriali, attraverso la sistematica imposizione del "pizzo", pratica criminale che oltre che dalle dichiarazioni dei collaboratori risultava dal contenuto di alcune conversazioni intercettate, come quella, già ricordata, n. 170 del 2.11.2008.

L’analisi della gravità indiziaria per il reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74, procedeva, nelle valutazioni dei giudici territoriali, dalla considerazione della forma non particolarmente strutturata dell’associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti secondo il modello legislativo, e dei molteplici modi dell’esplicazione dell’affectio societatis.

Con riferimento allo specifico gruppo criminale oggetto di una delle imputazioni cautelari, cioè quello che sarebbe stato diretto da Mo.Pi., il tribunale ne riteneva l’esistenza sulla base di molteplici fonti di prova, tra le quali numerose intercettazioni telefoniche, sequestri di droga, arresti, dichiarazioni di collaboratori di giustizia ecc, ricordando tra le altre le dichiarazioni dell’ A..

Prima di procedere all’analisi degli indizi a carico del ricorrente, il tribunale premetteva un’ampia digressione sui principi in materia di valutazione delle propalazioni accusatorie dei soggetti indicati dall’art. 210 c.p.p., e concludeva nel senso di una generale valutazione di attendibilità di tutti i collaboratori di giustizia autori di contributi dichiarativi nel corso delle indagini.

In questo contesto criminale, il C. si sarebbe inserito come spacciatore al minuto per conto dell’associazione per delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti descritta nel capo 1 bis.

Tanto i giudici territoriali affermavano in termini di gravità indiziaria sulla base delle convergenti dichiarazioni accusatorie del Cu. e dell’ A., e dagli ulteriori riscontri desumibili dal contenuto della conversazione telefonica intrattenuta dal ricorrente con C.A. cl. (OMISSIS), alle ore 1.58,55 del 6.6.2008 e dalle vicende dell’arresto di L.G. e F.P. eseguito dalla polizia il 9.1.2009.

Ricorre il difensore, deducendo con il primo motivo, il vizio di mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione del provvedimento impugnato.

Dopo essersi soffermata in linea generale sulle regole di giudizio che devono essere rispettate nella motivazione di un provvedimento giudiziario, denunciandone la violazione da parte dei giudici del riesame, la difesa censura l’inconferenza dell’approccio ricostruttivo secondo il quale dal ruolo di vendita al minuto sarebbe possibile desumere la partecipazione al delitto associativo, rilevando, che, in concreto, non risulterebbe affatto che il ricorrente quel ruolo avesse realmente assunto.

Le confuse acquisizioni probatorie a carico del ricorrente non consentirebbero infatti in alcun modo di stabilire quale apporto logistico egli avrebbe recato alla presunta associazione, e se la sua presunta collaborazione si fosse esplicata in modo sporadico e "monosoggettivo", piuttosto che nella direzione di uno stabile contributo al conseguimento di un’utilità collettiva.

In particolare, la dimensione associativa non sarebbe rilevabile dagli accenni contenuti in alcune conversazioni intercettate alla indisponibilità di un bilancino; non dalle dichiarazioni di Cu.

V. che aveva riferito di avere appreso direttamente dal ricorrente, in occasione di un loro incontro, che lo stesso aveva la necessità di procurarsi della sostanza stupefacente perchè "si trovava male economicamente"; non, dalle dichiarazioni dell’ A. sull’attività di spacciatore del ricorrente generiche e soltanto de relato; non, infine, dalla conversazione del 9.1.2009, non sufficientemente indicativa della necessaria continuità del contributo del ricorrente alle sorti dell’associazione.

La difesa conclude quindi per l’accoglimento del ricorso, "anche previa derubricazione della contestazione in quella del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73".

Il ricorso è manifestamente infondato.

