T.A.R. Campania Salerno Sez. II, Sent., 17-02-2011, n. 256 Concessione per nuove costruzioni

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La ricorrente – proprietaria dell’appezzamento di terreno agricolo, della superficie di mq. 5000 circa, ubicato in Castellabate alla località Franco, censito in catasto terreni al foglio 26, particella 951, ricadente, dal punto di vista urbanistico, in zona di salvaguardia 2 e in Z. T. O. E4 ("territorio rurale – agricolo speciale"), destinato all’esercizio di attività produttive agricole e costituito prevalentemente da aree seminative a produzione intensiva – faceva presente d’aver prodotto, in data 1.12.08, al Comune di Castellabate, regolare istanza di permesso di costruire, relativa a un fabbricato rurale, onde soddisfare le esigenze dell’impresa agricola gestita, in loco, da terzi conduttori, per la coltivazione di olivi, fichi, frutta e ortaggi vari; che gli Uffici Comunali competenti, la Soprintendenza e l’A. S. L. s’erano espressi favorevolmente, dopo di che la pratica era stata trasmessa all’Ente Parco Nazionale del Cilento, per la verifica delle condizioni per il rilascio dell’autorizzazione, ex artt. 5, 6 e 7 dell’all. A al d. P. R. 5.06.1995; lamentava che peraltro era dapprima intervenuta la comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza, avverso cui la stessa ricorrente aveva prodotto osservazioni, e che, quindi, era stato emanato dall’Ente Parco l’impugnato diniego; tanto premesso, avverso detto provvedimento articolava le seguenti censure:

1) Violazione della l. r. n. 14/1982; Violazione del d. P. R. 5 giugno 1995; Violazione del D. M. n. 1444/1968; Eccesso di potere per illogicità e manifesta irrazionalità; Difetto di motivazione; Carenza assoluta di potere; Difetto di competenza: era contestata l’affermazione, contenuta nel provvedimento impugnato, secondo la quale la realizzazione di nuovi fabbricati poteva essere ammessa, solo a condizione "che il fondo venga coltivato oggi da colui che richiede di trasformare il terreno", non essendo sufficiente "che il fondo sia stato coltivato in passato"; rappresentava al riguardo che il fondo di sua proprietà era stato da sempre destinato alla coltivazione agricola e di fatto coltivato, senza soluzione di continuità;

2) Violazione della l. r. n. 14/1982; Violazione del d. P. R. 5 giugno 1995; Violazione del D. M. n. 1444/1968; Eccesso di potere per illogicità e manifesta irrazionalità; Difetto di motivazione; Carenza assoluta di potere; Difetto di competenza: la legge regionale prevedeva il rilascio della concessione edilizia, tra gli altri, anche al proprietario concedente, qualità soggettiva, pacificamente sussistente in capo alla ricorrente;

3) Violazione del D. M. 1444/68; Violazione della l. 765/67; Violazione della l. 1150/42; Eccesso di potere per illogicità e manifesta irrazionalità; Difetto di motivazione: era altresì contestata l’affermazione, sempre contenuta nel provvedimento gravato, secondo la quale le zone agricole "E’ sarebbero escluse del tutto dal novero delle aree edificabili, essendo destinate esclusivamente a finalità agricole;

4) Violazione ed errata applicazione dell’all. A al d. P. R. 5.06.1995; Eccesso di potere per erroneità della motivazione, difetto ed erroneità dei presupposti, perplessità: mentre l’area d’intervento ricadeva in zona 2 del Parco del Cilento, l’autorità tutoria aveva motivato il suo diniego come se la stessa ricadesse invece in zona 1, di maggior pregio naturalistico;

5) Violazione della l. 241/90; Violazione del d. P. R. 5.06.1995; Eccesso di potere per illogicità, manifesta irrazionalità e difetto di motivazione: era censurata la parte della motivazione, che impingeva nelle ridotte dimensioni del lotto, "tali da non giustificare in alcun modo il domicilio in situ del coltivatore in economia… né la necessità di avere sul posto gli arnesi agricoli proposti dal progetto";

