Cons. Stato Sez. III, Sent., 17-02-2011, n. 1024 Stranieri

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Il sig. R.B., cittadino afgano e profugo da quel Paese, ha dedotto d’aver proposto, il 29 ottobre 2008, domanda di protezione internazionale alla Repubblica ellenica, nel cui territorio allora si trovava.

Essendo in un momento successivo entrato sine titulo in Italia, il sig. B. ha fatto presente d’aver qui riprodotto, in data 7 novembre 2009, la medesima domanda. Il Ministero dell’interno, tuttavia e grazie alle informazioni acquisite, ha verificato che il sig. B. era già presente nella bancadati EURODAC, come riscontrato con i rilievi dattiloscopici effettuati a suo tempo in Grecia. Sicché, con nota del 1° dicembre 2009, il Ministero medesimo ha chiesto alla Grecia di riprendere il sig. B. in carico per il completamento della procedura di protezione, in conformità al regol. n. 2003/343/CE. Reiterata tal richiesta il successivo 29 dicembre, il Ministero, verificata l’accettazione implicita della ripresa in carico per inutile decorso del termine ex art. 18, Par. 7) del regol. n. 343, con nota prot. n. 111773 del 19 gennaio 2010, ha disposto il trasferimento del sig. B. in quello Stato membro.

2. Avverso tale statuizione -nei confronti della quale lo straniero ha adito anche la CEDU, questi è insorto innanzi al TAR Lazio (ricorso n. 6869/2010 RG), deducendo in punto di diritto due articolati gruppi di censure.

3. Il TAR Lazio, con sentenza semplificata n. 32398 del 22 settembre 2010 ed assorbita ogni altra questione, ha accolto il ricorso per difetto di motivazione e d’istruttoria circa la situazione della Grecia, reputata Paese non sicuro, e, in particolare, perché il disposto trasferimento "… dovesse ritenersi obbligatorio o comunque preferibile rispetto alla possibilità di far applicazione, nel caso in esame, dell’articolo 3, c. 2 del…" regol. n. 343.

4. Hanno appellato le Amministrazioni soccombenti, deducendo che la favorevole evoluzione della Grecia in ordine all’applicazione delle norme comunitarie ed internazionali in questione, nonché la residualità e l’eccezionalità della procedura ex art. 3, Par. 2) del regol. n. 2003/343/CE, avrebbero dovuto indurre il primo giudice ad applicare la regola secondo cui prevale la domanda proposta per prima, ossia quella presentata alle autorità greche.

5. Si è costituito in giudizio il sig. B., riproponendo nella sostanza i motivi assorbiti in primo grado..
Motivi della decisione

6. Si controverte in questa sede, a seguito dell’appello proposto dalle Amministrazioni statali risultate soccombenti innanzi al TAR, del trasferimento d’un cittadino di Paese terzo dall’Italia al diverso Stato membro UE in applicazione del regol. n. 2003/343/CE, quando quest’ultimo (nella specie, la Grecia), pur competente a decidere sulla richiesta di protezione internazionale, sia ritenuto non sicuro a garantire le ragioni e i diritti dei richiedenti asilo.

7.. Per una più agevole comprensione delle vicende di causa, il Collegio rileva che l’odierno appellato, cittadino afgano e profugo da quel Paese, è espatriato in Grecia, dove, il 29 ottobre 2008, ha formulato istanza di protezione internazionale. Successivamente, il medesimo è espatriato clandestinamentein Italia, richiedendo ex novo la medesima protezione, ma la Questura di Bologna ha riscontrato la previetà dell’istanza proposta in Grecia e, quindi, ha chiestoa questo Paese di riprenderlo in carico per la definizione della procedura d’asilo. Poiché la Grecia nulla ha eccepito sul punto, il Ministero dell’interno ha disposto il trasferimento dello straniero, "…CONSIDERATO che la GRECIA è un Paese Membro sicuro e non ravvisando particolari motivi che potrebbero indurre l’Italia ad assumere la competenza ai sensi dell’art. 3.2 del Regolamento Dublino II…".

