T.A.R. Lazio Roma Sez. I, Sent., 17-02-2011, n. 1523 Questioni di legittimità costituzionale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Premette in fatto la Federazione odierna ricorrente che con Delibera del Commissario Delegato ex O.P.C.M. n. 3812 del 22 settembre 2009 – Assessore Provinciale all’Ambiente della Provincia di Avellino, è stata costituita la società provinciale dei rifiuti denominata "I. S.p.a.’, alla quale, con la gravata Delibera Commissariale n. 4 del 30 dicembre 2009, è stata affidata in house la gestione del ciclo integrato dei rifiuti nella dichiarata finalità del perseguimento della missione affidata alla Provincia dalla Legge Regionale della Campania n. 4 del 2007, dalle O.P.C.M. 12 marzo 2009 n. 3478 e 28 maggio 2009 n. 3775 e dal Decreto Legge recante norme urgenti per la cessazione dello stato di emergenza in materia rifiuti nella Regione Campania, in corso di pubblicazione alla data di adozione di detta delibera (e pubblicato in data 30 dicembre 2009 recante il n. 195).

Avverso tale delibera deduce parte ricorrente i seguenti motivi di censura:

I – Violazione e falsa applicazione dell’art. 23 bis del Decreto Legge n. 112 del 2008, convertito in legge, con modificazioni, con legge n. 133 del 2008; Eccesso di potere per illogicità e contraddittorietà della motivazione; Sviamento; Violazione dell’art. 97 della Costituzione e dei principi di imparzialità, buon andamento e trasparenza dell’azione amministrativa; Violazione delle norme e dei principi in tema di procedure di evidenza pubblica; Arbitrarietà; Perplessità.

In via preliminare, si sofferma parte ricorrente sulla propria legittimazione ad agire in quanto rappresentativa, nell’ambito di Confindustria, del settore dei servizi privati alla collettività ed alle imprese, con attuale rappresentanza di circa 800 aziende, come tale legittimata alla tutela attiva di interessi collettivi in rappresentanza delle stesse e, quindi, alla proposizione del ricorso avverso la gravata delibera in quanto lesiva di interessi della categoria per effetto della sottrazione al mercato ed alla libera concorrenza dei servizi per la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti nella Provincia di Avellino.

Deduce, quindi, parte ricorrente, la violazione dell’art. 23 bis del Decreto Legge n. 112 del 2008 che, per sua espressa previsione, prevale su ogni altra disciplina di settore incompatibile, e che, nel modificare la disciplina sull’affidamento dei servizi pubblici locali di rilevanza economica, introduce rilevanti restrizioni alla possibilità di ricorso all’in house providing, che vieve consentita solo in circostanze eccezionali previa adeguata pubblicità della scelta e analisi del mercato che ne evidenzi i relativi presupposti, prevedendo l’obbligo di trasmissione di apposita relazione all’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato ed alle Autorità di regolazione, al fine di acquisirne il necessario parere.

In particolare, sostiene parte ricorrente che il contestato affidamento in house sia stato disposto in assenza di qualsivoglia indagine di mercato, in violazione dell’obbligo di trasmissione degli atti all’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato ed alle Autorità di regolazione ai fini del rilascio del prescritto parere, risolvendosi tale affidamento in una violazione del principio di legalità, di tutela della concorrenza e del mercato, nonché dell’art. 23 bis del Decreto Legge n. 112 del 2008 che limita la possibilità di affidamento in house alle sole situazioni di carattere eccezionale – nella specie asseritamente insussistenti – che non consentano il ricorso al mercato, da interpretarsi in senso restrittivo in quanto derogatoria alle regole comunitarie imperniate sul modello di competizione aperta.

II – Violazione e falsa applicazione dell’art. 23 bis del Decreto Legge n. 112 del 2008, convertito in legge, con modificazioni, con legge n. 133 del 2008; Violazione e falsa applicazione dell’art. 20 della Legge Regionale della Regione Campania n. 4 del 2007; Eccesso di potere per errore nei presupposti; Violazione e falsa applicazione dell’art. 202 del D.Lgs. n. 152 del 2006 e delle norme e dei principi in tema di procedure ad evidenza pubblica; Eccesso di potere per illogicità e contraddittorietà della motivazione; Sviamento; Violazione dell’art. 97 della Costituzione e dei principi di imparzialità, buon andamento e trasparenza dell’azione amministrativa; Arbitrarietà; Perplessità.

Nel precisare parte ricorrente che la gravata delibera è stata adottata al dichiarato fine del perseguimento della missione affidata alla Provincia dalla Legge Regionale della Regione Campania n. 4 del 2007, deduce l’intervenuta violazione di tale normativa ricordando che il relativo art. 20 è stato dichiarato costituzionalmente illegittimo dalla Corte Costituzionale, con sentenza n. 314 del 2007, nella parte in cui riserva solo a soggetti a totale o prevalente capitale pubblico l’affidamento del servizio di gestione integrata dei rifiuti, con la conseguenza che il servizio di gestione del ciclo integrato dei rifiuti nella Provincia avrebbe dovuto essere affidato mediante pubblica gara aperta a tutti i soggetti sia pubblici che privati in possesso dei necessari requisiti, dovendo tale servizio, sulla base delle disposizioni dettate dal D.Lgs. n. 152 del 2006, essere esternalizzata.

Sarebbero quindi inconferenti, secondo parte ricorrente, le argomentazioni poste a base del contestato affidamento del servizio in house, adottato altresì in violazione dell’art. 113 del D.Lgs. n. 267 del 2000.

Né, secondo parte ricorrente, tale affidamento potrebbe trovare valido fondamento nelle disposizioni dettate dal Decreto Legge n. 195 del 2009, il quale si limiterebbe a conferire alle Amministrazioni Provinciali, fino al 31 settembre 2010, compiti di mera programmazione del servizio di gestione dei rifiuti, consentendo alle stesse, solo in casi particolari ed allo scopo di evitare soluzioni di continuità nella gestione commissariale, di subentrare nei contratti in corso anche per il tramite delle società provinciali.

Afferma, ancora, parte ricorrente, che il contestato affidamento, oltre ad essere a tempo indeterminato, nel dare luogo al subingresso della società provinciale alla precedente gestione affidata alle Amministrazioni Comunali, contrasterebbe con la richiamata normativa di cui al Decreto Legge n. 195 che consente il subingresso delle società provinciali solo nelle ipotesi di contratti in corso con la struttura commissariale, valendo solo per esse l’esigenza di continuità nella gestione.

La gravata delibera sarebbe, altresì, illegittima per aver stabilito l’affidamento del servizio fino al 2060, laddove la Provincia è competente solo fino al 30 dicembre 2010.

III – Violazione e falsa applicazione dell’art. 23 bis del Decreto Legge n. 112 del 2008, convertito in legge, con modificazioni, con legge n. 133 del 2008, in ordine al requisito del controllo analogo; Violazione dell’art. 97 della Costituzione e dei principi di imparzialità, buon andamento e trasparenza dell’azione amministrativa; Violazione e falsa applicazione delle norme e dei principi in tema di procedure ad evidenza pubblica; Arbitrarietà; Perplessità.

Ravvisa parte ricorrente un ulteriore profilo di illegittimità della gravata delibera per mancanza di uno dei requisiti richiesti per l’affidamento in house, costituito dal controllo analogo a quello svolto dall’ente pubblico sui propri servizi, come delineato dalla giurisprudenza amministrativa e comunitaria, affermando altresì, sulla base dell’esame degli artt. 24 e 4 dello Statuto della società affidataria I. S.p.a., l’ontologica natura commerciale della stessa come ricavabile dall’ampliamento dell’oggetto sociale, che renderebbe altresì precario il controllo dell’ente pubblico, e la mancanza del requisito che richiede la realizzazione della parte più importante dell’attività della società con l’ente che la controlla., rendendo tale società attiva sul mercato con alterazione delle regole concorrenziali.

L’art. 24 dello Statuto recherebbe, inoltre, quanto al controllo analogo, mere affermazioni di principio, non essendo prevista alcuna concreta modalità per la sua concreta attuazione, come emergerebbe anche alla luce delle previsioni di cui all’art. 16 dello Statuto, che concentra sull’organo amministrativo, di esclusiva espressione della società, i poteri di gestione ordinaria e straordinaria.

IV – Nullità del provvedimento per carenza assoluta di potere; Violazione dell’art. 24 della Costituzione; Violazione dell’art. 97 della Costituzione e dei principi di imparzialità, buon andamento e trasparenza dell’azione amministrativa; Ingiustizia ed irragionevolezza manifeste; Arbitrarietà; Perplessità; Apoditticità.

La gravata delibera, in quanto adottata sulla base del decreto legge recante norme urgenti per la cessazione dello stato di emergenza in materia rifiuti nella Regione Campania, in corso di pubblicazione alla data di adozione di detta delibera, sarebbe nullo per carenza assoluta di potere, non essendo il citato decreto legge – attributivo del potere esercitato – ancora pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale al momento di adozione della delibera.

Si sarebbe in tal modo violato l’art. 24 della Costituzione per effetto della preordinazione della situazione di fatto lesiva del diritto di difesa delle aziende del settore aventi interesse all’affidamento del servizio mediante procedura ad evidenza pubblica.

Solleva, inoltre, parte ricorrente, questione di illegittimità costituzionale dell’art. 11 del Decreto Legge n. 195 del 2009 per contrasto con gli artt. 5, 117, 118 e 97 della Costituzione laddove interpretato nel senso di consentire l’adozione di provvedimenti di attribuzione in via diretta alle società provinciali del servizio di gestione integrata dei rifiuti perpetuando deroghe alle norme ed ai principi in tema di affidamento degli appalti pubblici non più giustificate dalla sussistenza di uno stato di emergenza.

Sostiene in proposito parte ricorrente che la cessazione dello stato di emergenza comporti il ripristino dei poteri ordinari e delle comuni regole, risultando ingiustificata la sottrazione delle determinazioni in materia di rifiuti all’organo assembleare e all’organo esecutivo della Provincia e l’imposizione ai Comuni di scelte effettuate dalla Province, quest’ultima in contrasto con l’art. 97 della Costituzione e con i principi di autonomia e sussidiarietà di cui agli artt. 5, 117 e 118 della Costituzione.

Si sono costituiti in resistenza la Presidenza del Consiglio dei Ministri ed il Commissario Delegato – Assessore Provinciale all’Ambiente della Provincia di Avellino, delegato ex O.P.C.M. n. 3812 del 22 settembre 2009, sostenendo l’infondatezza delle censure proposte con il ricorso sulla base della ricognizione della normativa di riferimento cui ascrivere la fattispecie, chiedendone il rigetto.

Si è costituita in resistenza la Provincia di Avellino, eccependo, in via preliminare, l’inammissibilità del ricorso per difetto di legittimazione attiva di parte ricorrente.

Sostiene inoltre l’Amministrazione Provinciale, quanto al merito delle censure ricorsuali proposte, la loro infondatezza, affermando la riconducibilità della gravata delibera alla disciplina derogatoria di cui all’art. 11 del Decreto Legge n. 195 del 2009, che non prescrive alcuna formalità procedimentale per l’affidamento in house e che, in quanto norma speciale e successiva all’art. 23 bis del Decreto Legge n. 112 del 2008, prevarrebbe sullo stesso.