6) Violazione della l. 6.12.1991, n. 394; Violazione dell’art. 3 della l. 241/90; Carenza e contraddittorietà della motivazione; Difetto d’istruttoria; Travisamento dei fatti: era dedotto che, mercé le opposte (ma inesistenti) ragioni di natura giuridico – urbanistica, l’Ente Parco s’era sostituito surrettiziamente all’Ufficio Comunale, competente a valutare la realizzabilità urbanistica dell’intervento;

7) Violazione della l. 6.12.1991, n. 394; Violazione dell’art. 3 della l. 241/90; Carenza e contraddittorietà della motivazione; Difetto d’istruttoria; Travisamento dei fatti; Vilazione degli art. 2 e 41 della Cost.: era sostanzialmente ribadita la doglianza sub 5), sotto il profilo del contrasto con le finalità, stabilite nello stesso Statuto dell’Ente Parco;

Si costituiva, con atto di forma, l’Ente Parco Nazionale del Cilento e del Vallo di Diano, con il patrocinio dell’Avvocatura Erariale, che depositava quindi documentazione pertinente al ricorso.

Seguiva la produzione – da parte della ricorrente – di una perizia agronomica giurata.

L’Avvocatura Erariale depositava quindi memoria difensiva, in cui concludeva per il rigetto del gravame.

Con ordinanza, resa all’esito dell’udienza in camera di consiglio del 27.08.09, la Sezione respingeva la domanda cautelare (ordinanza poi confermata dal Consiglio di Stato in s. g. – Sezione Sesta – in data 9.02.2010).

Era quindi prodotta memoria difensiva riepilogativa, nell’interesse della ricorrente.

All’udienza pubblica del 25.11.2010, il ricorso era trattenuto in decisione.
Motivi della decisione

Prima di affrontare il merito delle censure articolate in ricorso, il Tribunale ritiene opportuna una ricognizione del quadro normativo, entro cui s’è esercitato il potere dell’Ente Parco Nazionale del Cilento, di diniego di autorizzazione all’intervento, proposto dai ricorrenti.

Viene in rilievo, in primo luogo l’art. 13 della l. 6.12.1991, n. 394 ("Legge quadro sulle aree protette"), intitolato: "Nulla osta", il quale prevede, al comma 1, quanto segue: "Il rilascio di concessioni o autorizzazioni relative ad interventi, impianti ed opere all’interno del parco è sottoposto al preventivo nulla osta dell’Ente parco. Il nulla osta verifica la conformità tra le disposizioni del piano e del regolamento e l’intervento ed è reso entro sessanta giorni dalla richiesta. Decorso inutilmente tale termine il nulla osta si intende rilasciato (…)".

Va, poi, tenuto presente l’art. 1 comma 6 del d. P. R. 5.06.1995 (Istituzione dell’Ente parco nazionale del Cilento e Vallo di Diano), secondo il quale: "Nel territorio del Parco, a decorrere dalla data di pubblicazione del presente decreto e fino all’approvazione del piano del parco di cui all’art. 12 della legge n. 394/91, si applicano le misure di salvaguardia riportate nell’allegato A) al presente decreto del quale costituisce parte integrante".

L’art. 1 delle suddette misure di salvaguardia, prevede, quindi, sotto il titolo ("Zonazione interna"), che l’area del Parco nazionale del Cilento e Vallo di Diano (come delimitata nella cartografia allegata), è suddivisa in due zone: zona 1), di rilevante interesse naturalistico, paesaggistico e culturale con limitato o inesistente grado di antropizzazione e zona 2), di valore naturalistico, paesaggistico e culturale con maggior grado di antropizzazione.

Ai sensi dell’art. 2, poi, nell’ambito del territorio di cui al precedente articolo 1, sono assicurate: a) la conservazione di specie animali o vegetali, di associazioni vegetali o forestali, di singolarità geologiche, di formazioni paleontologiche, di comunità biologiche, di biotopi, di valori scenici e panoramici, di processi naturali, di equilibri idraulici ed idrogeologici, di equilibri ecologici (…)".

