Cass. civ. Sez. III, Sent., 05-04-2011, n. 7724 Danno

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

I ricorrenti impugnano la sentenza della Corte di Appello di Bologna, depositata il 27 gennaio 2005, la quale sui punti che qui rilevano:

a. ha rideterminato il danno biologico temporaneo riconosciuto alla madre degli istanti e, quindi, agli stessi iure successionis, pur rigettando la relativa censura ritenendo che il risultato del calcolo sulla base di nuovi elementi sarebbe stato comunque inferiore a quanto riconosciuto dal Tribunale; b. ha determinato in complessivi Euro 30.000= per entrambi gli istanti il danno patrimoniale da mancato contributo economico da parte della madre, non riconosciuto, invece in primo grado.

I ricorrenti propongono due motivi di ricorso; resiste la Milano Assicurazioni con controricorso, proponendo anche ricorso incidentale affidato ad un motivo, illustrato con memoria. I ricorsi vanno riuniti, essendo stati proposti avverso la medesima sentenza ( art. 335 c.p.c.).

Con il primo motivo, i ricorrenti lamentano violazione dell’art. 32 Cost., artt. 2043, 2056, 1223 e 1226 c.c., nonchè insufficiente, illogica e contraddittoria motivazione su punto decisivo per avere erroneamente calcolato la riliquidazione del danno biologico temporaneo loro spettante iure successionis. Ripercorrono i criteri individuati dalla Corte per l’effettuazione di detto calcolo (valore di un anno d’invalidità permanente e rapportarlo poi ai giorni di temporanea riconosciuti) ed il valore assegnato a ciascun punto (Euro 800) ed affermano che, diversamente da quanto ritenuto dalla Corte stessa, il risultato sarebbe superiore di ben L. 3.898.327 all’importo di L. 770.000 determinato in prime cure, con conseguente interesse dei ricorrenti all’accoglimento del gravame.

Le osservazioni formulate dai ricorrenti con tale motivo non possono formare oggetto di ricorso per cassazione. L’errore materiale (quale quello rappresentato con tale mezzo), che non riguarda il contenuto concettuale e sostanziale della decisione, ma si concreta in un difetto di corrispondenza tra l’ideazione e la sua materiale rappresentazione grafica, chiaramente rilevabile dallo stesso testo del provvedimento (e dalla stessa prospettazione dei ricorrenti, che sottolineano le inesattezze nei passaggi del calcolo e del relativo risultato, non nell’individuazione dei fattori) non è censurabile in cassazione, ma può essere corretto attraverso la procedura di cui all’art. 287 c.p.c. e segg..

L’errore di calcolo determinato da erronea applicazione delle regole aritmetiche, ma sulla base di presupposti numerici non contestati e da ritenersi esatti, è emendabile con l’apposita procedura di cui all’art. 287 c.p.c., e non a mezzo del ricorso per cassazione (Cass. 15 maggio 2009 n. 1333; 7 aprile 2006 n. 8287; 7 ottobre 2005 n. 19639). In altri termini: gli errori di conteggio, in cui sia incorso il giudice del merito, dato il loro carattere materiale, vanno corretti attraverso la procedura di cui all’art. 287 c.c. e segg. e non sono denunciabili dinanzi alla corte di cassazione, il cui compito istituzionale si esaurisce in un controllo di mera legittimità delle decisioni di merito.

I ricorrenti col secondo motivo deducono:

violazione delle norme di cui agli artt. 2043, 2056, 1223 e 1226 c.c., art. 115 c.p.c., insufficiente, illogica e contraddittoria motivazione su punto decisivo. Lamentano che la Corte territoriale non avrebbe liquidato in maniera "satisfattiva" il danno patrimoniale patito per perdita delle sovvenzioni economiche da parte della madre deceduto a seguito del sinistro, dolendosi dell’incongruità e lacunosità della motivazione, dell’inadeguata considerazione delle prove testimoniali raccolte sul punto, dell’eccessivo rilievo attribuito alle loro condizioni economiche personali nonchè alla circostanza che erano diventati, quali eredi, anche proprietari degli immobili della madre.

Il ricorso incidentale della compagnia assicuratrice ha ad oggetto il medesimo capo della decisione impugnata e deduce nullità della sentenza per omessa ed illogica motivazione e violazione degli artt. 2043, 2697 e 2729 c.c., perchè la Corte territoriale, in base agli elementi raccolti, avrebbe dovuto negare la sussistenza del danno patrimoniale, perchè la Corte si sarebbe basata su un criterio di esperienza (destinazione di 1/3 del proprio reddito da parte dei genitori nei confronti dei figli ancorchè maggiorenni) in contrasto con la normalità dei casi e senza spiegare perchè il legame economico genitori/figli potesse assurgere a principio generale;

senza, infine, valutare globalmente i vari elementi indiziari.