Peraltro, la motivazione e la pubblicità della scelta sarebbero contenute, secondo parte resistente, nella deliberazione del Consiglio Provinciale n. 45 del 27 novembre 2009, che darebbe pienamente conto delle ragioni giustificatrici dell’affidamento in house del servizio in relazione alle peculiari caratteristiche di cui all’art. 23 bis di cui si lamenta l’intervenuta violazione, così risultando adempiute le prescrizioni cui la ivi prevista deroga è subordinata.

Quanto alla trasmissione della relazione all’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato ai fini del rilascio del prescritto parere afferma l’Amministrazione Provinciale che la stessa deve avvenire contestualmente alla scelta.

Quanto al secondo motivo di censura, sostiene parte ricorrente che l’art. 20 della legge regionale della regione Campania è stato ritenuto incostituzionale solo nella parte in cui prevedeva l’affidamento esclusivamente ad un soggetto a totale o prevalente capitale pubblico del servizio, non potendo quindi ritenersi precluso l’affidamento in house, previsto dall’art. 202 del D.Lgs. n. 152 del 2006 e dall’art. 113 del D.Lgs. n. 267 del 2000.

Inoltre, l’art. 11 del Decreto Legge n. 195 del 2009 attribuisce ai Presidenti delle Province della Regione Campania le funzioni ed i compiti di programmazione del servizio di gestione integrata dei rifiuti sino al 30 settembre 2010.

Afferma ancora parte resistente la sussistenza dei necessari requisiti per potersi procedere alla gestione del servizio in house, come evincibile sulla base delle disposizioni dell’atto costitutivo e dello statuto della I. S.p.a..

Con riferimento al quarto motivo di censura, sostiene l’Amministrazione Provinciale che i poteri esercitati dal Commissario Delegato sono stati conferiti con O.P.C.M. n. 3812 del 22 settembre 2009 e che comunque il Decreto Legge n. 195 del 2009 è entrato in vigore il 30 dicembre 2009, ovvero alla data di adozione della gravata delibera.

Afferma, infine, la pretestuosità ed infondatezza dei rilievi circa l’illegittimità costituzionale del Decreto Legge n. 195 del 2009.

Con ricorso per motivi aggiunti, depositato in data 19 febbraio 2010, parte ricorrente ha impugnato la delibera del Commissario Delegato n. 7 del 31 dicembre 2009, avente contenuto ricognitivo e confermativo della delibera n. 4 del 2009 alla luce della pubblicazione del decreto legge n. 195 del 2009, riproponendo i motivi di censura già sollevati con il ricorso introduttivo del giudizio.

Si è costituita in giudizio anche la società provinciale I. S.p.a. la quale, anche con successive memorie, ha eccepito l’improcedibilità del ricorso per mancata impugnazione della delibera n. 7 del 31 dicembre 2010 e sostenendo, con articolate controdeduzioni, l’infondatezza del ricorso con richiesta di corrispondente pronuncia.

Con memoria successivamente depositata parte ricorrente ha replicato a quanto ex adverso sostenuto, insistendo nelle proprie deduzioni ed ulteriormente argomentando.

Alla pubblica udienza del 26 gennaio 2011 la causa è stata chiamata e trattenuta per la decisione, come da verbale.
Motivi della decisione

Con il ricorso in esame è proposta azione impugnatoria avverso la delibera n. 4 del 30 dicembre 2009, adottata dal Commissario Delegato ex O.P.C.M. n. 3812 del 22 settembre 2009 – Assessore Provinciale all’Ambiente della Provincia di Avellino, recante l’affidamento della gestione del ciclo integrato dei rifiuti alla società I. S.p.a. – costituita dal Commissario Delegato con delibera n. 2 del 23 dicembre 2009 – nella dichiarata finalità del perseguimento della missione affidata alla Provincia dalla Legge Regionale della Campania n. 4 del 2007, dalle O.P.C.M. 12 marzo 2009 n. 3478 e 28 maggio 2009 n. 3775 e dal Decreto Legge recante norme urgenti per la cessazione dello stato di emergenza in materia rifiuti nella Regione Campania, in corso di pubblicazione alla data di adozione di detta delibera (e pubblicato in data 30 dicembre 2009 recante il n. 195).

Con ricorso per motivi aggiunti è, altresì, impugnata la delibera del Commissario Delegato n. 7 del 31 dicembre 2009, avente contenuto ricognitivo e confermativo della delibera n. 4 del 2009 alla luce della pubblicazione del Decreto Legge n. 195 del 2009, avverso la quale vengono riproposti i motivi di censura già sollevati con il ricorso introduttivo del giudizio.

L’impianto ricorsuale, come delineato dalle proposte censure, è volto a lamentare l’illegittimità dell’utilizzo, da parte del Commissario Delegato, dello strumento dell’affidamento in house alla società provinciale I. S.p.a., all’uopo costituita, per la gestione del ciclo integrato dei rifiuti nella Provincia di Avellino, in quanto effettuato in asserita violazione dell’art. 23 bis del Decreto Legge n. 112 del 2008, convertito in legge con modificazioni con legge n. 133 del 2008, il quale, nel prevalere per sua espressa previsione su ogni altra disciplina di settore incompatibile, consente l’affidamento in house dei servizi pubblici locali di rilevanza economica solo in circostanze eccezionali – nella specie asseritamente non sussistenti – con imposizione di oneri procedurali, quali l’adeguata pubblicità della scelta, l’analisi del mercato che ne evidenzi i relativi presupposti, la trasmissione di apposita relazione all’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato ed alle Autorità di regolazione, al fine di acquisirne il necessario parere, non adempiuti dal Commissario Delegato.

Sotto altro profilo, denuncia parte ricorrente l’illegittimità della gravata delibera in quanto adottata al fine del perseguimento della missione affidata alla Provincia dalla Legge Regionale della Regione Campania n. 4 del 2007, il cui art. 20 è stato però dichiarato costituzionalmente illegittimo dalla Corte Costituzionale con sentenza n. 314 del 2007 nella parte in cui riserva solo a soggetti a totale o prevalente capitale pubblico da costituire l’affidamento del servizio di gestione integrata dei rifiuti, con la conseguenza che il servizio di gestione del ciclo integrato dei rifiuti nella Provincia avrebbe dovuto essere affidato mediante pubblica gara aperta a tutti i soggetti, sia pubblici che privati, in possesso dei necessari requisiti.

Ancora, il contestato affidamento, posto in violazione dei principi comunitari e nazionali di libera concorrenza, non potrebbe trovare – secondo parte ricorrente – valido fondamento nelle disposizioni dettate dal Decreto Legge n. 195 del 2009, il quale si limiterebbe a conferire alle Amministrazioni Provinciali, fino al 31 settembre 2010, compiti di mera programmazione del servizio di gestione dei rifiuti, consentendo, in casi particolari, il subingresso delle Amministrazioni provinciali solo nei contratti in corso con la gestione commissariale, e non in quelli affidati alle Amministrazioni comunali.

Mancherebbero, inoltre, i requisiti necessari per la gestione del servizio in house providing consistenti nel controllo analogo a quello svolto dall’ente pubblico sui propri servizi, nella natura non commerciale dell’attività e nella realizzazione della parte più importante dell’attività della società affidataria con l’ente che la controlla.

Nel denunciare, infine, la nullità della gravata delibera per carenza assoluta di potere, non essendo stato il decreto legge ivi richiamato, attributivo del potere esercitato, ancora pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale al momento di adozione della delibera, solleva parte ricorrente questione di illegittimità costituzionale dell’art. 11 di tale decreto legge, recante la data 30 dicembre 2009, n. 195, per contrasto con gli artt. 5, 117, 118 e 97 della Costituzione laddove interpretato nel senso di consentire l’adozione di provvedimenti di attribuzione in via diretta alle società provinciali del servizio di gestione integrata dei rifiuti successivamente alla cessazione dello stato di emergenza, con ingiustificata sottrazione delle determinazioni in materia di rifiuti all’organo assembleare e all’organo esecutivo della Provincia e l’imposizione ai Comuni di scelte effettuate dalla Province, in violazione dei principi di buon andamento, di autonomia e di sussidiarietà.

Così sinteticamente riferito l’oggetto del giudizio in esame, il Collegio è chiamato, in via preliminare, ad esaminare la questione inerente la legittimazione attiva della Federazione di Imprese ricorrente, oggetto di specifica eccezione sollevata dalla Provincia di Avellino.

Parte ricorrente riconduce la propria affermata legittimazione ad agire alla rappresentanza, nell’ambito di Confindustria, del settore dei servizi privati alla collettività ed alle imprese, con attuale adesione di circa 800 aziende, che la legittimerebbe alla tutela attiva di interessi collettivi in rappresentanza delle stesse e, quindi, alla proposizione del ricorso avverso la gravata delibera in quanto lesiva di interessi della categoria per effetto della sottrazione al mercato ed alla libera concorrenza dei servizi per la raccolta e smaltimento rifiuti nella Provincia di Avellino.

L’Amministrazione Provinciale resistente contesta siffatta legittimazione attiva sull’assunto che l’interesse ad operare in un mercato libero non integrerebbe una posizione di diritto soggettivo o di interesse legittimo suscettibile di tutela giurisdizionale.

La proposta eccezione, a giudizio del Collegio, è agevolmente superabile attraverso il richiamo ai principi, consolidati in giurisprudenza, in base ai quali deve riconoscersi la sussistenza della legittimazione ad agire a quelle associazioni di categoria rappresentative degli interessi unitari della stessa che si assumono ingiustamente lesi da provvedimenti amministrativi e che sono, pertanto, suscettibili come tali di tutela in sede giudiziaria.

Difatti, le associazioni di settore sono legittimate a difendere in sede giurisdizionale gli interessi di categoria dei soggetti di cui hanno la rappresentanza istituzionale o di fatto allorquando venga in rilievo la violazione di norme poste a tutela della categoria stessa o si tratti di perseguire comunque dei vantaggi, sia pure di carattere strumentale, riferibili alla sfera della categoria, con l’unico limite derivante dal divieto di occuparsi di questioni concernenti i singoli iscritti ovvero capaci di dividere la categoria in posizione disomogenee (ex plurimis: Consiglio di Stato, Sez. III, 26 ottobre 2009, n. 2549).

L’interesse collettivo, da identificarsi con l’interesse di tutti gli appartenenti alla categoria unitariamente considerata, è quindi suscettibile di tutela attraverso l’associazione che lo rappresenta, legittimata in quanto ente esponenziale ad agire in giudizio avverso i provvedimenti lesivi degli interessi riconducibili alla categoria di cui ha la rappresentanza, in quanto idonei a interferire con specificità e immediatezza sulla posizione della categoria, nella misura in cui si fa portatrice degli interessi della categoria.

Calando le suesposte coordinate di riferimento alla fattispecie in esame, deve riconoscersi la legittimazione ad agire in capo alla Federazione ricorrente in quanto rappresentativa – come da relativo Statuto – degli interessi di carattere generale e collettivo dei soci rispetto ai quali il gravato provvedimento risulta suscettibile di arrecare pregiudizio per effetto della sottrazione al procedimento ad evidenza pubblica, cui i soci in modo indifferenziato potrebbero partecipare, del settore della gestione del ciclo integrato dei rifiuti in una intera Provincia.

