Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 20-01-2011) 22-02-2011, n. 6528 Detenzione, spaccio, cessione, acquisto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con ordinanza del 3.8.2010, il Tribunale della Libertà di Catanzaro, decidendo sull’istanza di riesame proposta da C.A., classe 1982, avverso l’ordinanza applicativa della misura cautelare della custodia in carcere emessa dal gip dello stesso Tribunale il 17.7.2010, per i reati di associazione per delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti (CAPO 1 BIS), e per i reati di detenzione a fini di spaccio di sostanze stupefacenti tipo cocaina (capo 24), annullava il provvedimento genetico limitatamente al reato di cui al capo 24, rigettava nel resto l’istanza e disponeva il mantenimento della misura per il reato associativo.

Il tribunale collocava i fatti all’interno del contesto criminale del coriglianese, caratterizzato, secondo i giudici territoriali, dall’assenza di una leadership riconosciuta, e dall’esistenza di due fazioni in lotta tra di loro, facenti capo, rispettivamente, a B.M. e M.P.S., il primo legato al gruppo di zingari che verso la fine degli anni 90 erano riusciti a costituire una "locale" autonoma rispetto alla ndrina insediata sullo stesso territorio (i termini "locale" e "ndrina" designano particolari articolazioni organizzative della criminalità organizzata del calabrese); il secondo legato, anche per personali rapporti di familiarità, a vecchi uomini "di rispetto" come G. V. e Co.Ar., e ad Ma.Al., figlio del più noto Z.T., da tempo in carcere per plurime condanne all’ergastolo.

Le due fazioni, in particolare, si sarebbero contese il monopolio del traffico di sostanze stupefacenti, settore di attività che vedeva il M. in contatto con fornitori di cocaina dell’area milanese, per il tramite della famiglia Pr. di Reggiano Gravina.

Il tribunale ricordava che l’esistenza di un’associazione per delinquere di stampo mafioso radicatasi nel coriglianese risultava da numerose sentenze passate in cosa giudicata, la prima emessa dal Tribunale di Rossano il 27.11.1995, che aveva accertato l’affermazione sul territorio della "locale di Carigliano" composta tra gli altri da Ca.Sa. detto "(OMISSIS)", F. G.V., Ma.An., S.D., C. A., Ma.Gi., R.T. e Ci.Gi..

Il gruppo si era emancipato dalla "locale" di Sibari, guidata da ci.gi., verso la fine degli anni 80, e aveva attratto nella propria sfera di influenza criminale le ndrine di Altomonte, Francavilla, Cassano, Castrovillari, Saracena, Rossano e San Lorenzo del Vallo.

Il Ca. aveva riorganizzato le ndrine conquistate ai propri progetti criminali, perseguendo i propri copi con la sistematica eliminazione fisica dei soggetti rimasti fedeli al ci.gi., fino ad essere coinvolto in vicende giudiziarie che gli erano costate pesanti condanne e una non più interrotta detenzione.

Gli era succeduto tale ma.pi., trovatosi però ben presto a fronteggiare l’opposizione interna del F., sfociata nella faida criminale ricostruita dalla sentenza della Corte di Assise di Cosenza del 24.2.2001.

Le tappe successive della faida, nella ricostruzione "giudiziaria" del tribunale, sono oggetto di una sentenza del Dicembre del 2005;

al comando della cosca guidata dal ma., decimata dai processi e dagli arresti, era subentrato, P.N. detto "(OMISSIS)", e il gruppo aveva perso la sua autonomia, cadendo sotto il controllo del locale di Cassano, costituito da Ab.Fr. con l’autorizzazione della cosca di Cirò.

Uscito dal carcere, F.V. aveva tentato di risollevare le sorti della locale Coriglianese, ma era stato ucciso.

Le indagini più recenti, infine, avevano ricostruito gli affari della cosca coriglianese, impegnata soprattutto in estorsioni in danno di proprietari terrieri attraverso l’imposizione delle guardianie, nella conquista del monopolio della vendita di video- giochi, in fatti di usura ecc…

Il Tribunale si soffermava quindi sulle fonti di prova relative all’assetto organizzativo del sodalizio, tra le quali le attività intercettative, i servizi di ocp, gli arresti, i sequestri di armi e sostanze stupefacenti e, infine, le dichiarazioni di numerosi collaboratori di giustizia come R.T., Ci.Gi., Ba.Gi., Ci.An., Ca.An., C. G., Al.Ca. e Cu.Vi..

