Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 20-01-2011) 22-02-2011, n. 6523 Ricorso

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con ordinanza del 3.8.2010, il Tribunale della Libertà di Catanzaro, rigettava l’istanza di riesame proposta da M.L. avverso l’ordinanza applicativa della misura cautelare della custodia in carcere, emessa nei suoi confronti dal gip dello stesso Tribunale il 17.7.2010, per il reato di cui al D.L. n. 306 del 1991, art. 12 quinquies aggravato D.L. n. 152 del 1991, ex art. 7.

Il tribunale collocava i fatti all’interno del contesto criminale del coriglianese, caratterizzato,secondo i giudici territoriali, dall’assenza di una leadership riconosciuta, e dall’esistenza di due fazioni in lotta tra di loro, facenti capo, rispettivamente, a B.M. e Mo.Pi.Sa., il primo legato al gruppo di zingari che verso la fine degli anni 90 erano riusciti a costituire una "locale" autonoma rispetto alla ndrina insediata sullo stesso territorio (i termini "locale" e "ndrina" designano particolari articolazioni organizzative della criminalità organizzata del calabrese); il secondo legato, anche per personali rapporti di familiarità, a vecchi uomini "di rispetto" come G. V. e C.A., e ad Ma.Al., figlio del più noto (OMISSIS), da tempo in carcere per plurime condanne all’ergastolo.

Le due fazioni, in particolare, si sarebbero contese il monopolio del traffico di sostanze stupefacenti, settore di attività che vedeva il Mo. in contatto con fornitori di cocaina dell’area milanese, per il tramite della famiglia Presta di Reggiano Gravina. Il tribunale ricordava che l’esistenza di un’associazione per delinquere di stampo mafioso radicatasi nel coriglianese risultava da numerose sentenze passate in cosa giudicata, la prima emessa dal Tribunale di Rossano il 27.11.1995, che aveva accertato l’affermazione sul territorio della "locale di Carigliano" composta tra gli altri da Ca.

S. detto "(OMISSIS)", F.G.V., Ma.An., S.D., C.A., Ma.

G., R.T. e Ci.Gi..

Il gruppo si era emancipato dalla "locale" di (OMISSIS), guidata da C.G., verso la fine degli anni 80, e aveva attratto nella propria sfera di influenza criminale le ndrine di Altomonte, Francavilla, Cassano, Castrovillari, Saracena, Rossano e San Lorenzo del Vallo. Il Ca. aveva riorganizzato le ndrine conquistate ai propri progetti criminali, perseguendo i propri scopi con la sistematica eliminazione fisica dei soggetti rimasti fedeli al Cirillo, fino ad essere coinvolto in vicende giudiziarie che gli erano costate pesanti condanne e una non più interrotta detenzione.

Gli era succeduto tale Ma., trovatosi però ben presto a fronteggiare l’opposizione interna del F., sfociata nella faida criminale ricostruita dalla sentenza della Corte di Assise di Cosenza del 24.2.2001.

Le tappe successive della faida, nella ricostruzione "giudiziaria" del tribunale, sono oggetto di una sentenza del Dicembre del 2005; al comando della cosca guidata dal Ma., decimata dai processi e dagli arresti, era subentrato P.N. detto "(OMISSIS)", e il gruppo aveva perso la sua autonomia, cadendo sotto il controllo del locale di (OMISSIS), costituito da A.F. con l’autorizzazione della cosca di Ciro. Uscito dal carcere, F.V. aveva tentato di risollevare le sorti della locale Coriglianese, ma era stato ucciso.

Le indagini più recenti, infine, avevano ricostruito gli affari della cosca coriglianese, impegnata soprattutto in estorsioni in danno di proprietari terrieri attraverso l’imposizione delle guardianie, nella conquista del monopolio della vendita di video- giochi, in fatti di usura ecc..

Il Tribunale si soffermava quindi sulle fonti di prova relative all’assetto organizzativo del sodalizio, tra le quali le attività intercettative, i servizi di ocp, gli arresti, i sequestri di armi e sostanze stupefacenti e, infine, le dichiarazioni di numerosi collaboratori di giustizia come R.T., Ci.Gi., Ba.Gi., Ci.An., Ca.An., C. G., Al.Ca. e Cu.Vi..

