Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 13-01-2011) 22-02-2011, n. 6538

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

P.G. veniva condannato, con sentenza del GUP di Perugia in data 17.7.2008, previa concessione delle attenuanti generiche dichiarate equivalenti all’aggravante della premeditazione, alla pena di anni 18 di reclusione (pena base per l’omicidio di B. F.: anni 22, aumentata ad anni 27 a titolo di continuazione per il tentato omicidio di M.M., ridotta di 1/3 per la scelta del rito abbreviato).

Secondo il capo di imputazione, P., dopo aver concordato con i due stranieri suddetti un appuntamento ed atteso il loro arrivo in una strada secondaria del Comune di Sigillo, all’esito di una breve conversazione, da breve distanza e senza scendere dall’auto, aveva esploso all’indirizzo delle vittime due colpi con un fucile da caccia che si era portato al seguito con il relativo munizionamento – quattro cartucce caricate a pallini – ferendo gravemente alla testa il B., che era deceduto il giorno successivo per le gravi ferite riportate, e ferendo lievemente alla spalla il M.. In (OMISSIS).

Il difensore dell’imputato impugnava la suddetta decisione, chiedendo alla Corte di Assise di Appello il riconoscimento dell’attenuante della provocazione e una riduzione di pena, sostenendo che nel caso di specie si dovesse partire dal minimo edittale, con la massima estensione delle attenuanti da dichiararsi prevalenti sull’aggravante e un aumento per la continuazione contenuto nei minimi di legge.

La Corte di Assise di Appello di Perugia, con sentenza in data 28.10.2009, confermava la sentenza del giudice di primo grado con la seguente motivazione.

L’appellante aveva fondato la sussistenza della provocazione sulle illegittime richieste di denaro avanzate nei suoi confronti da B.F. e M.M., accompagnate da atti di minaccia praticati sia ai suoi danni che di quelli dei suoi familiari.

A sostegno di questa versione, secondo il giudice dell’appello, vi erano solo le dichiarazioni dell’imputato, che però non apparivano credibili, anche perchè l’imputato, ogni volta che era stato interrogato, aveva reso una versione diversa.

Nella prima versione aveva sostenuto che era stato minacciato dai suddetti e perchè li aveva sorpresi nell’atto di cedere droga a terzi e perchè gli stessi pretendevano del denaro in relazione agli eventi a cui aveva assistito.

Nel secondo interrogatorio aveva sostenuto di aver dato in prestito del denaro a B. e questi, alle sue pretese di restituzione, aveva risposto minacciandolo in vario modo, anche di rivelare ai familiari che egli P. faceva uso di cocaina.

Nel terzo interrogatorio, aveva riferito che le minacce erano iniziate dopo che aveva visto i due stranieri cedere droga; gli stessi avevano continuato a minacciarlo per indurlo ad unirsi a loro nello spaccio dello stupefacente. Aveva anche sostenuto – solo in questo interrogatorio – che, il giorno dell’omicidio, i comportamenti minacciosi si erano concretizzati nell’esibizione del coltello nei suoi confronti.

Dopo aver spiegato le ragioni per le quali le versioni dell’imputato non apparivano plausibili, la Corte riteneva, in base alle risultanze acquisite nel primo grado di giudizio, che P. all’epoca fosse assillato da problemi economici, dipendenti sia dall’uso di cocaina che acquistava anche da B. sia dal suo interesse per il gioco d’azzardo; aveva quindi accumulato un forte debito nei confronti di B. e non era in grado di far fronte alle richieste di restituzione del denaro rivoltegli dal predetto, richieste che, di per sè, non potevano costituire il fatto ingiusto rilevante ai sensi dell’art. 62 c.p., n. 2. Neppure il giorno del fatto, secondo il giudice d’appello, vi era prova che le vittime avessero posto in essere atteggiamenti prevaricatori o comunque integranti oggettivamente un fatto ingiusto.

Le telefonate di B. all’imputato il giorno del fatto dimostravano soltanto l’intendimento dei due di incontrarsi, non essendovi alcuna prova di intenti vessatori dello stesso B. nei confronti dell’imputato.

Dalla ricostruzione della dinamica del fatto, inoltre, si doveva escludere che le vittime avessero avuto modo di porre in essere nuove minacce, quali quella di puntare un coltello contro l’imputato, che avrebbero indotto l’imputato a reagire.