Inoltre, il tenore delle censure proposte, che investono anche profili più generali e di carattere ordinamentale anche per effetto dei sollevati dubbi di legittimità costituzionale della normativa applicata, attesta l’emersione di un interesse collettivo connesso al pregiudizio derivante dal meccanismo dell’affidamento in house applicabile all’intera Regione Campania sulla base del decreto legge n. 195 del 2009 relativamente alla gestione dei servizi per la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti, suscettibile quindi di ledere l’interesse della categoria – coincidente con quello ad accedere al mercato e a concorrere con le regole dell’evidenza pubblica – delle imprese operanti nel settore dei servizi, che vedono in tal modo preclusa la possibilità per ognuna di esse, in modo indifferenziato, di accedere a tale settore per il tramite di gare soggette alle ordinarie dinamiche concorrenziali, cosicché l’interesse tutelato in sede giurisdizionale è suscettibile di ledere la sfera giuridica degli interessi di riferimento della Federazione ricorrente ed è in grado di soddisfare, una volta realizzato, l’intera categoria a motivo della sua omogeneità ed indivisibilità.

La sottrazione di un settore al mercato che avrebbe potuto essere offerto in regime concorrenziale e consentire il confronto tra diversi operatori, ivi compresi i soggetti appartenenti alla categoria rappresentata dalla Federazione ricorrente, e la conseguente lamentata distorsione delle dinamiche concorrenziali, risulta pertanto suscettibile di ledere la sfera giuridica degli interessi di riferimento e legittimante l’azione all’ente rappresentativo della categoria.

Delibata, nel senso dianzi illustrato, l’infondatezza della esaminata eccezione e conseguentemente affermata la legittimazione della Federazione ricorrente ad agire in giudizio avverso il gravato provvedimento, la disamina dei motivi afferenti il merito della controversia transita, innanzitutto, attraverso l’individuazione della normativa di riferimento nel cui ambito di applicazione far ricadere la fattispecie in esame e rispetto alla quale condurre, quindi, il sollecitato vaglio di legittimità del contestato affidamento in house della gestione del servizio integrato dei rifiuti nella Provincia di Avellino.

Come sopra sinteticamente riferito, parte ricorrente riconduce un primo profilo di denunciata illegittimità delle gravate delibere – aventi ad oggetto l’affidamento in house della gestione del ciclo integrato dei rifiuti nella Provincia di Avellino, come confermato dalla delibera ricognitiva gravata da motivi aggiunti – alla violazione dell’art. 23 bis del Decreto Legge n. 112 del 2008, convertito in legge con modificazioni con legge n. 133 del 2008.

Laddove dovesse riconoscersi l’applicabilità, nella fattispecie, della disciplina dettata dalla citata norma, ritiene il Collegio che risulterebbero integrate le denunciate violazioni delle disposizioni ivi recate, e segnatamente l’omessa ottemperanza da parte dell’Amministrazione procedente di alcuni degli oneri procedimentali ivi previsti, quali la trasmissione di apposita relazione all’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato ed alle Autorità di regolazione al fine di acquisirne il prescritto parere, non adempiuti dal Commissario Delegato.

Ritiene, tuttavia, il Collegio, per le ragioni che si andranno ad esporre, che tale normativa non sia applicabile alla fattispecie in esame, la quale ricade invece nell’ambito di applicazione della disciplina speciale dettata dal Decreto Legge n. 195 del 2009.

A tale conclusione si perviene attraverso la disamina della portata della disciplina dettata dal citato art. 23 bis e di quella introdotta dal Decreto Legge n. 195 del 2009, sulla cui base delineare i rapporti intercorrenti tra le due normative al fine di individuare, alla stregua degli ordinari canoni interpretativi, la normativa prevalente applicabile nella fattispecie.

In tale prospettiva, va dunque precisato che l’art. 23 bis del Decreto Legge n. 112 del 2008 – recante disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria – convertito in legge con modificazioni con legge n. 133 del 2008, introduce disposizioni che, per espressa previsione di cui al comma 1, "si applicano a tutti i servizi pubblici locali e prevalgono sulle relative discipline di settore con esse incompatibili" e sono volte a disciplinare "l’affidamento e la gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica, in applicazione della disciplina comunitaria e al fine di favorire la più ampia diffusione dei principi di concorrenza, di libertà di stabilimento e di libera prestazione dei servizi di tutti gli operatori economici interessati alla gestione di servizi di interesse generale in ambito locale, nonché di garantire il diritto di tutti gli utenti alla universalità ed accessibilità dei servizi pubblici locali ed al livello essenziale delle prestazioni, ai sensi dell’articolo 117, secondo comma, lettere e) e m), della Costituzione, assicurando un adeguato livello di tutela degli utenti, secondo i principi di sussidiarietà, proporzionalità e leale cooperazione".

Il comma 2 di tale articolo detta una specifica disciplina per il conferimento della gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica il quale deve avvenire in via ordinaria (lettera a))"a favore di imprenditori o di società in qualunque forma costituite individuati mediante procedure competitive ad evidenza pubblica, nel rispetto dei principi del Trattato che istituisce la Comunità europea e dei principi generali relativi ai contratti pubblici e, in particolare, dei principi di economicità, efficacia, imparzialità, trasparenza, adeguata pubblicità, non discriminazione, parità di trattamento, mutuo riconoscimento, proporzionalità" oppure a favore di (lettera b))"società a partecipazione mista pubblica e privata, a condizione che la selezione del socio avvenga mediante procedure competitive ad evidenza pubblica, nel rispetto dei principi di cui alla lettera a), le quali abbiano ad oggetto, al tempo stesso, la qualità di socio e l’attribuzione di specifici compiti operativi connessi alla gestione del servizio e che al socio sia attribuita una partecipazione non inferiore al 40 per cento".

Alla prevista regola della gara pubblica – espressamente individuata quale modalità di affidamento ordinario della gestione dei servizi pubblici locali – sono, dal comma 3 dell’art. 23 bis in esame, introdotte deroghe solo per "situazioni eccezionali che, a causa di peculiari caratteristiche economiche, sociali, ambientali e geomorfologiche del contesto territoriale di riferimento, non permettono un efficace e utile ricorso al mercato".

Per tali ipotesi "l’affidamento può avvenire a favore di società a capitale interamente pubblico, partecipata dall’ente locale, che abbia i requisiti richiesti dall’ordinamento comunitario per la gestione cosiddetta "in house" e, comunque, nel rispetto dei principi della disciplina comunitaria in materia di controllo analogo sulla società e di prevalenza dell’attività svolta dalla stessa con l’ente o gli enti pubblici che la controllano".

Laddove ricorrano i presupposti per la deroga all’affidamento dei servizi pubblici di rilevanza economica tramite procedure competitive ad evidenza pubblica, impone il comma 4 dell’art. 23 bis determinati oneri procedurali laddove prevede che "l’ente affidante deve dare adeguata pubblicità alla scelta, motivandola in base ad un’analisi del mercato e contestualmente trasmettere una relazione contenente gli esiti della predetta verifica all’Autorità garante della concorrenza e del mercato e alle autorità di regolazione del settore, ove costituite, per l’espressione di un parere sui profili di competenza da rendere entro sessanta giorni dalla ricezione della predetta relazione.".

Emerge chiaramente, dalle descritte disposizioni, che l’art. 23 bis introduce una disciplina altamente innovativa nel quadro della tematica degli affidamenti in house, cui viene attribuito carattere di eccezionalità rispetto al normale affidamento previa gara, modificando significativamente la disciplina previgente e consentendo il ricorso all’affidamento in house solo in presenza – oltre che dei requisiti già individuati dalla giurisprudenza comunitaria ed interna, costituiti dalla totale partecipazione pubblica, dal cosiddetto controllo analogo, dalla rilevanza prevalente dell’attività svolta in house e relativi corollari – anche di eccezionali ragioni derivanti dal particolare contesto territoriale.

Principio di fondo della riforma è quello di favorire la più ampia diffusione dei principi di concorrenza, di libertà di stabilimento, di libera prestazione di servizi di tutti gli operatori economici interessati della gestione di servizi di interesse generale in ambito locale, con modalità tali da garantire il diritto di universalità e accessibilità di servizi per tutti gli utenti, nonché il livello essenziale delle prestazioni ai sensi dell’articolo 117 comma due lettere e) m) della Costituzione, definendo tale norma, coerentemente con lo spirito della riforma, una nuova disciplina di servizi pubblici locali a rilevanza economica finalizzata a un diverso assetto del settore, regolato da principi omogenei così da essere trasversale rispetto a quelle settoriali, soprattutto con riferimento al profilo dell’affidamento della gestione del servizio, che si impone su quelle di settore incompatibili stante la prevista generalizzata sua operatività e prevalenza, capovolgendo l’ottica cui si ispirava l’art. 113 del D.Lgs. n. 267 del 2000 – espressamente abrogato per le parti incompatibili dal comma 11 dell’art. 23 bis – che contemplava come modalità di gestione alternativa anche il sistema dell’in house providing (al comma 5, abrogato dal D.P.R. n. 168 del 2010, recante il regolamento adottato sulla base dell’art. 23 bis).

L’art. 23 bis realizza una liberalizzazione del mercato incidendo sui modelli di gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica, i quali, con la nuova disciplina normativa, devono, in via ordinaria, essere esternalizzati mediante pubblica gara e non possono essere oggetto di affidamenti in house se non in ipotesi eccezionali, espressamente disciplinate nei relativi presupposti, previo esperimento di una particolare procedura aggravata articolata su accertamenti preventivi e pareri obbligatori.

I soggetti affidatari della gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica vanno, quindi, individuati mediante procedure competitive a evidenza pubblica, nel rispetto sia dei principi del Trattato sia dei principi generali relativi ai contratti pubblici e, in particolare, dei principi di economicità, efficacia, imparzialità, trasparenza, adeguata pubblicità, non discriminazione, parità di trattamento, mutuo riconoscimento, proporzionalità, ovvero di quegli stessi principi che devono essere rispettati nell’affidamento dei contratti pubblici aventi a oggetto lavori, servizi e forniture, esclusi, in tutto o in parte, dall’applicazione del codice dei contratti pubblici, nonché nella scelta del concessionario di servizi, al quale non si applicano le disposizioni del codice stesso (artt. 27 e 30 del D.Lgs. n. 163 del 2006).

La possibilità di sottrazione al mercato della gestione di un servizio pubblico locale si atteggia quindi, alla luce della normativa dettata dall’art. 23 bis, quale soluzione residuale esperibile solo in casi eccezionali di impossibilità di ricorrere in modo utile ed efficace al mercato stesso, con sottoposizione ad una forma di controllo – seppur debole, non essendo previsto alcun potere inibitorio – da parte delle Autorità di settore chiamate ad esprimere parere in ordine alla scelta, che deve essere motivata e basata su una compiuta analisi del mercato.

In tal modo la normativa interna restringe gli ambiti, delineati dalla Corte di Giustizia, in cui è possibile il ricorso all’affidamento in house, costituente comunque un sistema eccezionale rispetto a quello ordinario dell’osservanza delle procedure ad evidenza pubblica, sottoposto come tale alla necessaria ricorrenza di una serie di requisiti, con riespansione dell’applicazione della regola generale del ricorso all’evidenza pubblica.

Se il sistema dell’affidamento diretto, in quanto eccezione rispetto al sistema ordinario delle gare, era da ritenersi di stretta interpretazione ancor prima dell’intervento della nuova disciplina recata dall’art. 23 bis del Decreto Legge n. 111 del 2008 (per tutte: Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria 3 marzo 2008 n. 1; Corte Costituzionale 22 novembre 2007 n. 401), la nuova fisionomia dell’istituto, rispondente alla liberalizzazione del mercato dei servizi pubblici locali, conferma e rafforza il criterio della interpretazione restrittiva del relativo ambito di sua applicazione e delle condizioni cui è sottoposto, coerentemente con le finalità che ispirano la riforma.