I giudici esaminavano quindi gli essenziali aspetti organizzativi della cellula criminale in questione rilevando: quanto alla disponibilità di armi comuni, che essa si desumeva dalle dichiarazioni rese dall’ Al. il 10.10.2007 su un viaggio in Germania dallo stesso effettuato insieme a Me.Co. per l’acquisto di armi, una delle quali asseritamente corrispondente quella sequestrata su sua indicazione; riscontrate da quelle di Co.Gi., Ba.Gi. e R.T. e dal contenuto della conversazione n. 170 del 2.11.2008, intercettata nei confronti del D.I. e di tale Gr., riferita all’uso di una pistola a scopo intimidatorio da parte del M.; e della conversazione delle ore 17,47 del 5.10.2008, captata all’interno dell’autovettura in uso a Co.Pi. tra quest’ultimo, l’omonimo zio e Ma.Al., nel corso della quale il Ma.Al. ricordava di avere poco tempo trasportato a Corigliano armi e droga.

Peraltro, la disponibilità di armi era stata clamorosamente confermata, nel tempo, dai sanguinosi agguati che avevano caratterizzato le locali faide criminali.

Secondo l’ Al. e altri collaboratori, inoltre, la cosca disponeva di una cassa comune alimentata dai proventi delle illecite attività dei sodali e che a sua volta forniva i fondi per il pagamento di spese legali, per l’esercizio di attività usurarie, per l’acquisto di sostanze stupefacenti, per il pagamento degli "stipendi" degli associati ecc….

La cosca sarebbe stata particolarmente attiva anche nel settore del taglieggiamento della attività commerciali e imprenditoriali, attraverso la sistematica imposizione del "pizzo", pratica criminale che oltre che dalle dichiarazioni dei collaboratori risultava dal contenuto di alcune conversazioni intercettate, come quella, già ricordata, n. 170 del 2.11.2008.

L’analisi della gravità indiziaria per il reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74 procedeva, nelle valutazioni dei giudici territoriali, dalla considerazione della forma non particolarmente strutturata dell’associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti secondo il modello legislativo, e dei molteplici modi dell’esplicazione dell’affectio societatis.

Con riferimento allo specifico gruppo criminale oggetto di una delle imputazioni cautelari, cioè quello che sarebbe stato diretto da M.P., il tribunale ne riteneva l’esistenza sulla base di molteplici fonti di prova, tra le quali numerose intercettazioni telefoniche, sequestri di droga, arresti, dichiarazioni di collaboratori di giustizia ecc., ricordando tra le altre le dichiarazioni dell’ Al..

Prima di procedere all’analisi degli indizi a carico del ricorrente, il tribunale premetteva un’ampia digressione sui principi in materia di valutazione delle propalazioni accusatorie dei soggetti indicati dall’art. 210 c.p.p., e concludeva nel senso di una generale valutazione di attendibilità di tutti i collaboratori di giustizia autori di contributi dichiarativi nel corso delle indagini.

Con riguardo alla specifica posizione del ricorrente, i giudici rilevavano gravi indizi di reità a suo carico per il reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74, dagli esiti dell’attività intercettativ4 che aveva consentito di individuare il suo stretto collegamento operativo nel settore del narcotraffico con D.I. O., e il suo ruolo di corriere della droga, che il ricorrente avrebbe svolto per conto del M. approvvigionandosi di sostanze stupefacenti presso Ma.Sa..

Nel provvedimento sono ricordate numerose conversazioni, il contenuto delle quali, apparentemente riferibile a ben altro genere di affari, veniva decodificato dai giudici territoriali nel senso della allusione a traffici di droga, anche alla luce dei risultati dell’operazione di polizia del 9.1.2009, allorquando venivano tratti in arresto Lu.Ge. e Fi.Pi., trovati in possesso di droga appena usciti dall’abitazione del ricorrente.

Quanto alla stabilità dei rapporti del ricorrente con il M. e gli altri associati nel traffico, il tribunale la desumeva dalla pluralità dei suoi contatti con il fornitore, e dal contenuto della conversazione delle ore 19,46 circa dell’8.1.2009, ritenuta indicativa del fatto che il M. soleva cedere la sostanza stupefacente al C. come ad altri spacciatori, "in conto vendita", riscuotendo poi la parte dovutagli.

Ricorre il difensore, deducendo, con il primo motivo, il vizio di violazione di legge e il difetto di motivazione del provvedimento ai sensi dell’art. 606 c.p.p., lett. c) ed e), in relazione agli artt. 273 e 274 c.p.p..

Il tribunale, per supplire ad un quadro indiziario pressochè inconsistente, essendo ricavabile dalle indagini al più che il ricorrente era un abituale assuntore di droga, si sarebbero riferiti alle dichiarazioni rese da alcuni collaboratori di giustizia senza però preoccuparsi in alcun modo di verificare se i dichiaranti si riferissero al ricorrente e non al suo omonimo zio, Co.

A. classe 1965.

I giudici avrebbero inoltre mancato di indicare le attività di indagine comunque refluenti sulla posizione del ricorrente, non risultando, in particolare che lo stesso sia stato mai coinvolto in perquisizioni e sequestri di droga; nè avrebbero mai rilevato incisi davvero significativi nelle conversazioni intercettate ritenute riferibili al ricorrente.

