Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 13-01-2011) 22-02-2011, n. 6540 Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 13-01-2011) 22-02-2011, n. 6540 Reato continuato e concorso formale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

R.A. è stato condannato dal Tribunale di Salerno, con sentenza in data 9.7.2009, alla pena complessiva di anni 5 e mesi quattro di reclusione per i seguenti reati commessi in (OMISSIS):

– art. 81 c.p. e art. 612 c.p., comma 2 per aver minacciato di morte R.L. con le seguenti frasi: "ora ti uccido; sei nuovamente qui? Hai capito che te ne devi andare? O ti devo uccidere?".

– art. 61 c.p., n. 2 e L. n. 110 del 1975, art. 4 per porto abusivo di un coltello da cucina della lunghezza complessiva di cm. 23 avente una lama di cm. 11 – art. 56 c.p., art. 61 c.p., n. 4 e art. 575 c.p. perchè poneva in essere atti idonei – consistiti nel colpire con il coltello da cucina di cui sopra R.L. alla regione dorsale, in sede toracica posteriore alta, destra ed al livello costale superiore, nel lasciare il coltello conficcato nella ferita, cagionando alla vittima ferita penetrante alla regione dorsale ritenuta guaribile in giorni ventiquattro – diretti in modo non equivoco (per il mezzo utilizzato, per le modalità di esecuzione dell’aggressione e per la regione corporea attinta) a cagionare la morte della persona offesa. Con l’aggravante di aver agito con crudeltà lasciando l’arma conficcata nella regione dorsale della vittima.

A seguito di appello proposto dall’imputato, la Corte di Appello di Salerno, con sentenza in data 12 marzo 2010, confermava la suddetta sentenza del Tribunale, ritenendo del tutto condivisibile la motivazione del primo giudice. In particolare, con riguardo all’intento omicidiario contestato dall’appellante, rilevava che l’imputato, già a livello verbale, si era espresso ripetutamente nei riguardi del fratello L. con volontà omicida nel corso del pomeriggio e della serata del 21.5.2009. Nel pomeriggio, dopo averlo colpito ripetutamente con pugni e schiaffi, aveva impugnato un grosso coltello e lo aveva minacciato di morte. Il fratello era scappato di casa e vi era tornato solo a notte fonda, facendo affidamento sul fatto che l’imputato si fosse addormentato; invece questi l’aveva di nuovo percosso con violenza e l’aveva costretto a fuggire, ancora minacciandolo di ucciderlo; l’aveva subito dopo inseguito e colpito alle spalle con il coltello che impugnava.

Il giudice d’appello riteneva che le prove acquisite – in particolare le testimonianze della parte offesa e della di lui madre R.I. – smentivano l’assunto difensivo, secondo il quale l’imputato avrebbe agito per evitare che il fratello continuasse a drogarsi; neppure l’imputato, pur dichiarando di non aver avuto la volontà di uccidere il fratello, aveva dato la suddetta giustificazione al suo comportamento. Doveva invece ritenersi, in base alle risultanze, che l’imputato aveva compiuto un atto di immotivata violenza da ricondursi ai rapporti conflittuali con il fratello e alla sua personalità violenta ed arrogante.

La Corte d’Appello riteneva, inoltre, che il coltello utilizzato avesse una potenzialità omicida; che la zona del corpo attinta, l’area scapolare, fosse del tutto idonea a cagionare la morte della vittima, in quanto vicina a numerosi vasi sanguigni e centri nervosi.

Il coltello era penetrato per due o tre centimetri ed era stato sferrato con l’arma impugnata dalla mano destra e con direzione dall’alto verso il basso e leggermente da destra a sinistra. Solo per caso fortuito il colpo non era penetrato più profondamente, perchè se fosse stato sferrato in zona immediatamente vicina, sarebbe potuto penetrare nella cavità toracica e attingere aree vitali.