Poiché l’intervento proposto dai ricorrenti è compreso in zona 2, viene, quindi, in rilievo l’art. 7 delle misure di salvaguardia in esame, a tenore del quale, per quanto qui interessa: "Salvo quanto disposto dal precedente articolo 3, sono sottoposti ad autorizzazione dell’Ente parco, i nuovi interventi di rilevante trasformazione del territorio, per i quali, alla data di entrata in vigore delle presenti norme, non sia stato effettuato l’inizio dei lavori: (…) l) la realizzazione di nuovi edifici ed il cambio di destinazione d’uso per quelli esistenti, all’interno delle zone territoriali omogenee "E’, di cui al decreto ministeriale 2 aprile 1968, n. 1444, con esclusione degli ampliamenti edilizi effettuati nel rispetto e nei limiti degli strumenti urbanistici vigenti".

Infine, l’art. 8 delle misure di salvaguardia, intitolato "Modalità di richiesta di autorizzazioni", stabilisce, al comma 1°, che l’eventuale rilascio di autorizzazioni da parte dell’Ente Parco, per quanto disposto dai precedenti articoli 5, 6 e 7, è subordinato al rispetto, da parte del richiedente, delle seguenti condizioni: a) gli elaborati tecnici relativi alle istanze prodotte dovranno essere corredati da tutte le autorizzazioni, i nulla osta, i pareri, comprese le eventuali prescrizioni, da parte degli Enti istituzionalmente competenti per territorio secondo quanto richiesto dalla normativa vigente; b) l’autorizzazione è rilasciata, per le opere che interessano esclusivamente le aree ricadenti nelle zone 2, entro sessanta giorni dalla ricezione della documentazione richiesta, completa in ogni sua parte; tale termine potrà essere prorogato, per una sola volta, di ulteriori trenta giorni per necessità di istruttoria; decorsi i predetti termini, l’autorizzazione si intende rilasciata".

Va poi tenuto presente il punto 1.8 (intitolato: "Zone agricole") del punto 1 ("Piano regolatore generale") del Titolo II (Direttive – Parametri di pianificazione), allegato alla l. r. Campania del 20.3.1982, n. 14 ("Indirizzi programmatici e direttive fondamentali relative all’esercizio delle funzioni delegate in materia di urbanistica, ai sensi dell’art. 1, secondo comma, della l. r. 1 settembre 1981, n. 65"), il cui ultimo capoverso (espressamente richiamato nel provvedimento impugnato) recita: "Nelle zone agricole la concessione ad edificare per le residenze può essere rilasciata per la conduzione del fondo esclusivamente ai proprietari coltivatori diretti, proprietari conduttori in economia, ovvero ai proprietari concedenti, nonché agli affittuari o mezzadri aventi diritto a sostituirsi al proprietario nell’esecuzione delle opere e considerati imprenditori agricoli a titolo principale ai sensi dell’art. 12 della L. 9 maggio 1975, n. 153".

Infine l’art. 2 ("Zone territoriali omogenee") del D. M. 4.02.1968, n. 1444, stabilisce, per quanto qui rileva, che: "Sono considerate zone territoriali omogenee, ai sensi e per gli effetti dell’art. 17 della legge 6 agosto 1967, n. 765: (…) E) le parti del territorio destinate ad usi agricoli, escluse quelle in cui – fermo restando il carattere agricolo delle stesse – il frazionamento delle proprietà richieda insediamenti da considerare come zone C)", nelle quali zone agricole è prescritta, per le abitazioni, la massima densità fondiaria di mc. 0,03 per mq. (ex art. 7 comma 1, n. 4, dello stesso D. M. 4.02.1968, n. 1444).

Ciò posto, rileva il Tribunale che il ricorso è meritevole di accoglimento.

In particolare, carattere decisivo ed assorbente rivestono le censure, rubricate sub 1), 2) e 3) dell’atto introduttivo del giudizio.

Devono ritenersi, anzitutto, fondate le doglianze, rubricate sub 1) e 2), con cui sono state denunziate la violazione della citata l. r. n. 14/1982 (nonché del d. P. R. 5 giugno 1995 e del D. M. n. 1444/1968), oltre che l’eccesso di potere per illogicità, manifesta irrazionalità e difetto di motivazione, ed ancora i vizi di carenza assoluta di potere e difetto di competenza.

