Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 13-01-2011) 22-02-2011, n. 6481

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La ricorrente: C.G.:

veniva sottoposta a giudizio penale dinanzi al Gup presso il Tribunale di Roma, perchè imputata del reato di tentata estorsione in concorso con C.R. e V.L. in danno dell’ex datore di lavoro del V., F.F., dal quale riuscivano, mediante l’uso di minaccia, ad ottenere tre assegni bancari, senza riuscire nell’intento perchè la consegna degli assegni era controllata dalle forze dell’ordine che subito dopo procedevano al loro arresto;

al termine del giudizio, condotto con il rito abbreviato, veniva emessa la sentenza del 04.07.2008, con la quale il Gup dichiarava l’odierna ricorrente responsabile del reato di estorsione consumata e la condannava alla pena indicata in sentenza; il Gup riteneva, invero, che gli imputati, pur se monitorati dalle Forze dell’ordine, avevano conseguito – sia pure per breve tempo – la disponibilità degli assegni consegnati dalla parte offesa, sicchè il reato di estorsione doveva ritenersi consumato e non restato allo stadio di tentativo.

La Corte di Appello di Roma, con sentenza del 07.05.2009 ed in sede di gravame, confermava la decisione di primo grado.

Ricorre per Cassazione l’imputata, deducendo:

MOTIVI ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b).

La ricorrente censura la decisione impugnata per non avere accolto il motivo di appello con il quale si censurava la decisione di primo grado per violazione del principio di correlazione tra l’accusa e la sentenza;

l’appellante aveva sottolineato che sebbene la contestazione riguardasse l’accusa di concorso in estorsione tentata, il GUP aveva ritenuto ed affermato la sua responsabilità in relazione alla diversa ipotesi consumata di estorsione;

al riguardo sarebbe censurabile la motivazione della Corte territoriale che aveva respinto i motivi limitandosi a richiamare alcuni precedenti giurisprudenziali di legittimità senza ulteriore motivazione al riguardo;

in ogni caso, la sentenza impugnata non sarebbe condivisibile nella parte in cui aveva ritenuto consumata l’estorsione anche nel caso di specie, ove l’agente non aveva conseguito un’autonoma e materiale disponibilità degli assegni, stante la continua vigilanza ed il pronto intervento delle Forze dell’Ordine;

CHIEDE l’annullamento della sentenza impugnata.
Motivi della decisione

I motivi proposti risultano totalmente infondati in quanto sostengono una tesi non accolta dalla giurisprudenza.

Invero la Giurisprudenza di legittimità ha espresso il principio, pienamente condiviso da questo Collegio, secondo il quale le norme che disciplinano le nuove contestazioni, le modificazioni dell’imputazione e la necessaria correlazione tra essa e la sentenza ( art. 516 e 522 c.p.p.) hanno lo scopo di assicurare il contraddittorio dell’accusa e, quindi, il pieno esercizio del diritto di difesa dell’imputato.

Pertanto, devono essere interpretate con riferimento a detto scopo e non possono ritenersi violate da qualsiasi modificazione rispetto all’accusa originaria, ma soltanto nel caso in cui il mutamento pregiudichi la possibilità di difesa dell’imputato, essendo il sistema di garanzia ispirato all’esigenza di evitare che l’imputato sia condannato per un "fatto", inteso come episodio della vita umana, rispetto al quale non abbia potuto difendersi.

In questa prospettiva non sussiste la violazione del principio di correlazione tra l’accusa e la sentenza di condanna se la contestazione concerne globalmente la condotta addebitata all’imputato, sicchè questi è in grado di difendersi relativamente a tutti gli aspetti del comportamento tenuto in occasione del fatto di cui è chiamato a rispondere, indipendentemente dalla specifica norma che si assume violata. Cassazione penale. sez. 4, 16 settembre 2008, n. 38819.

La Corte territoriale ha osservato che, sebbene la condotta fosse stata ascritta ex artt. 56 e 629 c.p., il fatto era comunque descritto compiutamente nel capo di imputazione, ove era chiaramente menzionata la circostanza che gli imputati erano stati tratti arresto dalla Polizia subito dopo avere conseguito la consegna dei tre assegni bancari, sicchè fosse del tutto legittima la qualificazione dello stesso fatto nell’ipotesi consumata, al di là dell’iniziale contestazione sotto l’ipotesi tentata.

Si tratta di una motivazione che ha fatto buon governo dei principi di diritto sopra richiamati;

Invero l’imputata era stata posta in grado di difendersi rispetto al fatto ascritto, nel quale era chiaramente precisata la circostanza dell’avvenuta consegna dei tre assegni bancari, sicchè la diversa qualificazione dello stesso fatto non ha leso il diritto di difesa.

Con il secondo motivo di ricorso si contesta nel merito la decisione quanto alla ritenuta consumazione del reato, osservando che la Corte di appello avrebbe omesso di considerare che l’imputata non aveva mai conseguito l’effettiva disponibilità degli assegni, posto che tutta l’operazione era avvenuta sotto il controllo della Polizia Giudiziaria.

Anche a tale riguardo l’imputata sentenza risulta incensurabile per avere correttamente applicato il principio, costantemente affermato in sede di legittimità, ed anche da questa sezione, per il quale in tema di estorsione è da ritenere verificata la consumazione del reato allorchè l’estorsore, nonostante il servizio di rafforzamento predisposto dalla polizia, riesce ad impossessarsi, anche per un breve lasso di tempo, della somma di denaro messa a sua disposizione dal soggetto passivo della violazione o della minaccia. Cassazione penale, sez. 2, 17 novembre 1992 conforme: Cassazione penale, sez 2, 13 aprile 1995, n. 10377.

Si deve considerare, invero, che ove anche la consegna del denaro si svolge sotto la vigilanza della polizia e l’estorsore resti nel possesso del denaro per pochi istanti, non si verte in tema di tentativo perchè il delitto deve ritenersi consumato nel momento e nel luogo in cui si verificano l’ingiusto profitto e il danno patrimoniale.

Segue il rigetto del ricorso.

Ai sensi dell’art. 592 c.p.p., comma 1, e art. 616 c.p.p. il rigetto o la declaratoria di inammissibilità dell’impugnazione proposta dalla parte privata comportano la condanna di quest’ultima al pagamento delle spese del procedimento. Cassazione penale, sez. 6, 03 giugno 1994.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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