Comprovava la volontà omicidiaria, oltre l’univocità e l’idoneità degli atti compiuti, anche il fatto che l’imputato aveva omesso di prestare soccorso alla vittima, la quale era stata soccorso da agenti della Questura alla quale aveva telefonato la stessa vittima.

Avverso la sentenza della Corte d’Appello di Salerno ha proposto ricorso per cassazione il difensore dell’imputato, chiedendo l’annullamento della stessa per violazione di legge e per mancanza e manifesta illogicità della motivazione, in quanto nel fatto doveva essere ravvisato il delitto di lesioni e non quello di tentato omicidio.

Mancava completamente nell’imputato la volontà di uccidere il fratello ed erroneamente detta volontà era stata dedotta dalla zona attinta dall’arma nonchè dalla pericolosità di quest’ultima.

L’imputato, seppure in modo sproporzionato, era animato solo dall’intento di vietare nel modo più drastico al fratello l’uso di sostanze stupefacenti, per il semplice fatto che lui stesso ne era già preda.

Non provava l’animus necandi il mezzo utilizzato, un comunissimo coltello da cucina, il primo oggetto venuto a portata di mano, atto sì ad offendere, ma nel caso di specie utilizzato soprattutto per intimidire e far capire la sua ferma intenzione a cacciarlo di casa, se avesse continuato ad assumere sostanze stupefacenti.

Neppure si poteva dedurre il dolo dell’omicidio dalla zona attinta, in quanto l’imputato aveva procurato una ferita lieve, essendo la lama penetrata solo per un paio di centimetri, in una zona che è protetta da una corazza ossea, come aveva chiarito il consulente.

Il colpo era stato sferrato con una modestissima forza di penetrazione ed era assimilabile a una scudisciata.

Il coltello, che l’imputato era incapace di stringere, disorientato dal fatto di aver colpito il proprio fratello, era stato trattenuto dal tessuto del giaccone indossato dalla parte lesa e non dai lembi della ferita; la mancanza della volontà omicida si poteva trarre anche dal fatto che l’imputato aveva inferto un solo debole colpo.

In definitiva, secondo il ricorrente, l’intento dell’imputato di salvare il fratello dalla droga era del tutto incompatibile con l’intenzione di ucciderlo.
Motivi della decisione

Il ricorso è infondato.

La sentenza, dopo aver attentamente ricostruito il fatto, ha dato conto, con argomenti immuni da vizi logici e basati sulle risultanze, delle ragioni per le quali ha ritenuto che l’imputato, sferrando un colpo di coltello al fratello nei modi sopra descritti, fosse animato dall’intento di ucciderlo.

Con esauriente motivazione in fatto, non sindacabile in questa sede, ha spiegato in modo logico e congruo perchè non ha accolto la tesi della difesa, secondo la quale l’imputato sarebbe stato intenzionato solo a dare una dura lezione al fratello per distoglierlo dall’uso di sostanze stupefacenti.

Il mezzo utilizzato, un coltello da cucina di non piccole dimensioni, è senz’altro un mezzo idoneo a provocare la morte. Correttamente il giudice di merito ha dedotto anche dalla zona corporea attinta e dalle modalità con le quali è stato inferto il colpo l’animus necandi, osservando in modo del tutto logico che se il colpo avesse raggiunto, come ben avrebbe potuto raggiungere, una zona immediatamente vicina, sarebbe potuto penetrare più profondamente e cagionare la morte della parte lesa.

L’intento di uccidere è stato motivato, senza che si possa rilevare alcuna illogicità, valutando il complesso delle circostanze accertate: oltre al mezzo utilizzato e alla zona corporea attinta, si sono prese in considerazione le minacce di morte rivolte dall’imputato nello stesso contesto al fratello; la personalità dell’imputato e i rapporti conflittuali con la parte lesa; il comportamento tenuto dall’imputato subito dopo aver commesso il fatto.

Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato.

Al rigetto del ricorso consegue di diritto la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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