In dette censure, in particolare, sono contestate le affermazioni, contenute nel provvedimento impugnato (nota prot. 6816 del 13.05.2009, a firma del Responsabile del Servizio e del Responsabile di Area dell’Ente Parco del Cilento e del Vallo di Diano), secondo le quali sarebbe necessario che il fondo agricolo, su cui è destinato a ricadere il realizzando immobile, sia coltivato, laddove non sarebbe sufficiente che il fondo sia stato, in passato, oggetto di coltivazione, e neppure che sia stato stipulato un accordo con un imprenditore agricolo, che abbia dichiarato di voler coltivare il terreno, che si richiede di trasformare.

Secondo l’Ente Parco, infatti, "la legge impone che il fondo venga coltivato oggi da colui che richiede di trasformare il terreno", condizione della quale "si deve dare dimostrazione".

Le articolate doglianze svolte in ricorso, più specificamente, sono condivisibili, posto che, sotto un primo profilo, la norma di legge regionale si limita in realtà a fissare, nell’ambito degli "indirizzi programmatici e direttive fondamentali relative all’esercizio delle funzioni delegate in materia di urbanistica", le "direttive" e i "parametri di pianificazione" cui gli enti delegati dovranno attenersi, in sede di redazione del P. R. G., in zona agricola.

È corretta, quindi, l’affermazione contenuta in ricorso, secondo cui la stessa norma assume una valenza chiaramente programmatica, rivolgendosi agli enti delegati, nell’esercizio delle loro competenze di pianificazione urbanistico – edilizia, e non potendo, quindi, la stessa, essere acriticamente richiamata, al fine di pretendere, per la realizzazione di interventi edilizi in zona agricola, condizioni ulteriori, rispetto a quelle che derivano dall’applicazione della disciplina, a tal fine dettata nella stessa legge e nello strumento urbanistico (in conformità a tali direttive) approvato (prime fra tutte, gli indici di edificabilità di tali zone omogenee).

Orbene, la condizione, pretesa dall’Ente Parco ai fini del rilascio di un titolo edilizio in zona agricola, consistente nell’attuale coltivazione del fondo (coltivazione per di più riferibile, secondo la P. A., esclusivamente a colui che richiede il permesso di costruire) non è ricavabile, "sic et simpliciter", dalla prefata norma di legge regionale.

La stessa norma, infatti (in disparte la sua evidenziata natura programmatica), stabilisce che nelle zone agricole la concessione ad edificare per le residenze può essere rilasciata, per la conduzione del fondo, esclusivamente ai proprietari coltivatori diretti, proprietari conduttori in economia, ovvero ai proprietari concedenti, nonché agli affittuari o mezzadri aventi diritto a sostituirsi al proprietario nell’esecuzione delle opere e considerati imprenditori agricoli a titolo principale ai sensi dell’art. 12 della L. 9 maggio 1975, n. 153: quindi ad un novero di figure soggettive, certamente più ampio ed articolato, di quanto pretenderebbe l’Amministrazione.

Per l’Ente Parco, infatti, l’unico soggetto, legittimato a chiedere il p. di c. per una nuova costruzione, in zona "E’, s’identificherebbe, giusta quanto si ricava dalla lettura del provvedimento impugnato, soltanto nel proprietario del fondo, che sia anche coltivatore del medesimo.

Laddove, nella specie, la ricorrente ha – dapprima – rappresentato alla P. A., nel corso del procedimento (con le osservazioni, rassegnate all’Ente Parco, dopo la ricezione del preavviso di diniego), ed ha, quindi, dimostrato in giudizio, le circostanze: a) della vocazione agricolo – produttiva del fondo "de quo" (seminativo, pianeggiante, dotato di buon grado di fertilità e particolarmente adatto alle colture arboree ed ortive); b) della sua effettiva coltivazione in passato (cfr. la nota di trascrizione dell’atto pubblico di compravendita del terreno in questione, da cui si ricava che lo stesso era stato occupato, per raccolto stagionale, fino al 31 ottobre 2008); c) della necessità di dotare lo stesso di un ricovero, per attrezzi e mezzi agricoli (mediante la produzione di perizia agronomica giurata, a firma del perito agrario Umberto Di Pasquale, in atti); d) della sua volontà di concedere lo stesso terreno al titolare di un’azienda agricola (tale Spinelli Carmine), perché lo stesso lo coltivi, in regime di colonia parziaria (cfr. la dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà, a firma dello stesso Spinelli, in atti).