Così illustrata – nei limiti di quanto di interesse ai fini della controversia in esame – la disciplina dettata dall’art. 23 bis del Decreto Legge n. 113 del 2008, di cui parte ricorrente denuncia l’intervenuta violazione, occorre verificare la sua applicabilità alla fattispecie in esame relativa all’affidamento in house di un servizio pubblico locale, quale la gestione del ciclo dei rifiuti, che, come riferito nella gravata delibera, è avvenuto tenuto conto delle disposizioni di cui al Decreto Legge – in fase di pubblicazione al momento della adozione della stessa – recante, tra le altre, disposizioni urgenti per la cessazione dello stato di emergenza in materia di rifiuti nella regione Campania.

La disamina dei rapporti tra la disciplina dettata dall’art. 23 bis e quella dettata dal Decreto Legge 30 dicembre 2009 n. 195 – richiamato nella gravata delibera commissariale, che reca la medesima data di adozione del decreto legge – si sviluppa necessariamente su due diversi piani prospettici.

Da un lato, difatti, sotto un profilo sistematico e mediante il ricorso agli ordinari canoni ermeneutici dettati in materia di rapporti tra le leggi, occorre verificare se la portata generale dell’art. 23 bis, che per espressa sua previsione prevale sulle discipline di settore incompatibili, receda a fronte dell’intervento di una diversa e successiva disciplina avente pari grado e se tale ultima disciplina possa trovare prevalente applicazione rispetto a quella dettata dall’art. 23 bis anche in ragione del suo carattere speciale, laddove rinvenibile.

Sotto altro profilo, viene sollecitato l’esame circa la concreta applicabilità, ratione temporis, alla fattispecie in esame, delle disposizioni dettate dal Decreto Legge n. 195 del 2009, sostenendo in proposito parte ricorrente che lo stesso non potesse ritenersi in vigore alla data di adozione della gravata delibera in quanto non ancora pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale, con conseguente lamentata nullità della delibera stessa per carenza della norma attributiva del potere esercitato.

Presupponendo la soluzione di tale seconda questione l’applicabilità in astratto del Decreto Legge n. 195 del 2009 e, quindi, la sua prevalenza sulla disciplina dettata dall’art. 23 bis del Decreto Legge n. 113 del 2008, costituisce all’evidenza un prius logico la preliminare trattazione della prima questione di ordine generale, inerente i rapporti tra le due diverse discipline.

Prima di procedere a tale disamina, occorre evidenziare la sussistenza di profili di incompatibilità tra le due normative, dal momento che l’art. 11 del citato decreto legge n. 195 introduce una disciplina difforme e derogatoria rispetto all’art. 23 bis laddove prevede, al comma 4, che le Amministrazioni Provinciali della Regione Campania, per evitare soluzioni di continuità rispetto agli atti compiuti nella fase emergenziale, subentrano, anche per il tramite delle relative società, nei contratti in corso con soggetti privati che svolgono in tutto o in parte le attività di raccolta, di trasporto, di trattamento, di smaltimento ovvero di recupero dei rifiuti.

Trattasi di disposizione che, in quanto legittimante la gestione del servizio inerente il ciclo dei rifiuti da parte delle Amministrazioni Provinciali tramite affidamento in house, svincolando tale affidamento sia dalla ricorrenza dei requisiti di eccezionalità previsti dall’art. 23 bis che dall’aggravamento procedurale dallo stesso previsto, introduce una antinomia tra le due discipline, imponendo, per le ricadute in termini di individuazione del parametro di verifica della legittimità della gravata delibera – come sollecitata dalle censure ricorsuali proposte – di accertare a quale quadro normativo di riferimento deve essere ricondotto il contestato affidamento in house del servizio da parte della resistente Amministrazione Provinciale.

Ed infatti, laddove si ritenesse l’applicabilità, alla fattispecie, della disposizione di cui all’art. 11 del D.L. n. 195 del 2009, cadrebbero, in quanto infondate, tutte le censure ricorsuali ancorate alle denunciata violazione, sotto vari profili, delle diverse disposizioni dettate dall’art. 23 bis del D.L. n. 112 del 2008.

Tanto premesso, ritiene il Collegio, per le ragioni che si andranno ad illustrare, che le disposizioni dettate dal Decreto Legge n. 195 del 2009 prevalgano su quelle recate dall’art. 23 bis del D.L. n. 112 del 2008 in ragione del carattere speciale delle prime, divenendo quindi recessiva, in quanto non utile ai fini del decidere, l’indagine circa la valenza da attribuirsi all’art. 23 bis del D.L. n. 112 del 2008 alla luce del carattere di legge generale di riforma del settore ispirata alla completa liberalizzazione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica, trovando la questione che qui interessa circa i rapporti tra normative antinomiche la propria soluzione nella successione nel tempo di una disciplina diversa introdotta da norma di pari rango.

La questione che qui occupa deve essere risolta non sul mero piano della successione delle leggi nel tempo, ma alla luce del carattere speciale di una disciplina che esula altresì dal problema della gerarchia delle fonti normative, dovendo ritenersi la prevalenza della norma speciale in quanto si trova, a differenza di quella generale, in un rapporto di specie a genere, recando anche elementi particolari o specializzanti non contenuti nella norma generale.

La prevalenza della legge speciale – anche a fronte, diversamente che nella fattispecie in esame, di una legge generale posteriore – trova giustificazione nella migliore e più adeguata aderenza della norma speciale alle caratteristiche proprie della fattispecie oggetto della sua previsione, tanto che il criterio di risoluzione delle antinomie basato sul carattere speciale della norma non cede rispetto alla regola dell’applicazione della legge successiva a meno che la legge successiva non intenda espressamente abrogare la legge speciale anteriore o allorquando la discordanza tra le due disposizioni sia tale da rendere inconcepibile la coesistenza tra la normativa speciale anteriore e quella generale successiva.

Il carattere di specialità da assegnare al Decreto Legge n. 195 del 2009, che ne determina la prevalenza sull’art. 23 bis del D.L. n. 112 del 2008, anteriore rispetto ad esso a non avente carattere speciale, discende innanzitutto dal suo oggetto, essendo specificatamente volto a disciplinare la cessazione dello stato di emergenza in materia di rifiuti nella regione Campania, oltre all’avvio della fase post emergenziale nel territorio della regione Abruzzo, recando altresì altre disposizioni urgenti relative alla Presidenza del Consiglio dei Ministri ed alla protezione civile.

La situazione che si intende disciplinare costituisce una fattispecie specifica rispetto a quelle cui si riferisce la legge generale, dal momento che il Decreto Legge n. 195 del 2009 detta le misure per la cessazione dello stato di emergenza nella Regione Campania nel settore dei rifiuti, e tra le misure previste viene ricompresa la possibilità di subentro nei contratti in corso da parte delle Amministrazioni Provinciali anche per il tramite di loro società prescindendo da oneri procedimentali (profilo questo che sarà trattato più oltre alla luce della non coincidenza testuale tra il decreto legge e la legge di conversione), laddove la regola generale di cui all’art. 23 bis del D.L. n. 112 del 2008 consente tale forma di affidamento dei servizi pubblici locali solo in casi eccezionali e nel rispetto di particolari oneri.

Il che consente di rinvenire i caratteri di specialità della disciplina in esame in ragione del suo oggetto e delle relative previsioni, derogatorie rispetto alla regola generale e specificamente riferite ad una determinata situazione per la quale, concernendo il passaggio da una lunga fase emergenziale ad una gestione ordinaria del servizio di gestione del ciclo dei rifiuti nella Regione Campania, è stata ritenuta la necessità di dettare una disciplina particolare e derogatoria rispetto a quella generale, le cui previsioni non sono state reputate adeguate rispetto alle specifiche finalità sottese alla cessazione della fase emergenziale, perseguibili invece da una disciplina ad hoc, di carattere speciale che tenga in adeguata considerazione le specifiche esigenze e le caratteristiche della fattispecie che si intende disciplinare, individuando le misure adeguate allo scopo, diverse rispetto alle norme di diritto comune.

La specialità della disciplina discende, quindi, dallo specifico ambito che si intende regolare che impone la deroga alla forza prescrittiva (e quindi all’applicazione) di norme più generali che, nel caso di sua mancanza, avrebbero dovuto essere applicate, in ragione dell’elemento ulteriore, al plus adiectum, della fattispecie.

Ed infatti, il Decreto Legge n. 195 del 2009 muove dalla considerazione della scadenza, in data 31 dicembre 2009, dell’emergenza in atto nella Regione Campania e della necessità di definire misure idonee ad assicurare il rientro nel regime ordinario, evitando che le attività di gestione dei rifiuti siano negativamente incise dalle procedure per la completa definizione delle attività afferenti il passaggio di consegne.

In tale dichiarata prospettiva, l’applicazione, alla fase di passaggio dall’emergenza al regime ordinario, delle regole dettate dalle disposizioni generali avrebbe potuto costituire un ostacolo allo svolgimento delle attività inerenti la gestione dei rifiuti che, in ragione della specifica ed eccezionale fase, giustifica l’adozione di una disciplina ad hoc di carattere speciale.

Il carattere speciale della normativa dettata dal Decreto Legge n. 195 del 2009 discende anche dal fatto che lo stesso reca disposizioni di natura transitoria, aventi lo specifico scopo di traghettare la gestione dei rifiuti in Campania dalla fase emergenziale a quella di ordinaria gestione, stabilendo le misure urgenti di immediata operatività necessarie a consentire l’utile subentro, da parte degli Enti territoriali campani, nelle attività di gestione del ciclo integrato dei rifiuti, all’attualità negativamente incise da criticità che si è ritenuto di dover fronteggiare con somma urgenza.

Stabilita, per le ragioni anzidette, la prevalenza delle disposizioni di cui al Decreto Legge n. 195 del 2009 sulle difformi disposizioni recate dall’art. 23 bis del Decreto Legge n. 112 del 2008, con conseguente riconducibilità, in astratto, della fattispecie in esame nel relativo ambito di applicazione, occorre esaminare, nella gradata elaborazione logica delle censure proposte, il profilo di doglianza proposto da parte ricorrente (quale ultimo motivo di censura) con cui, nell’affermare che il Decreto Legge n. 195 del 2009 non fosse ancora pubblicato in Gazzetta Ufficiale al momento di adozione della gravata delibera di affidamento del servizio di gestione del ciclo integrato dei rifiuti tramite l’istituto dell’in house providing, ne viene denunciata la nullità per carenza assoluta di potere stante la mancanza della norma attributiva del potere esercitato.

Le ragioni che suggeriscono di procedere alla trattazione di tale ultimo profilo di censura, invertendo l’ordine sotteso all’impianto ricorsuale, risiedono nelle conseguenze che dalla eventuale sua fondatezza discenderebbero sull’individuazione della normativa nel cui ambito applicativo far ricadere la fattispecie in esame, determinando l’eventuale accertamento della mancata vigenza del Decreto Legge n. 195 del 2009 alla data di adozione della gravata delibera, l’applicazione delle disposizioni dettate dall’art. 23 bis, che diventerebbero quindi il parametro normativo alla cui luce verificare, sulla base delle censure ricorsuali proposte, la legittimità del contestato affidamento in house.

