Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 20-01-2011) 22-02-2011, n. 6529 Detenzione, spaccio, cessione, acquisto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

ucia Salcina Andrea.
Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con ordinanza del 3.8.2010, il Tribunale della Libertà di Catanzaro, rigettava l’istanza di riesame proposta da D.I.O. avverso l’ordinanza applicativa della misura cautelare della custodia in carcere emessa nei suoi confronti dal gip dello stesso Tribunale il 17.7.2010, per il reato di associazione per delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti.

Il tribunale collocava i fatti all’interno del contesto criminale del coriglianese, caratterizzato, secondo i giudici territoriali, dall’assenza di una leadership riconosciuta, e dall’esistenza di due fazioni in lotta tra di loro, facenti capo, rispettivamente, a B.M. e M.P.S., il primo legato al gruppo di zingari che verso la fine degli anni 90 erano riusciti a costituire una "locale" autonoma rispetto alla ndrina insediata sullo stesso territorio (i termini "locale" e "ndrina" designano particolari articolazioni organizzative della criminalità organizzata del calabrese); il secondo legato, anche per personali rapporti di familiarità, a vecchi uomini "di rispetto" come G. V. e Co.Ar., e ad Ma.Al., figlio del più noto Z.T., da tempo in carcere per plurime condanne all’ergastolo.

Le due fazioni, in particolare, si sarebbero contese il monopolio del traffico di sostanze stupefacenti, settore di attività che vedeva il M. in contatto con fornitori di cocaina dell’area milanese, per il tramite della famiglia Pr. di Reggiano Gravina.

Il tribunale ricordava che l’esistenza di un’associazione per delinquere di stampo mafioso radicatasi nel coriglianese risultava da numerose sentenze passate in cosa giudicata, la prima emessa dal Tribunale di Rossano il 27.11.1995, che aveva accertato l’affermazione sul territorio della "locale di Carigliano" composta tra gli altri da Ca.Sa. detto "(OMISSIS)", F. G.V., Ma.An., S.D., Co.

A., Ma.Gi., R.T. e Ci.Gi..

Il gruppo si era emancipato dalla "locale" di Sibari, guidata da ci.gi., verso la fine degli anni 80, e aveva attratto nella propria sfera di influenza criminale le ndrine di Altomonte, Francavilla, Cassano, Castrovillari, Saracena, Rossano e San Lorenzo del Vallo.

Il Ca. aveva riorganizzato le ndrine conquistate ai propri progetti criminali, perseguendo i propri copi con la sistematica eliminazione fisica dei soggetti rimasti fedeli al ci.gi., fino ad essere coinvolto in vicende giudiziarie che gli erano costate pesanti condanne e una non più interrotta detenzione.

Gli era succeduto tale ma., trovatosi però ben presto a fronteggiare l’opposizione interna del F., sfociata nella faida criminale ricostruita dalla sentenza della Corte di Assise di Cosenza del 24.2.2001.

Le tappe successive della faida, nella ricostruzione "giudiziaria" del tribunale, sono oggetto di una sentenza del Dicembre del 2005; al comando della cosca guidata dal ma., decimata dai processi e dagli arresti, era subentrato, P.N. detto "(OMISSIS)", e il gruppo aveva perso la sua autonomia, cadendo sotto il controllo del locale di Cassano, costituito da Ab.Fr. con l’autorizzazione della cosca di Cirò.

Uscito dal carcere, F.V. aveva tentato di risollevare le sorti della locale Coriglianese, ma era stato ucciso.

Le indagini più recenti, infine, avevano ricostruito gli affari della cosca coriglianese, impegnata soprattutto in estorsioni in danno di proprietari terrieri attraverso l’imposizione delle guardianie, nella conquista del monopolio della vendita di video- giochi, in fatti di usura ecc…

Il Tribunale si soffermava quindi sulle fonti di prova relative all’assetto organizzativo del sodalizio, tra le quali le attività intercettative, i servizi di ocp, gli arresti, i sequestri di armi e sostanze stupefacenti e, infine, le dichiarazioni di numerosi collaboratori di giustizia come R.T., Ci.Gi., Ba.Gi., Ci.An., Ca.An., C. G., Al.Ca. e Cu.Vi..