Era, infatti, risultato che l’imputato si era recato nel luogo convenuto armato di fucile, caricato con due cartucce, e lì aveva atteso, all’interno della sua auto, l’arrivo di B.; appena l’auto con a bordo B. e M. si era affiancata alla sua, aveva esploso contro i predetti due colpi di fucile, senza dare loro il tempo di fare alcunchè, nè di scendere dal veicolo nè, comunque, di usare un coltello, arma di cui P. aveva parlato solo nell’ultima versione e che non era stata mai rinvenuta, senza che fosse ipotizzabile che le vittime se ne fossero disfatte, viste le condizioni in cui si trovavano dopo gli spari. Secondo il giudice d’appello, doveva essere confermata anche la pena inflitta dal primo giudice, il quale aveva concesso le attenuanti generiche, in considerazione del pentimento esternato, della pregressa incensuratezza, del contesto familiare, della fragilità che sembra caratterizzare la personalità dell’imputato; altrimenti non concedibili, stante la gravità del fatto, l’accurata preparazione del delitto e la condotta tranquilla tenuta dal P. successivamente alla commissione dei reati.

La complessiva valutazione del fatto e la considerazione che il reato aveva attinto due persone, procurando alle stesse e alle loro famiglie i gravi danni richiesti dalle parti civili, erano ostative ad un giudizio di prevalenza delle attenuanti generiche sulla premeditazione, apparendo invece conforme ai criteri direttivi di cui all’art. 133 c.p. quello di equivalenza praticato dal primo giudice.

Il diverso criterio di bilanciamento chiesto dall’imputato non poteva essere accolto in base al giudizio di fragilità e di immaturità risultante dalla relazione medico psichiatrica, in quanto dalla stessa era risultato che l’imputato non presentava alcun quadro diagnostico clinico o patologie afferenti alla sua capacità d’intendere e di volere.

La pena inflitta dal Tribunale, anche con riguardo all’aumento per la continuazione, doveva essere considerata particolarmente moderata, concernendo un fatto delittuoso di indubbia gravità.

Avverso la suddetta sentenza della Corte di Assise di Appello di Perugia ha proposto ricorso per cassazione il difensore dell’imputato, chiedendo, con un primo motivo, l’annullamento della sentenza per errata interpretazione ed applicazione dell’attenuante della provocazione e per contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione in ordine alla prospettata esistenza di un fatto ingiusto altrui (illegittime richieste di denaro avanzate dai due stranieri, accompagnate da minacce di morte verso l’imputato e i di lui familiari) determinanti lo stato d’ira di P.G. e al nesso di causalità psicologica tra l’offesa e la reazione.

La Corte d’Assise d’Appello di Perugia avrebbe travisato il fatto, ritenendo inesistente la prova di una condotta provocatrice che invece risultava in modo incontrovertibile dai motivi di impugnazione presentati avverso la sentenza del primo giudice.

Il giudice d’appello non aveva tenuto conto che, come l’appellante aveva dimostrato, vi era stato sicuramente un fatto ingiusto altrui, costituito sia dalle illegittime richieste ab origine avanzate dalle vittime, sia dalle modalità con cui le stesse erano avvenute, indicative di un atteggiamento aggressivo culminato nel gesto del coltello indirizzato verso lo sparatore immediatamente prima della sua reazione.

Era sussistente anche lo stato d’ira, provocato dalle ingiuste richieste e dalle minacce. Non era stato dato il giusto rilievo alle telefonate ricevute dal P. la mattina dell’omicidio, allorquando lo stesso si trovava in compagnia della madre all’interno del supermercato.

Vi era stato un nesso di consequenzialità logica e fattuale fra la condotta della parte offesa e l’immediata reazione dello sparatore.

L’atteggiamento aggressivo di B. e M. aveva toccato il culmine, quando il primo aveva inopinatamente e repentinamente estratto il coltello a scatto, puntandolo verso lo sparatore che, nel frattempo, gli aveva solo mostrato l’arma, senza impugnarla e senza puntarla contro di lui.

L’imputato aveva esploso i colpi non per un’autonoma determinazione, ma in conseguenza dell’atteggiamento di chi successivamente aveva avuto la peggio. Con un secondo motivo, il ricorrente ha sostenuto che la sentenza impugnata doveva essere annullata anche per difetto e/o manifesta illogicità della motivazione sulle ragioni per le quali non era stato effettuato il richiesto giudizio di prevalenza delle attenuanti sull’aggravante della premeditazione.

I giudici di merito avevano ancorato il loro giudizio solo alla efferatezza dei delitti e alle modalità esecutive, non tenendo in adeguato conto della completa incensuratezza dell’imputato, il quale lavorava ed era un buon padre di famiglia.

