Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 13-01-2011) 22-02-2011, n. 6551 Abuso di ufficio

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con ordinanza in data 11.1.2010 il Tribunale di Sorveglianza di Trento respingeva le istanze di affidamento in prova al Servizio Sociale e di detenzione domiciliare presentate da B. M. in relazione alla residua pena da espiare di un anno, mesi due e giorni dodici di reclusione inflittagli con sentenza del GUP di Trento in data 5.3.2009 che l’aveva condannato alla pena complessiva di anni due di reclusione per i delitti di cui agli artt. 416 e 648 c.p., L. n. 146 del 2006, artt. 3 e 4, D.Lgs. n. 74 del 2000, artt. 8 e 10 ter, e art. 319 c.p..

Il Tribunale fondava la sua decisione sul fatto che B. M. aveva sviluppato, anche organizzando un’associazione per delinquere transazionale, una vasta e articolata attività criminosa fra il (OMISSIS), frodando l’Amministrazione Finanziaria dello Stato, cagionando alla stessa danni di rilevante entità e utilizzando strutture societarie che emettevano massivamente fatture per operazioni inesistenti. Aveva proseguito detta attività, nonostante in data 17.2.2005 la Corte d’Appello di Roma l’avesse condannato per reati fiscali.

Il B., inoltre, in data 12.12.2008 era stato raggiunto da avviso orale da parte del Questore di Roma anche per la sua abituale frequentazione di pregiudicati.

Le istanze del predetto non potevano essere accolte, secondo il Tribunale, perchè lo stesso avrebbe mantenuto la sua base abitativa a (OMISSIS), in un appartamento intestato a sua figlia, e per l’asserita volontà di svolgere un’attività autonoma, come procacciatore di affari, in diverse regioni d’Italia.

Il versamento della somma di due milioni di Euro, che gli aveva consentito di patteggiare la pena, non poteva essere considerato un sicuro indice di resipiscenza, in quanto era stato effettuato per evitare il rischio di confisca dei beni sottoposti a sequestro.

Dopo essere tornato in libertà l’8.5.2008, a seguito di detenzione preventiva per i suddetti reati, non risultava che si fosse dedicato ad uno stabile e redditizio lavoro, essendo i proventi lavorativi documentati solo da due fatture emesse nell’imminenza dell’udienza camerale.

Vi era la probabilità di recidive specifiche, in considerazione della scelta del lavoro nel settore del procacciamento di affari e della vastità dell’ambito territoriale nel quale detto lavoro si sarebbe svolto, non essendo possibile un controllo del B. sulla sua quotidianità e sui suoi contatti.

Appariva estremamente rischiosa anche la detenzione domiciliare, avuto riguardo all’ampiezza dei collegamenti delinquenziali, ai rapporti di solidarietà criminale sviluppati anche in ambito familiare, alla probabilità che attività delittuose – incentrate sulla produzione di flussi cartacei – sarebbero state agevolmente riproducibili anche tra le pareti domestiche.

Ha proposto ricorso per Cassazione il difensore chiedendo l’annullamento della suddetta ordinanza ai sensi dell’art. 111/7 della Costituzione e dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b per violazione delle norme di cui agli artt. 47 e 47 ter dell’Ordinamento Penitenziario, deducendo i seguenti motivi:

-il Tribunale non aveva tenuto conto di aspetti positivi della personalità del B. che avrebbero consentito di formulare una prognosi favorevole circa la possibilità di espiare la pena in regime alternativo alla detenzione, quali la messa a disposizione già nel luglio del 2008 della somma di Euro 1.800.00,00 e l’avvio di un’attività lavorativa onesta;

-non era stata considerata nella giusta luce la serietà della situazione abitativa e lavorativa documentata dall’istante;

nell’abitazione di (OMISSIS), destinata ad ospitare il B. in caso di accoglimento delle richieste formulate, il predetto avrebbe potuto usufruire dell’assistenza di sua figlia, che abita con la madre a poca distanza; lo stesso aveva anche iniziato da pochi mesi un’attività qualificata, apprezzata dal suo datore di lavoro, che gli stava dando la possibilità di reinserirsi pienamente nella società;

-il Tribunale non aveva tenuto conto della relazione, contenenti solo giudizi positivi, dell’assistente sociale che aveva seguito il B. nei mesi precedenti l’udienza, nella quale si dava anche atto degli ottimi risultati raggiunti nella comprensione degli errori commessi;

-il B., dopo l’avviso orale emesso dal Questore il 12.12.2008, non era stato raggiunto da alcuna altra misura, a riprova che il predetto aveva iniziato un nuovo percorso di vita;

-vi era in atti la prova che aveva realmente lavorato per tutto l’anno precedente l’udienza – e la discontinuità non era a lui imputabile, dipendendo dall’attuale congiuntura economica – prima per conto di O.G. (che gli aveva conferito mandato per il procacciamento di vendite di preziosi) e poi per la Faul Edizioni Artistiche 3H Italia per la presentazione e promozione di articoli di orologeria.

In subordine, se La Corte avesse dovuto ritenere che la legge che regola l’Ordinamento Penitenziario non consente nel caso di specie l’adozione di misure alternative alla detenzione in carcere, il difensore, incidentalmente, ha chiesto la trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale per l’illegittimità della L. 26 luglio 1975, n. 354, artt. 47 e 47 ter in relazione all’art. 13 Cost., comma 1 e 2 e art. 27 Cost., comma 3.
Motivi della decisione

Risulta in atti che B.M. ha scontato in stato di detenzione in carcere la pena di cui trattasi, dal 27.1.2010 al 7.1.2011.

Il presente ricorso, pertanto, è divenuto inammissibile per sopravvenuta carenza d’interesse del ricorrente, avendo lo stesso ormai già scontato la pena per la quale aveva chiesto una misura alternativa alla detenzione in carcere.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso per sopravvenuta carenza di interesse.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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