I giudici esaminavano quindi gli essenziali aspetti organizzativi della cellula criminale in questione rilevando:

quanto alla disponibilità di armi comuni, che essa si desumeva dalle dichiarazioni rese dall’ Al. il 10.10.2007 su un viaggio in Germania dallo stesso effettuato insieme a Me.Co. per l’acquisto di armi, una delle quali asseritamente corrispondente quella sequestrata su sua indicazione; riscontrate da quelle di Co.Gi., Ba.Gi. e R.T. e dal contenuto della conversazione n. 170 del 2.11.2008, intercettata nei confronti del D.I. e di tale Gr., riferita all’uso di una pistola a scopo intimidatorio da parte del M.; e della conversazione delle ore 17,47 del 5.10.2008, captata all’interno dell’autovettura in uso a Co.Pi. tra quest’ultimo, l’omonimo zio e Ma.Al., nel corso della quale il Ma.Al. ricordava di avere poco tempo trasportato a Corigliano armi e droga.

Peraltro, la disponibilità di armi era stata clamorosamente confermata, nel tempo, dai sanguinosi agguati che avevano caratterizzato le locali faide criminali.

Secondo l’ Al. e altri collaboratori, inoltre, la cosca disponeva di una cassa comune alimentata dai proventi delle illecite attività dei sodali e che a sua volta forniva i fondi per il pagamento di spese legali, per l’esercizio di attività usurarie, per l’acquisto di sostanze stupefacenti, per il pagamento degli "stipendi" degli associati ecc….

La cosca sarebbe stata particolarmente attiva anche nel settore del taglieggiamento della attività commerciali e imprenditoriali, attraverso la sistematica imposizione del "pizzo", pratica criminale che oltre che dalle dichiarazioni dei collaboratori risultava dal contenuto di alcune conversazioni intercettate, come quella, già ricordata, n. 170 del 2.11.2008.

L’analisi della gravità indiziaria per il reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74 procedeva, nelle valutazioni dei giudici territoriali, dalla considerazione della forma non particolarmente strutturata dell’associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti secondo il modello legislativo, e dei molteplici modi dell’esplicazione dell’affectio societatis.

Con riferimento allo specifico gruppo criminale oggetto di una delle imputazioni cautelari, cioè quello che sarebbe stato diretto da M.P., il tribunale ne riteneva l’esistenza sulla base di molteplici fonti di prova, tra le quali numerose intercettazioni telefoniche, sequestri di droga, arresti, dichiarazioni di collaboratori di giustizia ecc, ricordando tra le altre le dichiarazioni dell’ Al..

Prima di procedere all’analisi degli indizi a carico del ricorrente, il tribunale premetteva un’ampia digressione sui principi in materia di valutazione delle propalazioni accusatorie dei soggetti indicati dall’art. 210 c.p.p., e concludeva nel senso di una generale valutazione di attendibilità di tutti i collaboratori di giustizia autori di contributi dichiarativi nel corso delle indagini.

Nell’ambito delle attività criminali oggetto di indagine, il ruolo del D.I. sarebbe stato quello di corriere della droga per conto del M..

Il ricorrente avrebbe avuto il compito di tenere i contatti con un fornitore della sostanza stupefacente, ma.sa., presso il quale si approvvigionava per poi consegnare la droga al M..

Tanto i giudici territoriali affermavano in termini di gravità indiziaria sia sulla base delle dichiarazioni dell’ Al., che in ragione degli esiti dell’attività intercettativa, ritenuta anzi pressochè autosufficiente sul piano probatorio.

Nel provvedimento è citato il contenuto di numerose conversazioni, ritenuto indicativo delle triangolazioni D.I. – ma. – M., in un contesto di rapporti secondo i giudici riferibile al traffico di sostanze stupefacenti, a dispetto del linguaggio criptico usato dagli interlocutori.

Ricorre il difensore, rilevando con un primo motivo il vizio di violazione di legge e il difetto di motivazione del provvedimento impugnato in ordine alla questione dell’utilizzabilità delle intercettazioni, già sollevata con l’istanza di riesame ma del tutto trascurata dal tribunale, limitatosi in sostanza all’apodittica affermazione della piena conformità al dettato normativo dei decreti autorizzativi.

Con il secondo motivo, il difensore deduce il vizio di violazione di legge e il difetto di motivazione del provvedimento ai sensi dell’art. 606 c.p.p., lett. b), c) ed e), in relazione al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74, artt. 192, 273 e 275 c.p.p., in ordine all’affermata sussistenza della gravità indiziaria per il reato associativo a carico del ricorrente.

Il tribunale avrebbe indugiato superfluamente sulla ricostruzione del contesto associativo, non oggetto di specifiche doglianze nell’istanza del riesame, concentrata piuttosto sulla rilevazione dell’assenza di elementi indiziali idonei a dimostrare la stabile partecipazione del D.I. ai traffici di droga condotti dal gruppo criminale da altri composto.