Al contrario, la condizione di trafficante di droga del C. sarebbe smentita dal contenuto di una delle conversazioni in questione, quella nr. 518 delle ore 16.40,56 del 27.9.2008, nel corso della quale l’indagato rivelava di non disporre del denaro necessario per effettuare un rifornimento di benzina; mentre sarebbe confermata la sua situazione di tossicodipendente dalla conversazione delle ore 17.47 del 5.10.2008.

Manifestamente evanescente sarebbe poi l’indizio a carico del ricorrente che i giudici territoriali ritengono di individuare nell’arresto di tali Lu. e Fi. del 9.1.2009, quando i due erano stati trovati in possesso di droga appena usciti dallo stabile dove risiedeva il ricorrente.

Peraltro, la possibilità di una confusione tra i due C. avrebbe trovato clamoroso riscontro nelle motivazioni dell’annullamento del provvedimento cautelare riguardo al reato di cui al capo 24.

Sarebbe infine del tutto mancata, nelle argomentazioni dei giudici territoriali, qualunque indagine sui modi della presunta partecipazione del ricorrente al sodalizio, anche sotto il profilo della consapevole adesione ad un programma criminale perseguito in forma organizzata.

Il ricorso è manifestamente infondato.

Ed invero, quanto alla questione della possibile confusione tra il ricorrente e l’omonimo zio, essa si è posta, in concreto, come risulta chiaramente dalle motivazioni del provvedimento impugnato, limitatamente all’imputazione di cui al capo 24, mentre per il resto la distinzione tra i due soggetti nelle risultanze di prova relative al reato associativo è assolutamente chiara.

Emblematica è la conversazione nr. 347 del 2008, giustamente sottolineata dai giudici territoriali (pag. 8), in cui compare il riferimento allo "zio" del ricorrente, indicato con il suo nome di battesimo " Ar."; il che esclude, ovviamente, che l’interlocutore del D.I. potesse essere indifferentemente il nipote o lo zio.

Ed è altrettanto ovvia la distinzione tra zio e nipote nella rilevazione, da parte dei giudici territoriali, dei contatti che il ricorrente avrebbe avuto con la famiglia Pa. in Roma su incarico proprio dello zio, Ar. senior.

E ciò a prescindere dall’ovvia considerazione che all’identificazione "logica" del ricorrente nelle varie telefonate attribuitegli, si accompagna anche la possibilità dell’identificazione "vocale" e la circostanza dell’utilizzazione del cellulare intestato al ricorrente.

Dal complesso delle telefonate esaminate, i giudici territoriali ricavano poi del tutto correttamente la prova del reato associativo, dal momento che ne emerge una trama di costanti attività dell’imputato nell’ambito del traffico di droga, in collaborazione con il D.I., esplicatesi in particolare nell’intermediazione dei contatti del M. con i propri fornitori ( Ma.Sa. e Pa.).

Al riguardo, è del tutto infondata l’enfatizzazione in chiave difensiva del contenuto della conversazione nr. 518 delle ore 16.40.56 del 27.9.2008, peraltro basata su una lettura assolutamente monca del colloquio, che nella sua integralità offre invece, secondo le corrette valutazioni dei giudici territoriali, più che significativi riscontri all’ipotesi accusatoria.

Ed invero, l’accenno alle difficoltà economiche degli interlocutori, che già non ha in sè nulla di clamoroso, per l’ovvia considerazione che chiunque può incorrere in situazioni di temporanea indisponibilità di denaro contante, è seguito poi dall’esplicita rivelazione da parte degli interlocutori dell’intenzione di effettuare ugualmente il viaggio programmato, per raggiungere " Sa.", in un contesto nel quale appare il riferimento al M. come soggetto interessato alla spedizione, e in cui compare altresì il chiaro riferimento a sostanze stupefacenti, delle quali i due devono approvvigionarsi, e non per uso esclusivamente personale, se è vero che il D.I., ad un certo punto, rivendica per sè e per il C. il diritto di trattenerne solo una parte per "un paio di tiri".

In questo contesto di costanti e consapevoli relazioni criminali, che emerge dal contenuto delle conversazioni, e rispetto alle quali l’episodio dell’arresto del Lu. e del Fi. del 9.1.2009 appare del tutto marginale e secondario, anche se ugualmente significativo, non si vede poi quale specifico problema possa porsi con riferimento all’elemento soggettivo del reato.

Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento alla Cassa delle Ammende della somma di Euro 1000,00, commisurata all’effettivo grado di colpa dello stesso ricorrente nella determinazione della causa di inammissibilità.

Il cancelliere dovrà provvedere agli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p..
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento alla Cassa delle Ammende della somma di Euro 1000,00; manda al cancelliere per gli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p..

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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