I giudici esaminavano quindi gli essenziali aspetti organizzativi della cellula criminale in questione rilevando:

quanto alla disponibilità di armi comuni, che essa si desumeva dalle dichiarazioni rese dall’ Al. il 10.10.2007 su un viaggio in (OMISSIS) dallo stesso effettuato insieme a Me.Co. per l’acquisto di armi, una delle quali asseritamente corrispondente quella sequestrata su sua indicazione; riscontrate da quelle di Co.Gi., Ba.Gi. e R.T. e dal contenuto della conversazione n. 170 del 2.11.2008, intercettata nei confronti del D.I. e di tale G., riferita all’uso di una pistola a scopo intimidatorio da parte del Mo.; e della conversazione delle ore 17,47 del 5.10.2008, captata all’interno dell’autovettura in uso a C.P. tra quest’ultimo, l’omonimo zio e Ma.Al., nel corso della quale il Ma. ricordava di avere poco tempo trasportato a (OMISSIS) armi e droga.

Peraltro, la disponibilità di armi era stata clamorosamente confermata, nel tempo, dai sanguinosi agguati che avevano caratterizzato le locali faide criminali. Secondo l’ Al. e altri collaboratori, inoltre, la cosca disponeva di una cassa comune alimentata dai proventi delle illecite attività dei sodali e che a sua volta forniva i fondi per il pagamento di spese legali, per l’esercizio di attività usurarie, per l’acquisto di sostanze stupefacenti, per il pagamento degli "stipendi" degli associati ecc … .

La cosca sarebbe stata particolarmente attiva anche nel settore del taglieggiamento della attività commerciali e imprenditoriali, attraverso la sistematica imposizione del "pizzo", pratica criminale che oltre che dalle dichiarazioni dei collaboratori risultava dal contenuto di alcune conversazioni intercettate, come quella, già ricordata, n. 170 del 2.11.2008. L’analisi della gravità indiziaria per il reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74 procedeva, nelle valutazioni dei giudici territoriali, dalla considerazione della forma non particolarmente strutturata dell’associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti secondo il modello legislativo, e dei molteplici modi dell’esplicazione dell’affectio societatis.

Con riferimento allo specifico gruppo criminale oggetto di una delle imputazioni cautelari, cioè quello che sarebbe stato diretto da Mo.Pi., il tribunale ne riteneva l’esistenza sulla base di molteplici fonti di prova, tra le quali numerose intercettazioni telefoniche, sequestri di droga, arresti, dichiarazioni di collaboratori di giustizia ecc, ricordando tra le altre le dichiarazioni dell’ Al..

Prima di procedere all’analisi degli indizi a carico del ricorrente,, il tribunale premetteva un’ampia digressione sui principi in materia di valutazione delle propalazioni accusatone dei soggetti indicati dall’art. 210 c.p.p., e concludeva nel senso di una generale valutazione di attendibilità di tutti i collaboratori di giustizia autori di contributi dichiarativi nel corso delle indagini.

Quanto alla condotta di reato specificamente contestata al M., i giudici desumevano il suo ruolo di prestanome di B.M. nell’esercizio di un’attività commerciale nel settore della cartoplastica, attraverso la ditta MLC, dalle dichiarazioni dei collaboranti Al. e Cu., ritenute riscontrate dall’analisi della personalità dell’indagato, che aveva intrapreso l’attività commerciale in questione dopo esperienze di lavoro del tutto disomogenee, e nondimeno aveva subito dimostrato una inspiegabile capacità di penetrazione commerciale nel nuovo settore di attività, e dalle risultanze contabili della ditta rilevate dalle indagini bancarie.

Ricorre il difensore, deducendo con un primo motivo il vizio di violazione di legge dell’ordinanza in relazione all’art. 273 c.p.p. e D.L. 8 giugno 1992, n. 306, art. 12 quinquies per avere ritenuto la sussistenza della gravità indiziaria a carico del M., in ordine al reato di intestazione fittizia di beni, a dispetto delle contraddittorie indicazioni desumibili dalla ben modesta situazione patrimoniale del ricorrente.

I giudici territoriali non avrebbero neanche spiegato "in cosa consiste l’agevolazione della commissione dei delitti di cui agli artt. 648, 648 bis e 648 ter", nè quale sarebbe stata in concreto la condotta di agevolazione del ricorrente.

Con il secondo motivo, la difesa rileva il vizio di omessa motivazione del provvedimento in ordine all’attendibilità dell’ Al., positivamente verificata nonostante i motivi di animosità del collaborante nei confronti del M. per l’esistenza di una controversia di lavoro tra i due, documentata davanti ai giudici del riesame.