L’indicazione del coinvolgimento associativo del D.I. sarebbe poi in stridente contraddizione con l’affermazione contenuta nel provvedimento cautelare secondo la quale il ricorrente non sarebbe "attinto da alcuna incolpazione", ma il giudice del riesame non aveva ugualmente ritenuto di dar conto di tale insanabile illogicità, sottolineata dalla difesa.

Tutto, nel segno della generale disattenzione per le deduzioni difensive che caratterizzerebbe le valutazioni espresse dal tribunale anche in ordine ad altre istanze di riesame contro lo stesso provvedimento genetico.

Quanto ai pochi cenni dedicati alla specifica posizione del ricorrente come presunto corriere della droga, incaricato di curare i rapporti di fornitura dal ma. al M., il tribunale si sarebbe acriticamente appiattito sulle valutazioni del PM e del Gip, senza interloquire sulla contestazione difensiva relativa alla totale assenza di riscontri alle dichiarazioni dell’ Al..

E sottolinea, ancora, la difesa, che mai il D.I. era stato trovato in possesso di denaro contante nelle occasioni in cui si era recato in Altomonte, dove risiedeva il ma. e mai era stato coinvolto nel sequestro di partite di sostanze stupefacenti.

Ma i giudici del riesame avrebbero anche valorizzato illogicamente le dichiarazioni dell’ Al., per quanto avesse già ritenuto, in un passato recente, la totale assenza di credibilità dello stesso collaborante, peraltro smentito riguardo all’indicazione dei viaggi del D.I. in terra tedesca, dai documenti prodotti dalla difesa attestanti la frequenza da parte del ricorrente, di un istituto scolastico di Corigliano.

Così come le propalazioni del collaboratore dovrebbero ritenersi smentite, nella troppo significativa assenza di qualunque riscontro, in ordine ai numerosi viaggi che il D.I. avrebbe effettuato nel napoletano.

Ma la figura del ricorrente di spacciatore di droga inserito nel sodalizio del M. sarebbe anche in evidente contrasto con quanto risulta dalla conversazione nr. 518 delle ore 16.40,56 del 27.9.2008, nel corso della quale il D.I. rivela di non avere nemmeno la disponibilità della somma di denaro occorrente per un rifornimento di benzina.

Quanto emerso a carico del ricorrente, indicherebbe in realtà, secondo la difesa, solo la sua condizione di assuntore di sostanze stupefacenti, non certo l’inserimento in una continuativa e proficua attività di spaccio.

Tutte queste incertezze o sarebbero state immotivatamente ignorate dal tribunale, o sarebbero state comunque superate dai giudici con il rilievo attribuito alle dichiarazioni dell’ Al. in assenza dei necessari riscontri, e senza l’individuazione dei dati di fatto da cui desumere la consapevole adesione del ricorrente ad un programma associativo perseguito in forma organizzata da tre o più soggetti.

Con l’ultimo motivo, infine, la difesa si sofferma sulla questione delle esigenze cautelari, denunciando il vizio di illogicità della motivazione dell’ordinanza impugnata in ordine alla ribadita, esclusiva idoneità della più grave misura custodiale a prevenire il pericolo di reiterazione dei reati.

Il tribunale sarebbe ricorso in pratica al solito "alibi" dell’operatività dell’automatismo cautelare imposto dall’art. 275 c.p.p., "così come barbaramente interpretato dalla giurisprudenza", senza considerare che le condotte contestate sarebbero molto risalenti nel tempo; senza considerare la condizione personale "attuale" del ricorrente, che dalle informative di pg in atti risulterebbe soggetto incensurato ed estraneo da sempre alla perpetrazione di illeciti; e senza considerare, infine, la debolezza del quadro indiziario.

Il ricorso è manifestamente infondato.

Ed invero, quanto alla questione della inutilizzabilità delle intercettazioni, è pregiudiziale la valutazione dell’assoluta genericità delle deduzioni difensive, e pregiudizialmente la rileva già il Tribunale con riferimento all’analoga vaghezza dei motivi dell’istanza di riesame sul punto.

Si è detto, poi, dei numerosi elementi di prova congruamente analizzati dai giudici del riesame a carico del ricorrente, oggetto di notazioni difensive soltanto parziali e in qualche occasione del tutto fuorvianti.