II giudizio di prevalenza avrebbe consentito di rendere la pena nel concreto aderente e proporzionata ai fatti commessi. Il predetto giudizio non poteva essere escluso solo tenendo conto della gravità degli stessi fatti.

Con un terzo motivo, il ricorrente ha denunciato la manifesta illogicità della motivazione della sentenza impugnata in ordine alle ragioni per le quali la pena base era stata determinata in misura superiore al minimo edittale e l’aumento per la continuazione era stato operato su livelli di particolare rigore punitivo. Il giudice d’appello, nel confermare i livelli di pena stabiliti dal primo giudice, non aveva considerato quanto in proposito era stato rappresentato con i motivi d’appello ed aveva risolto la questione in poche righe, contraddistinte da formule stereotipate e/o di stile.

La genericità di queste formule non consentiva alcuna verifica sul corretto esercizio del potere discrezionale riconosciuto al giudice nell’applicazione della pena.

Non si era tenuto conto della personalità dell’imputato – che dalle indicazioni provenienti dalle forze dell’ordine non era stato individuato come soggetto pericoloso – nè del contesto familiare, sociale e lavorativo del medesimo. Oltre a quanto già esposto nei motivi d’appello, per una corretta decisione sul punto, si doveva tener conto che l’imputato era stato liberato nell’ottobre 2008, con il solo obbligo di dimora nel Comune di Sigillo e con l’autorizzazione ad allontanarsene per lo svolgimento della sua attività lavorativa; che dalla cessazione dello stato detentivo aveva sempre lavorato in qualità di operaio; che aveva mantenuto una condotta irreprensibile sul luogo di lavoro; che trascorreva interamente il tempo libero dedicandosi alla famiglia; che, dopo un meditato e sofferto processo di rivalutazione critica del proprio operato, era sinceramente pentito e stava ricostruendo la propria esistenza; che erano in corso trattative per il risarcimento delle parti civili.
Motivi della decisione

Il ricorso è infondato.

La Corte d’Assise d’Appello di Perugia ha ritenuto non sussistente l’attenuante della provocazione perchè, con motivazione congrua e immune da vizi logici, non ha creduto alla versione dell’imputato, il quale ha sostenuto di avere sparato sia perchè era stato ripetutamente minacciato dalle suddette parti lese sia perchè le stesse gli avrebbero puntato contro un coltello, inducendolo a reagire.

La difesa dell’imputato, nei motivi di ricorso, continua a sostenere che il fatto si sarebbe svolto in modo diverso da come ricostruito nella sentenza impugnata, assumendo, in sostanza, che sarebbe credibile l’ultima versione resa dal P., ma non ha saputo indicare alcun vizio logico nel percorso motivazionale della sentenza impugnata, la quale ha invece ricostruito il fatto come un vero e proprio agguato da parte dell’imputato, il quale sì è recato all’appuntamento con l’intenzione di uccidere per non pagare il debito che aveva accumulato nei confronti delle parti lese.

Questa Corte non può prendere in considerazione la versione alternativa del fatto offerta dal ricorrente, il quale ha basato la sussistenza della attenuante della provocazione solo sulla suddetta ricostruzione alternativa, respinta dai giudici di merito con un apparato motivazionale privo di incrinature logiche. Il primo motivo di ricorso deve essere quindi rigettato.

Anche il secondo ed il terzo motivo, che riguardano la determinazione della pena inflitta, appaiono infondati, poichè la Corte di Assise di Appello ha adeguatamente giustificato, in base ai criteri previsti dall’art. 133 c.p., sia le ragioni per le quali la pena base non poteva essere fissata nel minimo edittale, sia le ragioni per le quali le attenuanti generiche non potevano essere considerate prevalenti sull’aggravante della premeditazione – non contestata dal ricorrente – , sia le ragioni per le quali è stato determinato nel modo sopra riportato l’aumento a titolo di continuazione per il tentato omicidio – anch’esso non contestato – nei confronti di M. M..

La sentenza impugnata, nell’indicare le ragioni delle sue scelte in termini di pena e del giudizio di comparazione tra attenuanti generiche e aggravante della premeditazione, non si è affatto affidata a formule di stile e stereotipate, ma ha preso attentamente in esame sia la personalità dell’imputato – riconoscendogli le attenuanti generiche per l’incensuratezza, per il contesto familiare e per una certa fragilità che sembra caratterizzarla – sia la particolare gravità del fatto, desumibile dalla accurata preparazione del delitto, dalle modalità esecutive, dalla gravità del danno e dal comportamento tenuto dall’imputato nel periodo immediatamente successivo alla commissione dei reati. Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato.

Al rigetto del ricorso consegue di diritto la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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