Al riguardo, la Corte territoriale ha affermato che, ove si consideri che dalla dichiarazione dei redditi della madre emergono sia redditi da lavoro che da fabbricati, considerato che il reddito da lavoro rappresenta circa la metà di quelli da fabbricati e che i beni immobili sono stati ereditati dai figli appellanti che, per loro stessa dichiarazione, sono gli unici eredi, che i due appellanti sono due professionisti (quarantenni, di cui non si conosce il reddito, ma non certo disoccupati e che percepiscono un proprio reddito), considerato che la vittima aveva 72 anni ed ipotizzando che potesse continuare a lavorare fino a 75, che sicuramente ciò che riservava ai figlioli non derivava solo da redditi lavorativi ma anche di fabbricati, riteneva di poter quantificare il danno patrimoniale futuro da mancato aiuto economico (con valutazione al 19.2.1993, epoca di versamento dell’acconto da parte della Compagnia) a L. 800.000= mensili per ciascun figlio per tre anni, per un importo totale per i due figli arrotondato a Euro 30.000=.

La decisione impugnata resiste alle censure mosse da entrambe le parti.

Non sussistono, invero, le lamentate violazioni di legge, in quanto la Corte territoriale ha fatto buon governo dei consolidati principi espressi in materia da questa S.C.. Come noto, l’aspettativa degli stretti congiunti ad un contributo economico da parte del familiare prematuramente scomparso in tanto integra un danno futuro risarcibile in quanto sia possibile presumere, in base ad un criterio di normalità fondato su tutte le circostanze del caso concreto, che un contributo economico la persona defunta avrebbe effettivamente apportato (Cass. n. 11189/05; 1637/00; 10085/98; 10480/96).

Nell’ambito della valutazione di tali circostanze, affinchè il godimento di un reddito proprio, da parte del congiunto della persona deceduta in conseguenza dell’altrui fatto illecito, valga ad escludere il risarcimento del danno, è necessario che tale reddito sia sufficiente a soddisfare interamente le esigenze presenti e future del percettore in relazione al tenore di vita, all’educazione, all’istruzione, alla posizione sociale ed all’età (argomento desumibile da Cass. n. 4205/02).

Al riguardo, questa Corte ha precisato, secondo l’orientamento indicato anche dai ricorrenti che il fatto che i figli di persona deceduta in seguito ad un fatto illecito siano maggiorenni ed economicamente indipendenti non esclude la configurabilità, e la conseguente risarcibilità, del danno patrimoniale da essi subito per effetto del venir meno delle provvidenze aggiuntive che il genitore destinava loro, posto che la sufficienza dei redditi del figlio esclude l’obbligo giuridico del genitore di incrementarli, ma non il beneficio di un sostegno durevole, prolungato e spontaneo, sicchè la perdita conseguente si risolve in un danno patrimoniale, corrispondente al minor reddito per chi ne sia stato beneficato (Cass. n. 24802/08; 11003/03; 12020/95). La Corte d’Appello ha valutato gli elementi a sua disposizione in conformità con detti insegnamenti ed ha liquidato adeguatamente e non escluso – il mancato contributo economico da parte del genitore defunto. La quantificazione, peraltro, è avvenuta con congrua e corretta motivazione.

Inoltre, i motivi del ricorso principale e di quello incidentale, nella parte in cui lamentano vizi di motivazione, si risolvono, in realtà, nella (non più ammissibile) richiesta di rivisitazione di criteri liquidatori del tutto legittimamente adottati e applicati in sede di merito. Il ricorrente ed il controricorrente, difatti, lungi dal prospettare vizi della sentenza gravata rilevanti sotto il profilo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, nella parte in cui ha valutato le risultanze probatorie per la liquidazione del danno patrimoniale futuro da mancato aiuto del genitore defunto, invocano in sostanza una diversa valutazione di tale danno, muovendo così all’impugnata sentenza censure del tutto inammissibili, sia perchè la valutazione in discorso postula e involge apprezzamenti di fatto riservati in via esclusiva al giudice di merito il quale, nel porre a fondamento del proprio convincimento elementi fattuali con esclusione di altri, nel privilegiare una ricostruzione circostanziale a scapito di altre (pur astrattamente possibili e ipoteticamente verosimili), non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere peraltro tenuto ad affrontare e discutere ogni singola risultanza processuale ovvero a confutare ogni e qualsiasi deduzione difensiva. E’ principio di diritto ormai consolidato quello per cui l’art. 360 c.p.c., n. 5 non conferisce in alcun modo e sotto nessun aspetto alla corte di Cassazione il potere di riesaminare il merito della causa, consentendo ad essa, di converso, il solo controllo – sotto il profilo logico-formale e della correttezza giuridica delle valutazioni compiute dal giudice d’appello, al quale soltanto spetta l’individuazione delle fonti del proprio convincimento valutando le prove, controllandone l’attendibilità e la concludenza, scegliendo, fra esse, quelle funzionali alla dimostrazione dei fatti in discussione (salvo i casi di prove cd. legali).

Il mancato accoglimento delle precedenti censure assorbe ogni decisione circa il quarto motivo, con cui i ricorrenti deducono violazione degli artt. 91 e 92 c.p.c., nonchè vizio di motivazione, perchè l’accoglimento delle loro tesi avrebbe dovuto comportare una diversa pronunzia in ordine alle spese del doppio grado di giudizio.

Ne deriva il rigetto dei ricorsi. Tenuto conto della reciproca soccombenza, vanno compensate, tra le parti costituite, le spese del presente giudizio.
P.Q.M.

Riunisce i ricorsi e li rigetta. Compensa le spese.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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