Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 13-01-2011) 22-02-2011, n. 6479 Attenuanti comuni riparazione del danno e ravvedimento attivo

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il Tribunale di Foggia, con sentenza del 15.12.2003, riteneva:

L.S.:

responsabile del reato di tentativo di rapina aggravata impropria, nonchè dei reati di resistenza a Pubblico Ufficiale e lesioni aggravate;

La Corte di appello di Bari, con sentenza del 30.03.2010, confermava la decisione impugnata.

Avverso tale decisione l’imputato propone impugnazione per Cassazione, deducendo:

MOTIVI ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b).

Il ricorrente, censura la decisione impugnata:

l)- per avere errato nell’applicazione della legge penale, laddove ha ritenuto la sussistenza del reato di tentativo di rapina impropria, senza considerare che al momento dell’intervento della parte offesa non si era ancora verificato l’impossessamento di alcun bene;

a parere del ricorrente la Corte di appello avrebbe dovuto ravvisare l’ipotesi dei distinti reati di tentativo di furto e di minaccia alla stregua di quella Giurisprudenza di legittimità che, per la ricorrenza della rapina impropria presuppone, come elemento imprescindibile, l’avvenuta sottrazione della cosa;

Chiede pertanto l’annullamento della sentenza impugnata, ovvero emettere ordinanza per sollevare dinanzi alle SS.UU. della Corte Suprema il contrasto giurisprudenziale esistente sull’argomento.
Motivi della decisione

Il motivo proposto è totalmente infondato.

Il ricorrente propone una interpretazione giuridica del delitto di rapina impropria non condivisa dalla prevalente Giurisprudenza di legittimità.

Il ricorrente ritiene che la sentenza di appello sarebbe incorsa in violazione della legge penale per avere ritenuto la rapina impropria (nella specie: tentata) senza considerare che nella fattispecie l’azione delittuosa era stata interrotta (a causa del ritorno in casa della persona offesa) prima che l’imputato potesse impossessarsi di alcunchè; argomenta il ricorrente che, non essendo ancora avvenuta alcuna sottrazione del bene, la condotta violenta adoperata per darsi alla fuga e garantirsi l’impunità non poteva integrare l’ipotesi della rapina impropria tentata bensì quella dei distinti reati di tentativo di furto e di minaccia.

Si tratta di un motivo infondato.

La difesa fa riferimento ad una giurisprudenza, minoritaria, che ha escluso la rapina impropria laddove la violenza intervenga prima che sia completata la sottrazione del bene (Cass. Pen. Sez. 5, 13.04.2007, n. 32551- Cass.Pen. 29.04.09 n. 25100);

le decisioni citate dal ricorrente si fondano sulla considerazione che l’azione delittuosa di cui all’art. 628 c.p., comma 2 configura un’ipotesi a formazione progressiva, ove la sottrazione deve costituire un antecedente rispetto alla violenza, atteso che quest’ultima è finalizzata ad assicurare l’impossessamento o l’impunità.

Questo Collegio ritiene di aderire al diverso indirizzo, largamente maggioritario e costantemente seguito da questa sezione, che ha ravvisato il delitto di rapina impropria anche laddove l’impossessamento non sia ancora completato; si è infatti ritenuto che: "E’ configurabile il tentativo di rapina impropria nel caso in cui l’agente, dopo aver compiuto atti idonei all’impossessamento della "res" altrui, non portati a compimento per cause indipendenti dalla sua volontà, adoperi violenza o minaccia per assicurarsi l’impunità." Cassazione penale, sez. 2, 25 settembre 2007, n. 38586 Invero, l’ipotesi di cui all’art. 628 cpv. cp., si perfeziona anche nei casi in cui la condotta di impossessamento della cosa non sia completata ma sia ancora in atto (Cass. Pen. Sez. 2, 23.05.07 n. 23418), atteso che il criterio qualificante della condotta criminosa va individuato nell’esercizio della violenza o della minaccia mentre è ancora "in itinere" l’azione difensiva, il cui esercizio impedisce all’agente di completare l’azione di sottrazione del bene (Cass. Pen. Sez. 2, 10.11.2006 n.40156), sottrazione per la quale erano ormai avviati in maniera non equivoca gli atti esecutivi.(Cass. Pen. Sez. 2, 16.05.2001 n. 28044).

La prevalente giurisprudenza si fonda sulla considerazione che l’elemento caratteristico della rapina impropria si fonda su una fattispecie "a tempi invertiti" atteso che la violenza o la minaccia non sono presi in considerazione come "modalità per la sottrazione ed impossessamento" – come nell’ipotesi di rapina consumata – ma come "mezzi diretti ad assicurare l’impossessamento ovvero l’impunità", ove elementi primari divengono questi ultimi aspetti rispetto all’attività di sottrazione del bene.

Nell’ipotesi di cui all’art. 628 c.p., comma 2 restano fermi gli elementi imprescindibili della rapina e cioè: – l’impossessamento del bene – e – la violenza e minaccia- ma si invertono le finalità, atteso che, nel caso della rapina consumata, la violenza ha un carattere cronologicamente anteriore essendo diretta all’appropriazione che, a sua volta, assume una valenza consumativa del reato, mentre, nel caso della rapina impropria, la violenza (o minaccia) ha un carattere cronologicamente successivo all’appropriazione (ovvero – come nella specie – al tentativo di appropriazione) sicchè sono proprio la violenza o la minaccia ad assumere la valenza consumativa del reato.

La sentenza impugnata risulta immune da censure in quanto ha ravvisato la penale responsabilità dell’imputato sulla scorta della predetta giurisprudenza, avendo sottolineato che la condotta violenta dell’imputato era diretta ad assicurarsi l’impunità e si era manifestata dopo che egli ed il complice avevano compiuto degli atti idonei ed inequivocabilmente diretti ad impossessarsi dei beni presenti nell’abitazione, ove erano penetrati dopo averne forzato la porta di ingresso.

Ugualmente infondato è il motivo di censura sulla negata attenuante del risarcimento del danno, atteso che anche in questo caso la motivazione impugnata appare aderente alla costante giurisprudenza di legittimità che ha affermato il principio per il quale il requisito dell’integrante del risarcimento nel delitto di rapina va verificato in funzione del duplice oggetto della condotta dell’agente in relazione all’interesse protetto dalla norma di cui all’art. 628 c.p. e quindi deve comprendere oltre il danno cagionato contro il patrimonio dall’azione diretta all’impossessamento della cosa anche quello fisico o morale, prodotto all’incolumità personale o alla libertà individuale della persona offesa. (Cassazione penale, sez. 2, 31/05/1989).

Non si rinviene pertanto il difetto di motivazione sul punto relativo all’applicazione della attenuante del risarcimento allorchè il giudice di merito – come nella specie – faccia riferimento all’insufficienza della somma liquidata alla parte offesa a titolo di danno morale (Euro 150 per il danno materiale indicato dalla stessa parte offesa- ed Euro 150 per il danno morale – così determinato dall’imputato -) restando la valutazione al riguardo di spettanza del giudice, che può anche disattendere, con adeguata motivazione, ogni dichiarazione satisfattiva resa dalla parte lesa. (Cassazione penale, sez. 1, 29/09/1994).

Il ricorso va pertanto rigettato; invero la presenza del contrasto giurisprudenziale sopra menzionato impedisce di ritenere inammissibili i motivi proposti.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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