Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 13-01-2011) 22-02-2011, n. 6495 Detenzione, spaccio, cessione, acquisto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Nell’ambito del procedimento penale a carico di M.M. indagato per i reati di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, art. 74, n. 3 e 4 – art. 80;

la Corte di Cassazione, sezione 6^ penale, con sentenza del 07.07.2010, annullava con rinvio per nuovo esame l’ordinanza del Tribunale della libertà di Trento del 12.03.2010 con la quale era stato respinto il reclamo presentato dal M. contro l’ordinanza cautelare del Gip di Trento;

il Tribunale di Trento, a seguito di nuovo esame, con l’ordinanza del 06.09.2010, qui impugnata:

-dichiarava l’incompetenza per territorio del Giudice di Trento, essendo competente l’Autorità Giudiziaria di Milano;

-confermava nel resto l’ordinanza cautelare;

Avverso tale decisione, ricorre nuovamente per Cassazione il difensore, deducendo:

MOTIVI ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. a) e c).

1)- In primo luogo, il ricorrente censura la decisione impugnata per avere omesso di osservare i principi enunciati dalla Suprema Corte nella sentenza di annullamento;

in particolare, il giudice del rinvio avrebbe:

– nuovamente omesso di indicare gli elementi costitutivi del reato associativo e nuovamente omesso di motivare riguardo alle possibilità che i fatti accertati potevano rientrare nella più semplice ipotesi concorsuale di cui all’art. 81 c.p. e D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73;

– inoltre, il Tribunale pur affermando che l’organizzazione era suddivisa in cellule, non avrebbe indicato quali soggetti rivestivano il ruolo di "capi" dell’organizzazione "madre" e quali erano le strutture di tale organizzazione;

-il ricorrente lamenta ancora che:

-le strutture e gli strumenti indicati dal Tribunale sarebbero riferibili alle singole attività illecite, gestite in maniera autonoma dai singoli indagati;

-la reciproca frequentazione tra tutti i presunti sociali, per come indicata dal Tribunale nella sua motivazione, non sarebbe un elemento univoco per la dimostrazione del reato associativo;

-a parere del ricorrente, la prova a suo carico risiederebbe in sole due conversazioni telefoniche insufficienti ad indicare il suo apporto al sodalizio ed il ruolo eventualmente svolto;

– l’ordinanza avrebbe violato i principi stabiliti nella sentenza di annullamento, avendo omesso di motivare riguardo agli elementi probatori da cui discenderebbe la simultanea partecipazione del M. a più sodalizi criminosi;

– inoltre il Tribunale avrebbe omesso di considerare che nel caso della cellula "Morano-Cornegliani" difetterebbe anche il numero minimo di associati, atteso che la motivazione farebbe riferimento alla partecipazione di due sole persone e precisamente il C. ed il M.;

2)-quale secondo motivo si censura la decisione presa in assenza dell’invio, da parte della Procura procedente, dell’intero fascicolo del PM;

-a parere del ricorrente tale fascicolo sarebbe stato trasmesso dalla Procura Generale preso la Cassazione alla procura della Repubblica di Milano, mentre la Procura di Trento, avrebbe dovuto estrarne copia e riversarla al Tribunale di Trento per un completo esame degli atti nel giudizio di rinvio;

CHIEDE pertanto l’annullamento dell’ordinanza impugnata.
Motivi della decisione

Il ricorso è totalmente infondato.