8. La sentenza qui appellata, nell’accogliere l’impugnazione dello straniero, ha posto quale premessa logica di ciò l’omessa valutazione, da parte della P.A., della "… notoria situazione in cui versavano i richiedenti protezione internazionale in Grecia ed evidenziati dagli organismi internazionali (ed in particolare dall’UNCHR nel documento di raccomandazioni del 15 aprile 2008, del 9 luglio 2007 e del novembre 2007…)". Dal che, ad avviso del TAR, la fondatezza della censura circa il difetto di motivazione e d’istruttoria, non avendo la P.A. chiarito, con riguardo alla situazione dello straniero, "… per quale ragione, nonostante le contrarie raccomandazioni internazionali il suo trasferimento dovesse ritenersi obbligatorio o comunque preferibile rispetto alla possibilità di far applicazione, nel caso in esame, dell’articolo 3, c. 2 del regolamento CE 343/2003…".

9. Delineato così il quadro fattuale della controversia, il Collegio dichiara inammissibile, ai sensi dell’art. 104, c. 1, c.p.a., la censura che l’appellato ha formulato nella memoria di costituzione innanzi, ossia l’inutile decorso del termine semestrale dall’accettazione di presa in carico da parte dello Stato membro competente, indicato nel combinato disposto dei Par.Par. 3) e 4) dell’art. 19 del regol. n. 2003/343/CE ed entro il quale, a pena di decadenza, deve avvenire il trasferimento.

Tale censura non è contenuta nel ricorso di primo grado -il quale essenzialmente ricalca la struttura argomentativa della sentenza appellata, ancorché l’effetto lesivo fosse evidente ed attuale fin dalla notificazione del decreto di trasferimento allo straniero, alla cui data, secondo la prospettazione dell’appellato, il termine de quo fosse a suo dire già trascorso.

Il collegio osserva che il predetto termine decorre non già dall’istanza di protezione (7 dicembre 2009), come pretende l’appellato, bensì dall’accettazione espressa o tacita da parte dello Stato membro competente (nella specie, due mesi dopo la richiesta formulata dall’Italia il 1° dicembre 2009). Sicché, a tutto concedere, la notificazione a costui del trasferimento è avvenuta il 14 giugno 2010 e, quindi, tempestivamente rispetto al citato art. 19.

10. Nel merito, l’appello è fondato.

10.1. La sentenza appellata ha annullato l’atto di trasferimento, muovendo in sostanza dalla permanente attualità dello stato di criticità, evidenziato da organismi internazionali ed in cui versa la Grecia nel trattamento degli stranieri; in particolare di quelli richiedenti asilo, sì da farla ritenere uno Stato non sicuro a tali fini.

Le premesse su cui i primi giudici hanno fondato la decione impugnata sono erronee, in quanto si basano su una situazione alquanto risalente nel tempo e non più rispondente allo stato, di fatto e di diritto, sussistente al momento dell’adozione della decisione impugnata, che un adeguata istruttoria avrebbe messo in evidenza.

Il tribunale ha omesso di considerare l’avvio, da parte della Grecia, d’un processo (e della conseguente implementazione) evolutivo favorevole, grazie anche al recepimento della normativa europea ed internazionale in materia, verso livelli accettabili di conformazione di quell’ordinamento all’effettività della protezione.

Non nega il Collegio che, come tutti i processi d’adeguamento, anche tale conformazione avviene per gradi e per ripensamenti di prassi e metodi interpretativi non più coerenti col dettato normativo europeo e in via d’obsolescenza. Esso, certo, non è immune da pecche, errori, o atteggiamenti di resistenza alla novità, ma al contempo non può esser considerato sic et simpliciter irrilevante o inutile, né è lecito enfatizzarne i soli snodi critici.