In proposito, osserva il Collegio che il decreto Legge n. 195 del 2009 è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 30 dicembre 2009 n. 302, ulteriormente dovendo precisarsi in proposito che la sua entrata in vigore, per espressa previsione di cui all’art. 19 del medesimo decreto, è stabilita nel giorno stesso della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.

E’ attuata, in tal modo, una saldatura tra l’efficacia del Decreto Legge n. 195 del 2009 e la gravata ordinanza, adottata nel medesimo giorno di pubblicazione del primo e che trova, quindi, in esso la fonte normativa legittimante il potere esercitato in concreto dal Commissario Delegato.

Peraltro, l’esaminato profilo di censura dovrebbe comunque intendersi superato alla luce dell’intervenuta adozione della successiva delibera commissariale n. 7 – gravata con motivi aggiunti – datata 31 dicembre 2009, avente contenuto ricognitivo e confermativo delle determinazioni precedentemente adottate dal Commissario Delegato sulla base della bozza di decreto legge approvato dal Consiglio dei Ministri in data 17 dicembre 2009, in corso di pubblicazione alla data di adozione di tali determinazioni (ivi compresa la delibera di affidamento in house della gestione del ciclo integrato dei rifiuti) e pubblicato in data 30 dicembre 2009, recante il n. 195.

Con la delibera Commissariale n. 7 del 31 dicembre 2009, il Commissario Delegato, preso atto dell’intervenuta pubblicazione del Decreto Legge n. 195 del 2009, ha inteso quindi confermare, previa nuova ed autonoma valutazione alla luce dell’esame del testo definitivo del Decreto Legge, il contenuto delle deliberazioni precedentemente adottate sulla scorta della bozza di tale decreto legge, con la conseguenza che tale delibera, recependo e confermando il contenuto di quelle precedenti, ricade pienamente nel periodo di vigenza del Decreto Legge n. 195 del 2009, alle cui disposizioni sono quindi riconducibili le delibere confermate, che si saldano alla delibera confermativa con conseguente consolidarsi dei relativi effetti sotto la piena vigenza del Decreto Legge n. 195, dovendo quindi ritenersi superata la censura di carenza di potere rivolta avverso la delibera del 30 dicembre 2009.

Tali considerazioni creano l’occasione per il Collegio di rilevare che, essendo stata la delibera n. 7 del 31 dicembre 2009 gravata con motivi aggiunti, deve essere disattesa l’eccezione formulata da I. S.p.a. di improcedibilità del ricorso per mancata impugnativa di tale delibera.

Ragioni di connessione logica e giuridica suggeriscono di convogliare a questo punto della trattazione della controversia, la disamina delle questioni che involgono i denunciati profili di illegittimità costituzionale del Decreto Legge n. 195 del 2009.

Difatti, la verifica della tenuta di tale testo normativo rispetto ai segnalati profili di illegittimità costituzionale consente di addivenire alla individuazione della normativa applicabile alla fattispecie in esame, che costituisce, nell’impianto complessivo del ricorso, un prius logico e giuridico rispetto alla disamina delle ulteriori censure proposte ed alla verifica di legittimità del contestato affidamento in house rispetto al Decreto Legge n. 195 del 2009, che costituisce il parametro normativo di riferimento a fronte delle illustrata sua prevalenza rispetto all’art. 23 bis del Decreto Legge n. 112 del 2008, laddove l’eventualmente ritenuta non manifesta infondatezza dei profili di illegittimità costituzionale segnalati da parte ricorrente con riferimento alle disposizioni del Decreto Legge n. 195 del 2009, determinerebbe la sospensione del processo per effetto della dovuta rimessione della relativa questione alla Corte Costituzionale.

Fatte tali premesse di ordine metodologico, inerenti lo sviluppo della trattazione delle questioni sottese alla controversia in esame, osserva il Collegio che, con riferimento alla denunciata illegittimità costituzionale dell’art. 11 del Decreto Legge n. 195 del 2009 per contrasto con gli artt. 5, 117, 118 e 97 della Costituzione laddove interpretato nel senso di consentire l’adozione di provvedimenti di attribuzione in via diretta alle società provinciali del servizio di gestione integrata dei rifiuti, perpetuando deroghe alle norme ed ai principi in tema di affidamento degli appalti pubblici asseritamente non più giustificate dalla sussistenza di uno stato di emergenza, la preclusione alla possibilità di delibare nel senso della non manifesta infondatezza della questione risiede nella ragione che con la contestata norma viene dettata una disciplina speciale valida per il territorio campano, interessato da uno stato emergenziale nel settore rifiuti iniziato nel 1994, volta a disciplinare la cessazione dello stato di emergenza al fine di evitare soluzioni di continuità nella gestione del servizio, dettando a tal fine soluzioni che consentano il passaggio al regime ordinario e che, nella fase transitoria del passaggio a tale regime, sono caratterizzate – come peraltro si andrà meglio ad illustrare in seguito – dal carattere temporaneo.

Il contestato art. 11 del Decreto Legge in esame, dispone, difatti, che la costituzione di società provinciali, attraverso le quali le Amministrazioni Provinciali possono svolgere il servizio inerente la gestione del ciclo integrato dei rifiuti – attraverso quindi lo strumento dell’affidamento in house – subentrano nei contratti in corso con i soggetti che svolgono tale servizio alla data di entrata in vigore del decreto, al solo fine di evitare soluzioni di continuità rispetto agli atti compiuti nella fase emergenziale.

Tale disciplina trova quindi adeguata giustificazione nella espressa ratio alla stessa sottesa, che legittima l’adozione di una disciplina speciale, in parte derogatoria rispetto a quella generale – segnatamente, quella dettata dall’art. 23 bis del Decreto Legge n. 112 del 2008 – con individuazione, nella discrezionalità del Legislatore che ne ha disposto la conversione in legge ed il cui esercizio non appare affetto da irragionevolezza o arbitrarietà, di misure adeguate a consentire il passaggio dalla fase emergenziale al regime ordinario.

Ciò nella considerazione che a fronte della, invero censurabile, scansione temporale relativa all’adozione di una disciplina normativa destinata a disciplinare il rientro nel regime ordinario della gestione dei rifiuti in Campania – tenuto conto che la scadenza dello stato di emergenza nel settore rifiuti nella Regione Campana è stata fissata al 31 dicembre 2009 mentre il Decreto Legge recante misure urgenti per la cessazione di tale stato di emergenza è stato adottato il 30 dicembre 2009 – l’applicazione, alla fase di passaggio dall’emergenza al regime ordinario, delle regole dettate dalle disposizioni generali, avrebbe potuto costituire un ostacolo allo svolgimento delle attività inerenti la gestione dei rifiuti, creando criticità che avrebbero potuto compromettere la gestione del servizio e lo stesso superamento dello stato di emergenza.

Risulta, quindi, ragionevole e rispondente ai principi di buon andamento dell’azione amministrativa la previsione di una disciplina ad hoc di carattere speciale volta ad individuare le misure urgenti di immediata operatività necessarie a consentire l’utile subentro, da parte degli Enti territoriali campani, nelle attività di gestione del ciclo integrato dei rifiuti prima affidate nel contesto emergenziale.

Le deroghe, così introdotte, dal decreto Legge ai principi dettati in via ordinaria dall’art. 23 bis del decreto Legge n. 112 del 2008 in tema di affidamento dei servizi pubblici locali di rilevanza economica, seppur non aventi diretta giustificazione nello stato emergenziale, essendo destinate a valere per la fase successiva alla sua cessazione, rispondono alla evidenziata peculiarità della situazione che caratterizza tale fase di passaggio al regime ordinario, il cui transito avviene attraverso una preliminare fase transitoria, solo in esito alla quale le deroghe non trovano giustificazione e troveranno, quindi, riespansione le regole generali ed i poteri ordinari degli organi assembleari.

Non viene, quindi, introdotta – attraverso la riconosciuta possibilità per le Amministrazioni Provinciali di affidamento in house del servizio di gestione rifiuti – una deroga a tempo indefinito alla regola dell’affidamento dei servizi pubblici locali di rilevanza economica e delle competenze degli enti, essendo tale deroga delimitata alla sola fase inerente la cessazione dello stato di emergenza e di conseguente passaggio al regime ordinario, prevista al solo fine di evitare soluzioni di continuità rispetto agli atti compiuti nella fase emergenziale e che, peraltro, in quanto riferita unicamente al subentro delle società provinciali nei contratti in corso, deve intendersi limitata alla durata di tali contratti, come in seguito più in dettaglio si andrà ad illustrare in occasione della disamina della censura che involge più specificamente tale profilo.

La sottrazione al mercato del settore della gestione dei rifiuti nella Regione Campania per effetto della riconosciuta possibilità di affidamento in house non assurge, quindi, a regola generale valevole a tempo indefinito, ed in tale portata la relativa previsione non appare affetta da profili di incostituzionalità.

Né possono le contestate previsioni di cui al Decreto Legge n. 195 del 2009 e della relativa legge di conversione ritenersi carenti dei caratteri di generalità ed astrattezza, i quali non vengono meno in capo ad un corpo normativo destinato ad avere effetti con riferimento ad un determinato ambito territoriale – segnatamente la Regione Campania – la cui situazione giustifica l’adozione di una normativa derogatoria la quale, contrariamente a quanto dedotto da parte ricorrente, non può intendersi volta ad interferire su di una fattispecie sub iudice, e ciò nella considerazione che la stessa reca previsioni valevoli per l’intero ambito regionale finalizzate a regolamentare il passaggio al regime ordinario, laddove una automatica applicazione della normativa generale – ivi comprese le disposizioni dettate dall’art. 23 bis del Decreto Legge n. 112 del 2008 – avrebbe potuto arrecare ostacoli alla stessa gestione del servizio integrato dei rifiuti.

Nelle evidenziate circostanze, in cui si inscrive l’adozione del Decreto Legge n. 195 del 2009, successivamente convertito in legge, risiedono le ragioni che consentono di ravvisare la sussistenza dei presupposti di necessità ed urgenza costituzionalmente imposti dall’art. 77 della Costituzione per la decretazione d’urgenza, posto che l’imminente scadenza dello stato di emergenza non avrebbe consentito di seguire il normale iter legislativo volto alla definizione della disciplina relativa al passaggio dalla fase emergenziale a quella ordinaria, non riverberandosi la precedente inerzia del Legislatore nella preclusione alla decretazione d’urgenza da parte del Governo.

Quanto alla dedotta violazione dei principi di autonomia e sussidiarietà, avuto particolare riguardo alle competenze dei Comuni, deve richiamarsi quanto stabilito dal D.Lgs. n. 152 del 2006, artt. 199, 198, 200, 201 e 202 – applicabili in quanto non incompatibili con l’art. 23 bis del Decreto legge n. 112 del 2008, e dovendo segnalarsi l’intervenuta abrogazione dell’art. 113 del D.Lgs. n. 167 del 2000, richiamato dall’art. 202 del Codice dell’Ambiente, per le parti incompatibili – che recano la disciplina organica del servizio di gestione integrata dei rifiuti, con specifica definizione dell’ambito di competenze degli enti coinvolti, ivi compresi i Comuni, conforme all’art. 117 della Costituzione, rispettoso dei principi fondamentali nelle materie di legislazione esclusiva e concorrente, nonché di quelli di sussidiarietà e di leale collaborazione, rispetto ai quali non sembra integrata alcuna violazione da parte del Decreto Legge n. 195 del 2009 che non trovi giustificazione nelle sopra indicate peculiari situazioni e finalità.