La Giurisprudenza di legittimità è costante nel ritenere inammissibile il ricorso per Cassazione – avverso l’ordinanza del tribunale del riesame che confermi la misura cautelare dichiarando l’incompetenza territoriale del g.i.p. che l’aveva adottata – con il quale si deduca l’insussistenza di esigenze cautelari, in quanto una volta dichiarata l’incompetenza territoriale del giudice che ha disposto la misura e trasmessi gli atti al giudice ritenuto competente è soltanto possibile, ex art. 27 c.p.p., che la misura sia nuovamente adottata da quest’ultimo entro il termine di venti giorni e lo "status libertatis" dell’indagato trova la propria regolamentazione nel secondo titolo, ovvero che la misura non sia nuovamente e tempestivamente disposta e, in tal caso, quella originaria perde efficacia. Ne deriva che in entrambi i casi l’indagato ha interesse ad impugnare l’ordinanza originaria solo ai fini della previsione di cui all’art. 314 c.p.p. (riparazione per l’ingiusta detenzione) deducendo la mancanza di gravi indizi di colpevolezza, mentre ogni ulteriore censura è da ritenersi preclusa essendo nel primo caso ormai priva di incidenza la pregressa ordinanza e nel secondo ormai estinta la misura. Cassazione penale, sez. 5, 21/12/2005, n. 4270, conf. Cassazione penale, sez. 6, 30/05/2008, n. 31801.

Invero, quanto al primo punto, il Tribunale, ha congruamente motivato in ordine alle ragioni, in punto di fatto, per le quali ha ritenuto raggiunti i gravi indizi di colpevolezza, evidenziando, quanto al reato di associazione per delinquere finalizzato al traffico di stupefacenti, una serie di elementi che, secondo una ricostruzione del tutto priva di illogicità, riconducono l’indagato tra i partecipanti, ed in particolare:

– le indagini di PG, che hanno individuato "una struttura gerarchica, suddivisa in cellule" della quale facevano parte: B., A.G. ed Al., ed altri;

-una serie di cellule, come quella facente capo a "Matine e Houti" e, per quel che qui rileva, un’ulteriore cellula facente capo a "Corneliani e Morano", avente sede operativa in (OMISSIS);

– una fitta rete di rapporti tra le varie cellule;

l’esistenza di un’organizzazione che disponeva:

– di utenze cellulari e di autovetture "coperte", – di autoarticolati per il trasporto dello stupefacente;

– di appartamenti ove lavorare tali sostanze;

– di documenti contraffatti e di armi da fuoco (pag.6 motivaz.);

Il Tribunale sottolinea che tali elementi erano emersi a seguito delle complesse indagini, confermare da:

– intercettazioni telefoniche;

– verbali di arresto;

– verbali di perquisizione e sequestro;

– verbali di osservazione;

elementi tutti che riconducevano il M. all’organizzazione, con il ruolo di capo, come emergeva da alcune telefonate, specificamente indicate.

Risulta pertanto pienamente sufficiente la motivazione impugnata quanto ai gravi indizi di colpevolezza, sicchè tutte le altre deduzioni solevate dal ricorrente restano travolte dall’inammissibilità del ricorso conseguente all’intervenuta dichiarazione di incompetenza per territorio, ivi comprese le deduzioni relative alla mancata trasmissione degli atti.

Per completezza di motivazione va, in ogni caso, osservato che i termini e le prescrizioni di cui all’art. 309 c.p.p., (compresa la trasmissione degli atti) non si applicano ai giudizio di rinvio avanti al Tribunale della libertà dopo la pronuncia di annullamento da parte della Corte di Cassazione (Cass. Pen. Sez. Un. 17.04.1996 n. 5) in quanto, come già affermato dalle Sez. Un., con le sentenze: – 12 febbraio 1993, e – 22 novembre 1995, una volta che detta decisione sia tempestivamente intervenuta, le vicende successive connesse alla sua impugnazione e da questa dipendenti non rilevano riguardo all’osservanza dei termini ex art. 309 c.p.p., che ha esaurito la sua funzione.

Consegue la dichiarazione di inammissibilità del ricorso.

Ai sensi dell’art. 616 c.p.p., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, l’imputato che lo ha proposto deve essere condannato al pagamento delle spese del procedimento, nonchè – ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità- al pagamento a favore della Cassa delle Ammende, della somma di Euro 500, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 500 alla Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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