Del tutto infondata è ad es., l’enfatizzazione in chiave difensiva del contenuto della conversazione nr. 518 delle ore 16.40.56 del 27.9.2008, peraltro basata su una lettura assolutamente monca del colloquio, che nella sua integralità offre invece, secondo le corrette valutazioni dei giudici territoriali, più che significativi riscontri all’ipotesi accusatoria.

Ed invero, l’accenno alle difficoltà economiche degli interlocutori, che già non ha in sè nulla di clamoroso, per l’ovvia considerazione che chiunque può incorrere in situazioni di temporanea indisponibilità di denaro contante, è seguito poi dall’esplicita rivelazione da parte degli interlocutori dell’intenzione di effettuare ugualmente il viaggio programmato, per raggiungere " sa.", in un contesto nel quale appare il riferimento al M. come soggetto interessato alla spedizione, e in cui compare altresì il chiaro riferimento a sostanze stupefacenti, delle quali i due devono approvvigionarsi, e non per uso esclusivamente personale, se è vero che il D.I., ad un certo punto, rivendica per sè e per il Co.Ar. il diritto di trattenerne solo una parte per "un paio di tiri".

Se si considera che il "saverio" è logicamente identificato dal tribunale in quel sa.ma. di cui parla l’ Al. nelle dichiarazioni del 5.3.2010 come uno dei fornitori di droga del M., e che i due, secondo l’ulteriore precisazione dello stesso collaborante, avrebbero intrattenuto i loro rapporti illeciti con l’intermediazione del D.I. nel ruolo di corriere, il quadro di gravità indiziaria non potrebbe essere più evidente, secondo le ovvie conclusioni del Tribunale.

E vana, sarebbe, considerata la qualità dei riscontri, prossima all’autosufficienza probatoria, la considerazione dell’inattendibilità che l’ Al. avrebbe mostrato in altre occasioni, ma che alquanto vagamente la difesa deduce da non meglio puntualizzate frequenze scolastiche del ricorrente a confutazione dell’indicazione del collaborante sui frequenti viaggi che il D. I. avrebbe effettuato in terra tedesca.

Basta infatti rilevare al riguardo che l’eventuale falsità della chiamata di correo in ordine ad uno specifico fatto narrato non comporta, in modo automatico, l’aprioristica perdita di credibilità di tutto il compendio conoscitivo-narrativo dichiarato dal collaboratore di giustizia, rientrando piuttosto nei compiti del giudice la verifica e la ricerca di un "ragionevole equilibrio di coerenza e qualità" di ciò che viene riferito nel contesto di tutti gli altri fatti narrati, anche se nel rispetto del criterio secondo cui la debole valenza di attendibilità soggettiva deve essere compensata con l’individuazione di un più elevato e consistente spessore dei riscontri, attraverso il necessario minuzioso raffronto con le verifiche di credibilità estrinseca delle dichiarazioni (cfr.

Corte di Cassazione sez. 6^, Sent. Nr. 20514 del 28/04/2010, Arman Ahmed e altri).

Meno ancora apprezzabile, date le superiori premesse, è poi il rilievo difensivo circa la semplice mancanza di riscontri sui viaggi nel napoletano del D.I. pure riferiti dall’ Al., oltretutto riferibili ad altri contesti di indagine; così come inconferenti sono le censure difensive sull’assenza di "incolpazioni" a carico del ricorrente, nella misura in cui debbano ritenersi relative alla mancata contestazione di reati fine, per l’ovvia considerazione dell’autonomia del reato associativo, o gli altri elementi "negativi" sottolineati dalla difesa, soprattutto nel confronto con la ben diversa pregnanza probatoria degli elementi "positivi" risultanti dal complesso indiziario costituito dalle fonti dichiarative e dai risultati della attività captative.

Quanto alle esigenze cautelari, le generiche ed apodittiche deduzioni del ricorrente sui presunti stili di vita dell’imputato, o sulla datazione dei fatti, che il ricorrente assume alquanto esageratamente "remota", non valgono ovviamente a superare la presunzione di pericolosità posta dall’art. 275 c.p.p., comma 3 in relazione al titolo del reato in oggetto, rispetto alla quale si pone non un problema di "barbara applicazione", ma di retta applicazione della legge.

Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento alla Cassa delle Ammende della somma di Euro 1000,00, commisurata all’effettivo grado di colpa dello stesso ricorrente nella determinazione della causa di inammissibilità.

Il cancelliere dovrà provvedere agli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p..
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento alla Cassa delle Ammende della somma di Euro 1000,00; manda al cancelliere per gli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p..

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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