Correttamente le Amministrazioni appellanti hanno lamentato come la sentenza impugnata si riferisca ai precedenti negativi verso la Grecia, dando per assodato che questi siano rimasti invariati ed uguali a se stessi anche alla data del decreto in quella sede impugnato. Invero, la sentenza non ha valutato l’evoluzione non solo della situazione greca -Stato membro nei cui riguardi l’Unione non ha tuttora assunto statuizioni definitive di censura, ma soprattutto dei giudizi di quegli stessi organismi internazionali che, un tempo nettamente critici, con pari rigore hanno evidenziato luci e ombre di tal vicenda, appunto perché è in continuo divenire.

Se v’è, quindi, un cambio d’atteggiamento della Grecia in soggetta materia e si può osservare lo sforzo di questo Stato membro d’adeguarsi alle nuove regole ed alle buone pratiche per l’effettiva tutela degli stranieri richiedenti asilo -cosa, questa, già fatta presente dalla P.A. appellante nella sua relazione all’Avvocatura erariale per il giudizio di primo grado e nella nota (8 luglio 2010) di risposta al ricorso dello straniero alla CEDU, l’illegittimità del trasferimento di quest’ultimo non può più fondarsi solo sui predetti precedenti. Essa, se del caso, deve muovere almeno dall’esistenza d’un serio ed attuale pericolo, il principio della cui prova va offerto da chi lo predica e non grava in capo alla P.A. stessa, di lesione dei diritti degli stranieri a causa della persistente inadeguata applicazione delle norme europee in esame.

10.2. In ordine, poi, alla necessità che la P.A. debba adoperare lo strumento indicato nell’art. 3, Par. 2) del regol. n. 2003/343/CE, giova rammentare che il Par. 2) delle relative premesse considera tutti gli Stati membri UE, proprio perché "…rispettosi del principio di non respingimento…", egualmente sicuri per i cittadini dei Paesi terzi.

Questa è, ad avviso del Collegio e con le precisazioni dianzi svolte, la chiave di lettura del citato art. 3, Par. 2), il quale non impone, ma consente allo Stato membro non competente d’esaminare l’istanza di protezione internazionale, solo se le inadempienze dello Stato competente siano evidenti e vengano denunziate a quest’ultimo ed agli organi di giustizia UE.

Va, quindi, condivisa la censura delle Amministrazioni appellanti, ove hanno affermato che, di regola, lo Stato membro non competente non possa esimersi dalla puntuale e rigorosa applicazione delle norme sulla competenza e che queste ultime non siano disapplicabili ad libitum. La discrezionalità che la norma gli accorda può essere esercitata, per evitare abusi o interpretazioni compiacenti, solo in presenza o di idonei provvedimenti adottati dall’UE per censurare lo Stato inadempiente, oppure di notori, evidenti, attuali e non altrimenti rimediabili inadempimenti dell’altro Stato membro. Come si vede, l’art. 3, Par. 2) è norma di salvaguardia, a favore dell’integrità e della sfera giuridica di protezione degli stranieri richiedenti asilo e dell’ordinamento comunitario, donde la facoltà dello Stato membro non competente d’esercitare le funzioni di protezione, ma solo a fronte d’un conclamato pericolo per i beni giuridici protetti dalla norma.

Ogni altro esercizio della predetta facoltà non solo darebbe a ciascun Stato membro il potere di regolare a proprio piacimento la competenza in materia -sindacando (e censurando) il grado di affidabilità dello Stato competente in luogo dei competenti organi dell’UE, ma soprattutto fornirebbe allo Stato inadempiente un commodus discessus dai propri obblighi di protezione, in tal modo esimendolo dal virtuoso processo d’adeguamento alla normativa de qua.

11. In conclusione, l’appello va accolto e,. in riforma della sentenza impugnata, va rigrttato l’originario ricorso.

12. La complessità e la delicatezza della questione comportanol’integrale compensazione, tra le parti, delle spese del giudizio.
P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sul ricorso n. 10363/2010 RG in epigrafe, lo accoglie e, in riforma della sentenza impugnata, respinge il ricorso di primo grado.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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