Ben si vede, allora, come la ricorrente assuma, evidentemente, rispetto al fondo "de quo", lo "status" di "proprietario concedente", che pacificamente la legittima, secondo la stessa disciplina di fonte legislativa, tenuta presente dall’Ente Parco, a richiedere un permesso di costruire in zona agricola.

Ma c’è di più.

Risulta, altresì, fondata la doglianza rubricata sub 3), di violazione del D. M. 1444/68 e delle l. 765/67 e 1150/42, nonché d’eccesso di potere per illogicità, manifesta irrazionalità e difetto di motivazione.

In essa è censurata l’affermazione, pure contenuta nel provvedimento impugnato, secondo la quale le zone agricole "E’ sarebbero "escluse dal novero delle aree edificabili, essendo parti del territorio destinate esclusivamente ad usi agricoli, ex art. 2135 codice civile (D. M. 1444/1968 art. 2 zone territoriali omogenee zone E ex art. 17 legge 765/1967)".

In realtà, l’art. 2 ("Zone territoriali omogenee") del D. M. 4.02.1968, n. 1444, stabilisce, per quanto qui rileva, che: "Sono considerate zone territoriali omogenee, ai sensi e per gli effetti dell’art. 17 della legge 6 agosto 1967, n. 765: (…) E) le parti del territorio destinate ad usi agricoli (…)", nelle quali zone agricole è prescritta, per le abitazioni, la massima densità fondiaria di mc. 0,03 per mq. (ex art. 7 comma 1, n. 4, dello stesso D. M. 4.02.1968, n. 1444); quanto alla legge regionale Campania n. 14/1982 ("Indirizzi programmatici e direttive fondamentali relative all’esercizio delle funzioni delegate in materia di urbanistica, ai sensi dell’art. 1, secondo comma, della l. r. 1 settembre 1981, n. 65) il citato punto 1.8 del titolo II (Direttive – Parametri di pianificazione) stabilisce, tra l’altro, l’indice di fabbricabilità fondiaria delle zone agricole, differenziato a seconda che si tratti di aree boschive, pascolive e incolte, aree seminative ed a frutteto ovvero aree seminative irrigue con colture pregiate ed orti a produzione ciclica intensiva, precisando che nel computo dei volumi abitativi di cui sopra non sono da conteggiarsi le stalle, i silos, i magazzini e i locali per la lavorazione dei prodotti agricoli, in funzione della conduzione del fondo e delle sue caratteristiche colturali e aziendali documentate, nonché gli impianti per la raccolta e la lavorazione dei prodotti lattiero – caseari, stabilendo che per tali realizzazioni possono essere stabiliti indici di fabbricabilità territoriale rispetto al fondo, non maggiori di 0,10 mc/mq; segue poi la precisazione, secondo cui nelle zone agricole la concessione ad edificare per le residenze può essere rilasciata per la conduzione del fondo esclusivamente ai proprietari coltivatori diretti, proprietari conduttori in economia, ovvero ai proprietari concedenti, nonché agli affittuari o mezzadri aventi diritto a sostituirsi al proprietario nell’esecuzione delle opere e considerati imprenditori agricoli titolo principale ai sensi dell’art. 12 della l. 9 maggio 1975, n. 153.

La normativa, di fonte statale e regionale, è quindi, relativamente alle possibilità di edificazione in zona agricola, ovviamente assai più articolata di quanto parrebbe risultare dall’incondizionata affermazione, contenuta nel provvedimento dell’Ente Parco, di cui sopra, consentendo l’edificazione nelle zone agricole nel rispetto dei limiti soggettivi ed oggettivi e dei parametri di edificabilità che, stabiliti in via generale dalla legge, sono destinati a trovare poi specificazione negli strumenti urbanistici generali e nelle relative norme di attuazione.