L’ultima censura denuncia presunti vizi motivazionali dell’ordinanza per essersi i giudici territoriali ampiamente soffermati sull’analisi dell’associazione mafiosa di cui al capo 1, trascurando che altra era l’imputazione a carico del M., rispetto alla quale la motivazione dell’ordinanza sarebbe solo apparente.

Il ricorso è manifestamente infondato.

Non è chiara, anzitutto, la censura difensiva relativa alla diffusa motivazione del provvedimento impugnato sulle vicende e gli assetti criminali della "locale" coriglianese, considerato che si tratta del contesto associativo di riferimento della condotta attribuita al M., espressamente evocato, peraltro, dalla contestazione dell’aggravante D.L. n. 152 del 1991, ex art. 7.

Nè è vero che il provvedimento impugnato, nella più o meno opportuna accentuazione delle indicazioni di "contesto", finisca con il trascurare gli specifici temi di prova (rectius di gravità indiziaria) propri dell’imputazione formulata a carico del ricorrente.

I giudici esaminano anzi alquanto approfonditamente la posizione dell’indagato (pagg. 8 e ss. dell’ordinanza), rilevando le convergenti e articolate dichiarazioni rese sul suo conto dall’ Al. e del Cu., ma aggiungendo anelala considerazione dei riscontri offerti a dette dichiarazioni dall’esame della contabilità della ditta apparentemente intestata al M..

E rilevano l’anomalia del percorso imprenditoriale dell’imputato, convertitosi ad un settore commerciale del tutto eterogeneo rispetto alla sua precedente attività di pescatore, eppure rivelatosi subito in grado di esprimere una straordinaria capacità di penetrazione sul mercato.

Si tratta di indicazioni di prova oggetto in ricorso di notazioni soltanto parziali e generiche, più che altro incentrate sulla questione dell’attendibilità dell’ Al. e su argomenti logici persino contraddittori rispetto alle tesi difensive. Quanto alla prima questione, i giudici territoriali hanno fatto in sostanza retta applicazione del criterio di proporzionalità inversa tra attendibilità soggettiva del collaborante e qualità del riscontro necessario (cfr. Corte di Cassazione sez. 6, Sent N. 20514 del 28/04/2010, Arman Ahmed e altri, secondo cui l’eventuale debole valenza di attendibilità soggettiva deve essere compensata con l’individuazione di un più elevato e consistente spessore dei riscontri, attraverso il necessario minuzioso raffronto con le verifiche di credibilità estrinseca delle dichiarazioni; vedi, anche, Corte di Cassazione 15/07/2008, SEZ. 5, Palo e altro, dove l’affermazione che in tema di valutazione della chiamata in correità, la verifica dell’intrinseca attendibilità delle dichiarazioni può portare anche ad esiti differenziati, purchè la riconosciuta inattendibilità di alcune di esse non dipenda dall’accettata falsità delle medesime).

Ma nella specie le indicazioni dell’ Al. sul conto del M., non solo non sono in alcun modo sospettabili di falsità, ma hanno trovato anzi precisi riscontri, come ad es. relativamente all’attività "in nero" della sua ditta. Sotto questo profilo, bene rimarcano peraltro i giudici territoriali, anche le riscontrate anomalie del conto cassa della contabilità della ditta, che risulta movimentato con accrediti bancari per importi superiori a quelli apparentemente disponibili.

La difesa oppone a tali valutazioni la considerazione delle risultanze degli accertamenti bancari e patrimoniali a carico del M., che ne avrebbero evidenziato la modesta situazione economica, ma l’osservazione è del tutto priva di pregio, considerando, anzi, che la mancata fruizione personale di apprezzabili vantaggi economici da un’attività commerciale così bene avviata, confermerebbe piuttosto che i relativi proventi erano destinati a soggetti diversi dal titolare apparente. Riguardo allo scopo della fittizia intestazione, poi, i giudici territoriali ricordano le preoccupazioni più volte espresse dal B. circa il pericolo di subire in futuro misure di prevenzione patrimoniali, e anche su questa indicazione, come rispetto all’aggravante di cui al D.L. n. 152 del 1991, art. 7, la difesa omette di prendere specifica posizione.

Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento alla Cassa delle ammende della somma di Euro 1000,00, commisurata all’effettivo grado di colpa dello stesso ricorrente nella determinazione della causa di inammissibilità. Il cancelliere dovrà provvedere agli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p..
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento alla Cassa delle ammende della somma di Euro 1000,00; manda al cancelliere per gli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p..

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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