Aggiungasi, che con O.P.C.M. n. 3812 del 22 settembre 2009 si è inteso imprimere una accelerazione al processo di costituzione delle società provinciali attribuendo agli Assessori Provinciali con delega all’ambiente, in deroga agli articoli 42, 48 e 50 del Testo Unico degli Enti Locali, i poteri di giunta e consiglio per l’adozione di tutti gli atti necessari alla costituzione urgente delle società provinciali consistenti, tra l’altro, nell’approvazione dello statuto delle società, nella sottoscrizione dell’atto costitutivo delle stesse, nell’adozione del piano industriale della società all’esito dell’atto di conferimento dei cespiti costituenti lo stato patrimoniale della stessa, nonché nell’avvio delle procedure finalizzate all’individuazione, in termini di somma urgenza, dell’eventuale socio privato, avvalendosi delle deroghe al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163 previste dall’art. 18 del decretolegge 23 maggio 2008, n. 90, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 luglio 2008, n. 123.

Interpretata, nel senso dianzi esposto, la portata da assegnarsi alla norma di cui all’art. 11 del Decreto Legge n. 195 del 2009, la stessa non appare quindi presentare profili di contrasto con le norme costituzionali, richiamate da parte ricorrente quale parametro di riferimento per i dedotti profili di illegittimità costituzionale, i quali quindi non meritano favorevole esame.

Può, conseguentemente affermarsi – una volta individuata nella disciplina dettata dal D.Lgs. n. 195 del 2009 quella applicabile alla fattispecie in esame ed esclusa la sussistenza dei presupposti per la rimessione alla Corte Costituzionale della questione di illegittimità costituzionale della disposizione recata dall’art. 11 dello stesso, che il referente normativo per il contestato affidamento in house è da individuarsi nel citato art. 11.

Consegue da ciò l’infondatezza delle censure di parte ricorrente volte a lamentare, oltre che l’assenza delle circostanze eccezionali che consentono l’affidamento in house, la mancata osservanza da parte del Commissario Delegato delle prescrizioni imposte dall’art. 23 bis del Decreto Legge n. 112 del 2008, e segnatamente, la previa adeguata pubblicità della scelta e analisi del mercato che ne evidenzi i relativi presupposti e l’obbligo di trasmissione di apposita relazione all’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato ed alle Autorità di regolazione, al fine di acquisirne il necessario parere.

Difatti, la non applicabilità alla fattispecie in esame dell’art. 23 bis citato, travolge le censure fondate sull’asserita intervenuta violazione delle relative disposizioni.

Né può ritenersi – come affermato da parte ricorrente – che a tali adempimenti il Commissario Delegato sarebbe stato comunque tenuto, fondando tale assunto sulle differenze testuali tra il Decreto Legge n. 195 del 2009 e la relativa legge di conversione, le cui disposizioni hanno efficacia dal giorno successivo a quello di pubblicazione della legge di conversione stessa.

In proposito, va preliminarmente chiarito che l’art. 11 del Decreto Legge n. 195 del 2009 stabilisce che il subentro delle Amministrazione Provinciali nei contratti in corso, può avvenire anche per il tramite di loro società "da intendere costituite, in via d’urgenza, nelle forme di assoluti ed integrali partecipazione e controllo da parte delle amministrazioni provinciali, prescindendo da comunicazioni o da altre formalità ed adempimenti procedurali" (errori presenti nel testo).

Tale disposizione, inerente lo svincolo della procedura da formalità ed adempimenti, è stata introdotta in sede di conversione del decreto legge, avvenuta con la legge 26 febbraio 2010, n. 26 e, relativamente ad essa, ne sostiene parte ricorrente la non applicabilità, ratione temporis, alla fattispecie in esame, affermando altresì che la stessa riguarderebbe solo la costituzione delle società, e non già il ricorso all’affidamento in house, che resterebbe assoggettato alle prescrizioni dettate dall’art. 23 bis del Decreto Legge n. 112 del 2008, ivi compreso l’obbligo di richiesta del parere preventivo all’Autorità garante della concorrenza e del mercato.

Il Collegio non ritiene di poter condividere gli illustrati assunti di parte ricorrente.

L’intervento, in materia di gestione dei rifiuti nella Regione Campania, di una disciplina speciale, implica la sostituzione della stessa alle disposizioni generali che sarebbero altrimenti applicabili in sua mancanza.

Con la conseguenza che, non essendo state espressamente previste dalla disciplina speciale – nel testo originario del decreto legge – formalità ed adempimenti procedurali per il ricorso al consentito affidamento in house, non può rinvenirsi la fonte di siffatti obblighi nella normativa generale, e ciò in ragione dell’ordinario criterio ermeneutico sintetizzabile nel brocardo ubi lex voluti dixit, ubi noluit tacuit.

Dovendo in proposito rilevarsi che la disciplina, peraltro speciale, è successiva a quella generale, e laddove si fossero voluti mantenere fermi gli adempimenti dettati dall’art. 23 bis del Decreto Legge n. 112 del 2008, sarebbe stata necessaria una espressa previsione, formulata anche mediante rinvio al citato articolo.

La formulazione dell’art. 11 del Decreto Legge n. 195 del 2009, sia nel testo originario – silente quanto agli adempimenti procedimentali – che in quello modificato con la successiva legge di conversione – che esclude siffatti adempimenti – non consente quindi di ravvisare siffatta volontà di assoggettare la procedura dell’affidamento in house a particolari oneri ed obblighi.

Il che rende irrilevante la verifica in ordine alla riferibilità delle modifiche apportate dalla legge di conversione al testo del decreto legge – relativamente all’introduzione dell’espresso esonero da comunicazioni, formalità ed adempimenti procedurali – alla sola costituzione delle società provinciali, come sostenuto da parte ricorrente, o anche all’affidamento in house a loro favore del servizio di gestione del ciclo integrato dei rifiuti, non potendo, per le ragioni anzidette, ritenersi la sussistenza di obblighi procedimentali alla luce del testo originario del decreto legge.

Deve, pertanto, concludersi sul punto nel senso che alla luce dell’art. 11 del Decreto Legge n. 195 del 2009 non sono previsti specifici adempimenti procedurali che accompagnano l’affidamento del servizio in house, con conseguente infondatezza della esaminata censura, non potendo ritenersi, contrariamente a quanto affermato da parte ricorrente, che il Commissario Delegato fosse tenuto a richiedere il preventivo parere obbligatorio dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato, trattandosi di adempimento non espressamente previsto dalla normativa speciale e non potendo trovare applicazione analogica, per le ragioni anzidette, le disposizioni dettate dall’art. 23 bis del Decreto Legge n. 112 del 2008.

Sotto altro profilo, deduce parte ricorrente l’illegittimità del gravata delibera n. 4 del 30 dicembre 2009 essendo stata adottata al dichiarato fine del perseguimento della missione affidata alla Provincia dalla Legge Regionale della Regione Campania n. 4 del 2007, il cui art. 20 è stato dichiarato costituzionalmente illegittimo dalla Corte Costituzionale con sentenza n. 314 del 2007 nella parte in cui riserva solo a soggetti a totale o prevalente capitale pubblico da costituire l’affidamento del servizio di gestione integrata dei rifiuti.

Sarebbero, quindi, inconferenti, secondo parte ricorrente, le argomentazioni poste a base del contestato affidamento del servizio in house, con la conseguenza che il servizio di gestione del ciclo integrato dei rifiuti nella Provincia avrebbe dovuto essere affidato mediante pubblica gara aperta a tutti i soggetti, sia pubblici che privati, in possesso dei necessari requisiti e, quindi, esternalizzato sulla base delle disposizioni dettate dal D.Lgs. n. 152 del 2006.

Il Collegio non ritiene di poter addivenire alle medesime conclusioni cui giunge parte ricorrente alla luce dell’intervenuta dichiarazione di illegittimità costituzionale dell’art. 20 della legge n. 4 del 2007 della Regione Campania.

La declaratoria di illegittimità costituzionale contenuta nella sentenza della Corte Costituzionale n. 314 del 30 novembre 2009, per quanto qui di interesse, riguarda la norma dettata dalla lettera m) dell’art. 1, comma 1, della legge della Regione Campania n. 4 del 14 aprile 2008 che, nel modificare l’articolo 20 della legge regionale n. 4 del 28 marzo 2007, ha previsto come unica modalità di affidamento del servizio di gestione integrata dei rifiuti, da parte della Provincia, nel rispetto della normativa comunitaria, nazionale e regionale, quella dell’affidamento ad un soggetto a totale o prevalente capitale pubblico.

E’ tale restrizione della partecipazione ad una gara, riconosciuta a favore dei soli soggetti a partecipazione pubblica, che è stata ritenuta costituzionalmente illegittima in quanto lesiva dei principi della concorrenza.

In particolare, la Corte ha osservato che le Regioni non possono prevedere una disciplina diversa da quella del Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture di cui al D.Lgs. n. 163 del 2006, in relazione agli ambiti di legislazione sui contratti della pubblica amministrazione riconducibili alla competenza esclusiva dello Stato in base all’art. 117, secondo comma, lettera e), della Costituzione, ritenendo l’illegittimità costituzionale della norma regionale nella parte in cui riserva solo a determinati soggetti la partecipazione alle gare per l’affidamento del servizio di gestione integrata dei rifiuti, in quanto recante una disciplina difforme da quella nazionale in materie riservate alla competenza legislativa esclusiva dello Stato e riducendo l’area alla quale si applicano le regole concorrenziali dirette a consentire la piena esplicazione del mercato nel settore degli appalti pubblici a tutti gli operatori economici.

La declaratoria di illegittimità costituzionale non investe, quindi, in radice la possibilità per le Province di procedere all’affidamento in house del servizio di gestione dei rifiuti, riguardando il diverso aspetto inerente la previsione, contenuta nella legge regionale n. 4 del 2008, dell’affidamento ad un soggetto a totale o prevalente capitale pubblico come unica modalità di affidamento del servizio di gestione integrata dei rifiuti.

La stessa Corte Costituzionale, difatti, si riporta alle disposizioni dettate dal D.Lgs. n. 152 del 2006, ed in particolare all’art. 202, nonché all’art. 113 del D.Lgs. n. 267 del 2000 (recante il testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali) – richiamato dal citato art. 202 – che consente la gestione dei servizi pubblici locali mediante il ricorso a società partecipate.

Nel rappresentare il Collegio che l’art. 113 del D.Lgs. n. 167 del 2000 è stato espressamente indicato, dall’art. 23 bis del Decreto Legge n. 112 del 2008, come abrogato per le parti incompatibili, deve altresì osservare che la declaratoria di illegittimità costituzionale dell’art. 20 della legge regionale della Regione Campana n. 4 del 2008 non riverbera effetti invalidanti sulla gravata delibera che a tale legge, nel suo complesso, fa richiamo.

In particolare, la gravata delibera fa riferimento alla missione di carattere generale affidata alla Provincia dalla legge Regionale n. 4 del 2007, modificata dalla Legge Regionale n. 4 del 2008, la quale, nonostante l’intervento demolitorio della Consulta, mantiene il proprio impianto generale.

Inoltre, per come espressamente affermato dalla Corte Costituzionale, "la dichiarazione di illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1, lettera m), della legge regionale n. 4 del 2008, ha l’effetto di ripristinare il precedente testo dell’art. 20, comma 1, della legge regionale n. 4 del 2007, ferma restando, però, la competenza della Provincia nell’affidamento del servizio, individuata quale "autorità d’ambito"".