Correttamente infatti, i giudici territoriali hanno ritenuto significativo sotto il profilo della gravità indiziaria, il riscontro delle dichiarazioni dei collaboranti offerto dal contenuto delle conversazioni riportate nell’ordinanza impugnata, nel corso delle quali gli interlocutori accennano chiaramente ad un’attività continuativa di spaccio in collegamento con altri soggetti e a problemi di "pezzatura" e di taglio della droga, e agli strumenti tipicamente destinati a tali operazioni (un "bilancino").

E hanno altresì rilevato che l’esistenza di un accordo associativo si ricaverebbe, tra l’altro, dalla frequenza degli incontri tra gli indagati dedicati a questioni relative a traffici di droga, alla scelta di luoghi fissi di appuntamento, alle costanti modalità delle operazioni di approvvigionamento della droga.

A quest’ultimo riguardo, si deve rilevare, a confutazione dell’argomento difensivo relativo all’improprio approccio ricostruttivo dei giudici territoriali al tema associativo, che in materia di associazione per delinquere è consentito al giudice, pur nell’autonomia del reato mezzo rispetto ai reati fine, dedurre la prova dell’esistenza del sodalizio criminoso dalla commissione dei delitti rientranti nel programma comune e dalle loro modalità esecutive, posto che attraverso essi si manifesta in concreto l’operatività dell’associazione medesima (Cass. 28/03/2001 SEZ. U RIC. Cinalli e altri). Con più specifico riferimento al reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74, Cass. Pen. 12/11/1997 SEZ. 1, RIC. P.M. e Cuomo ed altri, ha, poi, affermato che ai fini della configurabilità del reato di associazione per delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti, il patto associativo non deve necessariamente consistere in un preventivo accordo formale, ma può essere anche non espresso e costituirsi di fatto fra soggetti consapevoli che le attività proprie ed altrui ricevono vicendevole ausilio e tutte insieme contribuiscono all’attuazione dello scopo comune; e, ferma restando l’autonomia rispetto ai reati eventualmente posti in essere in attuazione del programma, la prova in ordine al delitto associativo può desumersi anche dalle modalità esecutive dei reati-scopo, dalla loro ripetizione, dai contatti fra gli autori, dall’uniformità delle condotte, specie se protratte per un tempo apprezzabile (vedi, ancora, ex plurimis, nello stesso senso, Cass. 13/12/2000 RIC. Coco G e altri, secondo cui, in tema di associazione per delinquere finalizzata al traffico degli stupefacenti, la prova del vincolo permanente, nascente dall’accordo associativo, può essere data anche per mezzo dell’accertamento di facta concludentia, quali i contatti continui tra gli spacciatori, i frequenti viaggi per il rifornimento della droga, le basi logistiche, le forme di copertura e i beni necessari per le operazioni delittuose, le forme organizzative, sia di tipo gerarchico che mediante divisione dei compiti tra gli associati, la commissione di reati rientranti nel programma criminoso e le loro specifiche modalità esecutive).

Nel complessivo contesto indiziario analizzato dai giudici territoriali, infine, le vicende dell’arresto del L. hanno un rilievo del tutto marginale, ma comunque sono in effetti pur marginalmente apprezzabili, considerando che si tratta di uno degli interlocutori del ricorrente in alcune conversazioni aventi ad oggetto traffici di droga. La contestazione del valore probatorio del contenuto di tali conversazioni, e del loro significato di riscontro alle dichiarazioni del Cu. appare poi del tutto immotivata, oltre che alquanto "sbrigativa", così come deve ritenersi del tutto inconsistente, sotto il profilo logico-giuridico, la richiesta subordinata di "derubricazione" del reato associativo in quello di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73.

Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento alla Cassa delle ammende della somma di Euro 1000,00, commisurata all’effettivo grado di colpa dello stesso ricorrente nella determinazione della causa di inammissibilità. Il cancelliere dovrà provvedere agli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p..
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento alla Cassa delle ammende della somma di Euro 1000,00; manda al Cancelliere per gli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p..

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