Che si possa edificare in zona agricola, sia pur nel rispetto delle prefate condizioni, è del resto un risultato pacificamente acquisito in giurisprudenza, com’è fatto palese, "ex multis", dalla seguente massima: "Nella divisione in zone del territorio comunale, operata dallo strumento urbanistico generale, la destinazione agricola di una zona non coincide con l’effettiva coltivazione dei relativi fondi, ma ha spesso la finalità di evitare ulteriori espansioni degli insediamenti e significa in tal caso che la zona stessa deve essere conservata a verde; per tale ragione, non sempre e comunque esclusi sono gli interventi diversi da quelli strettamente funzionali all’attività agricola ed alla eventuale esigenza dell’imprenditore agricolo di risiedere sul fondo, come ad esempio la realizzazione di opere che, non pregiudicando l’assetto territoriale agricolo, non possano tuttavia essere convenientemente collocate in altre zone, ovvero la realizzazione di opere che siano pertinenziali o funzionali agli insediamenti ed all’economia dell’area e che comunque si inseriscano senza turbare o alterare la destinazione in atto. La zonizzazione agricola assume quindi un carattere residuale, salvo l’esistenza di un espresso divieto nello strumento urbanistico che prescriva l’utilizzo produttivo agricolo in via esclusiva, salvaguardando espressamente la relativa vocazione" (T. A. R. Trentino Alto Adige Trento, sez. I, 19 giugno 2008, n. 152).

In realtà, con l’affermazione di cui sopra l’Ente Parco – come risulta dalla successiva specificazione, contenuta sempre nel testo del provvedimento impugnato, voleva in realtà intendere "che la facoltà di edificare fabbricati rurali in zona agricola "E’ è condizionata al sussistere di specifici requisiti (conduzione del fondo) che hanno natura concorrente ed inderogabile e cioè sia soggettiva che oggettiva, in carenza dei quali il principio di "inedificabilità legale", vigente per tali aree, non subisce alcuna attenuazione ".

Si ritorna, cioè, a null’altro che alla motivazione, fondata sull’asserita carenza, in capo alla ricorrente, dei requisiti necessari per l’edificazione in zona agricola, della quale s’è dimostrata, in precedenza, l’inapplicabilità nella specie.

Resta, soltanto, da esaminare l’ulteriore affermazione, contenuta nel diniego, oggetto d’impugnazione, secondo cui le dimensioni del lotto non sarebbero tali da giustificare in alcun modo il domicilio, "in situ", del coltivatore in economia, né la necessità di avere sul posto gli annessi (rectius: arnesi) agricoli proposti dal progetto di siffatte dimensioni"; detta affermazione, in realtà, è compresa nella nota, prot. n. 5008 del 10.04.09, a firma congiunta del Responsabile del Procedimento, del Responsabile del Servizio e del Responsabile dell’Area, recante la comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento della richiesta autorizzatoria sub a); la stessa, peraltro, contribuisce ad integrare il compendio motivazionale del provvedimento gravato, in virtù dell’espresso richiamo, contenuto nella parte conclusiva del medesimo.

Alla confutazione di tale argomento sono, in particolare, dedicati i motivi di ricorso, rubricati sub 5) e 7), i quali colgono nel segno, nella misura in cui stigmatizzano lo sconfinamento, da parte dell’autorità tutoria, in un ambito (quello delle dimensioni del lotto, in rapporto alle necessità del "coltivatore in economia"), rientrante nella sfera dell’autonoma organizzazione aziendale del proprietario concedente ed evidentemente estraneo alle finalità (consistenti nell’assicurare la conservazione di specie animali o vegetali, di associazioni vegetali o forestali, di singolarità geologiche, di formazioni paleontologiche, di comunità biologiche, di biotopi, di valori scenici e panoramici, di processi naturali, di equilibri idraulici ed idrogeologici, di equilibri ecologici) connesse all’intervento dell’Ente Parco, ex art. 2 delle misure di salvaguardia riportate nell’allegato A) al d. P. R. 5.06.1995.

Inoltre la stessa ricorrente ha posto in risalto come l’intervento proposto non sfrutti che parzialmente (per poco più della metà) le potenzialità edificatorie del fondo, onde anche sotto tale profilo l’opposto argomento si rivela incongruo.

In conformità alle superiori considerazioni, il ricorso va accolto, con conseguente annullamento degli atti impugnati.

Sussistono peraltro, per la complessità delle questioni decise, giustificati motivi per compensare integralmente, tra le parti, le spese e le competenze di giudizio.
P.Q.M.

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, l’accoglie, e per l’effetto annulla i provvedimenti impugnati.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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