Deve, in definitiva, ritenersi, alla stregua delle illustrate considerazioni, la persistente validità del richiamo contenuto nella gravata delibera alla missione affidata alla Provincia dalla Legge Regionale n. 4 del 2007, missione che non risulta incisa dall’intervenuta dichiarazione di illegittimità costituzionale di cui alla citata sentenza, con conseguente infondatezza delle censure proposte al riguardo.

Deve ulteriormente rilevarsi che la gravata delibera n. 4 del 2009, fa riferimento alla missione affidata alla Provincia sia dalla esaminata Legge Regionale n. 4 del 2007, che dalle O.P.C.M. n. 3476 del 2009 e n. 3773 del 2009, oltre che sul – all’epoca – pubblicando decreto legge.

Completando la disamina delle doglianze che involgono profili di carattere generale, riferiti al quadro normativo di riferimento cui ascrivere la fattispecie in esame, viene in rilievo l’ulteriore censura con cui parte ricorrente contesta che il gravato affidamento in house possa trovare valido fondamento nelle disposizioni dettate dal Decreto Legge n. 195 del 2009, dal momento che questo si limiterebbe a conferire alle Amministrazioni Provinciali, fino al 31 settembre 2010, compiti di mera programmazione del servizio di gestione dei rifiuti, consentendo alle stesse, solo in casi particolari ed allo scopo di evitare soluzioni di continuità nella gestione commissariale, di subentrare nei contratti in corso anche per il tramite delle società provinciali.

La censura, che evidentemente presuppone l’accertata non applicabilità dell’art. 23 bis del Decreto Legge n. 112 del 2008 con conseguente riconduzione della fattispecie nell’ambito di operatività del Decreto Legge n. 195 del 2009, non può essere condivisa.

Dispone l’art. 11 del citato Decreto Legge n. 195, al comma 1, che "Ai Presidenti delle province della regione Campania, dal 1° gennaio 2010 sino al 30 settembre 2010, sono attribuite, in deroga agli articoli 42, 48 e 50 del testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, le funzioni ed i compiti spettanti agli organi provinciali in materia di programmazione del servizio di gestione integrata dei rifiuti da organizzarsi prioritariamente per ambiti territoriali nel contesto provinciale e per distinti segmenti delle fasi del ciclo di gestione dei rifiuti."

Il successivo comma 2 stabilisce che "Sulla base delle previsioni di cui alla legge della regione Campania 28 marzo 2007, n. 4, e successive modificazioni, (…) per evitare soluzioni di continuità rispetto agli atti compiuti nella fase emergenziale, le amministrazioni provinciali, anche per il tramite delle relative società da intendere costituite, in via d’urgenza, nelle forme di assoluti ed integrali partecipazione e controllo da parte delle amministrazioni provinciali, prescindendo da comunicazioni o da altre formalità ed adempimenti procedurali, che, in fase di prima attuazione, possono essere amministrate anche da personale appartenente alle pubbliche amministrazioni, subentrano, fatto salvo quanto previsto dal comma 2ter, nei contratti in corso con soggetti privati che attualmente svolgono in tutto o in parte le attività di raccolta, di trasporto, di trattamento, di smaltimento ovvero di recupero dei rifiuti. In alternativa, possono affidare il servizio in via di somma urgenza, nonché prorogare i contratti in cui sono subentrate per una sola volta e per un periodo non superiore ad un anno con abbattimento del 3 per cento del corrispettivo negoziale inizialmente previsto.".

Emerge, dalla illustrate disposizioni, come la censura in esame poggi su di una lettura parziale del riferito articolo e basata sul solo comma 1, laddove – con valenza decisiva ai fini del decidere – il comma 2 espressamente attribuisce alle Amministrazioni Provinciali la competenza in ordine alla gestione del servizio, da svolgere mediante società provinciali destinate a subentrare nei contratti in corso o nelle altre forme ivi previste.

Il dato testuale dell’art. 11 del Decreto Legge n. 195 del 2009 non consente, inoltre, di addivenire alle medesime conclusioni tratte da parte ricorrente circa l’affermata restrizione della possibilità di subingresso delle società provinciali alla precedente gestione nelle sole ipotesi di contratti in corso con la struttura commissariale, nel ritenuto presupposto che solo per esse sussisterebbe l’esigenza di continuità nella gestione.

Tale assunto è, innanzitutto, smentito dal tenore letterale della norma, che fa riferimento ai "contratti in corso con soggetti privati che attualmente svolgono in tutto o in parte le attività di raccolta, di trasporto, di trattamento, di smaltimento ovvero di recupero dei rifiuti", la cui genericità ed onnicomprensività non consente di aderire alla suggerita portata restrittiva del consentito ambito di subingresso da parte delle società provinciali.

Inoltre, tale interpretazione restrittiva contrasterebbe con la ratio della norma che, come già illustrato, è volta a dettare una disciplina uniforme per il territorio campano volta a traghettare la gestione dei rifiuti dallo stato emergenziale al regime ordinario, dettando misure operative che trovano la propria ragion d’essere proprio in tale fase di passaggio.

Risulta, pertanto, priva di giustificazione una differenziata applicazione delle previste misure in relazione alla sussistenza o meno di contratti in corso con la struttura commissariale, dovendo ulteriormente considerarsi, in proposito, che tutti i contratti inerenti la gestione dei rifiuti cui fa riferimento il richiamato art. 11 sono stati adottati nella vigenza dello stato emergenziale e rispondenti tutti, indistintamente, alla relative finalità; con la conseguenza di dover ritenere che rispetto alla totalità degli stessi sono state previste le misure per il passaggio al regime ordinario, dettate dalla riferita disposizione normativa, anche al fine di perseguire la dichiarata ed espressa finalità di evitare soluzioni di continuità rispetto agli atti compiuti nella fase emergenziale.

Locuzione questa, che non ne consente la relativa riferibilità – come sostenuto da parte ricorrente – ai soli contratti in corso con la struttura commissariale, ma che va intesa invece come riferita a tutti i contratti temporalmente riferiti alla fase emergenziale, privilegiando il dato testuale non la titolarità dei contratti (da parte della struttura commissariale), ma il dato temporale che riconduce i contratti – rispetto ai quali è consentito il subentro da parte delle società provinciali – alla fase emergenziale.

Avuto riguardo all’ulteriore censura con cui parte ricorrente lamenta l’illegittimità della gravata delibera per aver stabilito l’affidamento del servizio fino al 2060, laddove la Provincia sarebbe asseritamente competente solo fino al 30 dicembre 2010, osserva il Collegio che la durata del servizio affidato in house sulla base delle disposizioni dettate dall’art. 11 del Decreto Legge n. 195 del 2009 – come sopra delibato al fine di individuare la normativa di riferimento – deve essere commisurata in coerenza ed in corretta applicazione delle indicazioni recate dalle previsioni ivi contenute.

In particolare, prevedendo il citato articolo che il subentro, da parte delle Amministrazioni Provinciali, anche attraverso le relative società allo scopo costituite, avviene "nei contratti in corso", deve ritenersi che la durata degli affidamenti così disposti debba essere corrispondente a quella dei contratti rispetto ai quali avviene il subentro, fatta salva la facoltà alternativa della proroga di tali contratti, concessa dal medesimo articolo, laddove il subentro non sia intervenuto.

Deve ulteriormente osservarsi, in punto di fatto, quanto alla dedotta illegittimità della durata del servizio sino al 30 dicembre 2060, che tale durata non è riferita all’affidamento in house del servizio, non essendo essa indicata nella delibera commissariale n. 4 del 2009, ove viene disposto l’affidamento del servizio "nelle more della definizione del contratto di servizio che disciplinerà in modo dettagliato i rapporti tra le parti e che verrà sottoscritto all’esito delle procedure relative alla stesura del piano industriale", senza quindi alcuna espressa indicazione in ordine alla durata dell’affidamento così disposto, trattandosi invece della durata della società della Provincia denominata I. S.p.a. – cui il servizio è stato affidato – indicata nel relativo atto costitutivo del 23 dicembre 2009.

La censura in esame erroneamente mutua, dalla durata della società, l’individuazione della durata dell’affidamento in house disposto a favore della stessa, laddove quest’ultima non viene in alcun modo definita dalla gravata ordinanza, né può essere fatta coincidere con la durata della società.

Ed infatti, il consentito affidamento in house è finalizzato al subentro nei "contratti in corso" al fine di evitare soluzioni di continuità rispetto agli atti compiuti nella fase emergenziale, con la conseguenza che la durata di tali affidamenti dovrà coincidere con la durata dei contratti cui si riferisce il disposto subentro.

Delibate, nel senso di cui sopra, le esaminate censure, involgenti l’individuazione e la portata da attribuirsi alla normativa applicabile alla fattispecie sottoposta al vaglio del Collegio, la disamina deve quindi indirizzarsi ai profili volti a contestare la sussistenza dei requisiti legittimanti l’affidamento in house.

Stabilito, infatti, alla luce delle considerazioni sin qui illustrate, che il ricorso, da parte del Commissario Delegato, all’affidamento in house del servizio di gestione del ciclo integrato dei rifiuti nella Provincia di Avellino trova legittimo fondamento nelle disposizioni dettate dal Decreto Legge n. 195 del 2009 – indenne dai sospetti di illegittimità costituzionale avanzati da parte ricorrente – nella accertata portata che allo stesso deve attribuirsi, ed esclusa la riconducibilità di tale affidamento nell’ambito di applicazione dell’art. 23 bis del Decreto Legge n. 112 del 2008, occorre verificare la rispondenza di tale affidamento alla fisionomia dell’istituto dell’in house providing, come delineata dai principi comunitari e dalla giurisprudenza nazionale.

Quale premessa di carattere generale va, infatti, evidenziato che laddove l’ordinamento consenta, e nei limiti in cui lo consenta, il ricorso all’affidamento di servizi pubblici locali tramite il sistema dell’in house providing, è necessario che lo stesso risponda a determinati e stringenti requisiti di legittimità, dovendo tale istituto ritenersi ammissibile solo nel rispetto di rigorose condizioni, individuate dalla giurisprudenza comunitaria ed elaborate da quella nazionale, trattandosi di istituto che comporta una deroga ai principi di concorrenza, di non discriminazione e di trasparenza, costituenti canoni fondamentali del Trattato Istitutivo della Comunità Europea.

L’affidamento diretto di servizi pubblici locali viola, difatti, il principio di concorrenza sotto un duplice profilo, sottraendo, da una parte, al libero mercato, quote di contratti pubblici nei confronti dei quali le impresse ordinarie vengono escluse da ogni possibile accesso e costituendo, dall’altra, a favore dell’impresa affidataria, una posizione di ingiusto privilegio, garantendole l’acquisizione di contratti e la creazione di posizioni di vantaggio economico che l’impresa in house può sfruttare anche nel mercato, nel quale si presenta come particolarmente competitiva, con conseguente alterazione della par condicio.

La possibilità di affidare direttamente un appalto o un servizio ad un organismo in house costituisce principio pacifico della disciplina comunitaria la quale detta al contempo, in ragione della portata derogatoria ai principi più generali dianzi richiamati, misure contenitive per ridurne la portata distorsiva della concorrenza costituite da stringenti condizioni che sole rendono legittimo l’affidamento in house.

Come sopra già in parte accennato, a livello normativo nazionale, la possibilità del ricorso all’istituto dell’affidamento in house è stata da ultimo disciplinata, a livello generale, dall’art. 23 bis del Decreto Legge n. 112 del 2008, che ne ha, in senso innovativo rispondente alla liberalizzazione del mercato, fortemente limitato la portata – in misura più restrittiva rispetto all’ambito di riconosciuta ammissibilità delineato dalla Corte di Giustizia – sancendo che la gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica devono essere, in via ordinaria, esternalizzati previa gara e non possono essere oggetto di affidamenti in house.

Innovando rispetto al sistema previgente, il citato art. 23 bis consente il ricorso all’affidamento in house in presenza, oltre che dei requisiti individuati dalla giurisprudenza comunitaria e nazionale – su cui ci si soffermerà più avanti – costituiti dal capitale interamente pubblico della società partecipata dall’ente locale e dal rispetto dei principi comunitari in materia di controllo analogo e di prevalenza dell’attività svolta dall’impresa con l’ente o con gli enti pubblici che la controllano – anche dalla ricorrenza di eccezionali situazioni che, a causa di peculiari caratteristiche economiche, sociali, ambientali e geomorfologiche del contesto territoriale di riferimento, non consentano un efficace ed utile ricorso al mercato.

Il ricorso all’affidamento in house, consentito solo in presenza di tali eccezionali situazioni, è sottoposto ad una procedura aggravata scandita dalla necessità, per l’ente affidante, di dare adeguata pubblicità alla scelta, motivandola sulla base di una analisi del mercato, dovendo contestualmente trasmettere una relazione all’Autorità garante della concorrenza e del mercato per ottenere il parere preventivo.

Sancisce inoltre l’art. 23 bis la generalizzata operatività delle norme ivi contenute e la loro prevalenza rispetto a quelle incompatibili.

La previsione della procedura della gara pubblica quale modalità ordinaria per l’affidamento dei servizi pubblici locali di rilevanza economica e le limitate possibilità di deroga – consentite nelle indicate situazioni eccezionali e soggette a stringenti oneri procedimentali – in cui risulta ammissibile l’affidamento in house, incide profondamente sul quadro normativo previgente relativo agli affidamenti dei servizi pubblici locali come delineato dall’art. 113 del D.Lgs. n. 267 del 2000 – richiamato dall’art. 202 del D.Lgs. n. 152 del 2006 – sulla cui base i modelli di conferimento della gestione dei servizi pubblici locali erano perfettamente equivalenti ed alternativi, pur prevedendo anche detta norma la necessità del rispetto dei requisiti della partecipazione totalitaria di capitale pubblico, del controllo analogo e della realizzazione della parte più importante dell’attività per l’ente controllante.

Tale norma di cui al T.U.L., per come previsto dal comma 11 dell’art. 23 bis, è abrogata nelle parti incompatibili (mentre il comma 5 dell’art. 113 è stato abrogato espressamente dal D.P.R. n. 168 del 2010, recante regolamento adottato ai sensi dell’art. 23 bis), dovendo pertanto l’ambito di ammissibilità dell’affidamento in house essere determinato sulla base delle regole stabilite da detto articolo 23 bis.

Sempre all’art. 23 bis occorre, inoltre, ricondurre la lettura della portata da assegnare alle disposizioni dettate dall’art. 1, comma 2, del D.Lgs. n. 163 del 2006 che, nell’interpretazione dello stesso offerta dalla giurisprudenza, consentono l’affidamento diretto in house nel caso di società totalmente controllata dall’ente pubblico interessato.

In sostanza, le disposizioni previgenti rispetto all’entrata in vigore dell’art. 23 bis del Decreto Legge n. 112 del 2008 devono essere sottoposte al vaglio di compatibilità con la ratio e le disposizioni in esso contenute, al fine di verificarne la persistente vigenza, fermo restando che laddove l’affidamento in house risulti percorribile – come avviene nella fattispecie in esame in forza delle previsioni dettate dalla disciplina speciale contenuta nel Decreto Legge n. 195 del 2009 – lo stesso deve rispondere a precisi requisiti sostanziali e formali, la cui sussistenza nella fattispecie è da parte ricorrente contestata.

Prima di procedere alla disamina delle censure in proposito sollevate, giova premettere alcune considerazioni di carattere generale e sistematico dell’istituto dell’affidamento in house che meglio consentano di inquadrare la portata delle doglianze che contestano la sussistenza dei relativi presupposti legittimanti.

In tale direzione, va precisato che l’affidamento in house costituisce un modello di organizzazione meramente interno agli enti, qualificabile in termini di delegazione intersoggettiva, che consente l’affidamento diretto, senza previa gara, del servizio attribuito alla competenza di un ente pubblico ad una persona giuridica distinta, realizzandosi in tal modo una sorta di autoproduzione, da parte dell’ente, di beni, servizi o lavori attingendoli all’interno della propria compagine, senza quindi ricorrere alla esternalizzazione previo espletamento di una procedura ad evidenza pubblica.

La giurisprudenza comunitaria, sin dalla sentenza Teckal della Corte di Giustizia CE 18 novembre 1999 n. C107/08, ha condizionato la possibilità di affidamento in house del servizio di un ente pubblico ad un soggetto giuridicamente distinto ai casi in cui l’ente eserciti un controllo analogo a quello dallo stesso esercitato sui propri servizi ed il primo realizzi la parte più importante della propria attività con l’ente o gli enti controllanti sulla base di un rapporto di stretta strumentalità tra le attività dell’impresa in house e le esigenze pubbliche che l’ente controllante è chiamato a soddisfare.

Tali stringenti condizioni sono state oggetto, nel tempo, di maggiori affinate letture ed elaborazioni, anche da parte della giurisprudenza nazionale, che ha recepito e precisato ulteriormente i principi dettati in sede comunitaria ed il cui punto di arrivo è rappresentato dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 1 del 2008.

Ricordato come la previsione di rigorose misure contenitive – da interpretarsi restrittivamente – alla possibilità di ricorrere all’affidamento in house vada ricondotta alla portata derogatoria dell’istituto rispetto ai principi generali del diritto comunitario, e segnatamente ai principi di concorrenza, di non discriminazione e di trasparenza – creando tale istituto fenomeni distorsivi alle corrette dinamiche concorrenziali in quanto sottrae al mercato una parte rilevante di servizi che potrebbe essere offerta in regime concorrenziale consentendo in tal modo il confronto tra diversi operatori – e precisato come l’in house, come costruito dalla giurisprudenza comunitaria, sembra rappresentare, più che un modello di organizzazione dell’amministrazione, un’eccezione alle regole generali del diritto comunitario, le quali richiedono la previa gara, deve evidenziarsi che in ragione della ricorrenza dei requisiti inerenti il controllo analogo e la destinazione prevalente dell’attività, il soggetto affidatario sfugge alla possibilità di essere qualificato come terzo rispetto all’amministrazione controllante, consentendone quindi la qualificazione come articolazione della stessa che legittima l’esonero dall’indizione di procedure ad evidenza pubblica per l’affidamento del servizio.

La ricorrenza degli indicati requisiti è stata ulteriormente declinata e specificata mediante l’individuazione di precisi indici rivelatori, coerentemente con il carattere eccezionale dell’istituto.

In particolare, quanto al controllo analogo, ne è stata esclusa la ricorrenza in presenza di una compagine societaria composta anche da capitale privato, essendo necessaria la partecipazione pubblica totalitaria.

Ciò in quanto la partecipazione, anche minoritaria, di un’impresa privata al capitale di una società, alla quale partecipi anche l’amministrazione affidataria, esclude in ogni caso che tale amministrazione possa esercitare su detta società un controllo analogo a quello che essa svolge sui propri servizi.

Ancora, affinché possa ritenersi la ricorrenza del controllo analogo, non è sufficiente la – necessaria – partecipazione pubblica totalitaria, dovendo in capo all’ente essere incardinati maggiori strumenti di controllo rispetto a quelli previsti dal diritto civile.

Tali strumenti sono individuati alla luce di determinati parametri, così sintetizzabili, alla luce delle indicazioni recate dalla citata Adunanza Plenaria:

a) lo statuto della società non deve consentire che una quota del capitale sociale, anche minoritaria, possa essere alienata a soggetti privati;

b) il consiglio di amministrazione della società non deve avere rilevanti poteri gestionali e all’ente pubblico controllante deve essere consentito esercitare poteri maggiori rispetto a quelli che il diritto societario riconosce normalmente alla maggioranza sociale;

c) l’impresa non deve avere acquisito una vocazione commerciale che rende precario il controllo dell’ente pubblico e che risulterebbe, tra l’altro: dall’ampliamento dell’oggetto sociale; dall’apertura obbligatoria della società, a breve termine, ad altri capitali; dall’espansione territoriale dell’attività della società a tutta l’Italia e all’estero;

d) le decisioni più importanti devono essere sottoposte al vaglio preventivo dell’ente affidante.

L’individuazione di tali ulteriori parametri poggia sulla considerazione che il solo controllo societario totalitario non sia garanzia sufficiente ai fini dell’ammissibilità dell’in house, occorrendo anche un’influenza determinante da parte del socio pubblico sia sugli obiettivi strategici che sulle decisioni importanti, in modo tale che possa escludersi la ricorrenza del carattere di terzietà del soggetto affidatario in virtù delle condizioni di soggezione in cui lo stesso, pur dotato di autonoma personalità giuridica, si trova nei confronti dell’ente affidante, il quale è in grado di determinarne le scelte ed esercitare sull’impresa un’influenza dominante.

La sussistenza di una forma di controllo effettiva, e non solo formale ed apparente, è, inoltre, attestata dal concorso di ulteriori fattori, individuati nel controllo da parte dell’ente pubblico del bilancio dell’affidataria; nel controllo sulla qualità della amministrazione; nella titolarità di poteri ispettivi diretti e concreti e nella totale dipendenza dell’affidatario diretto in tema di strategie e politiche aziendali.

Così illustrati i presupposti di ammissibilità dell’affidamento in house, i quali devono ricorrere in ogni ipotesi in cui, sulla base della normativa nazionale, sia consentito in astratto il ricorso a tale modalità, occorre procedere alla verifica della loro sussistenza nella fattispecie in esame, alla luce delle censure ricorsuali proposte.

Sotto un primo profilo, denuncia parte ricorrente la non configurabilità, nell’ambito dei rapporti sottese al disposto affidamento, del controllo da parte della Provincia di Avellino sull’affidataria che sia analogo a quello svolto sui propri servizi, recando l’art. 24 dello Statuto di I. S.p.a. mere affermazioni di principio in ordine al controllo analogo e non essendo prevista alcuna idonea modalità per la sua concreta attuazione, come emergerebbe anche alla luce delle previsioni di cui all’art. 16 dello Statuto, che concentra sull’organo amministrativo, di esclusiva espressione della società, i poteri di gestione ordinaria e straordinaria.

Premesso, sotto un profilo metodologico, che la sussistenza del controllo analogo deve essere verificata in concreto alla luce dell’effettivo atteggiarsi dei rapporti tra ente affidante e società in house, come delineati dai relativi atti regolatori, osserva il Collegio – disattendendo le affermazioni di parte ricorrente – che può ritenersi la sussistenza degli indici idonei a concretizzare una forma di controllo effettivo ed idoneo da parte della Provincia sulla società domestica I., analogo a quello esercitatile sui propri servizi.

Difatti, essendo il controllo analogo una relazione organizzativa che deve giustificare l’affidamento, rivestono un ruolo centrale le regole basilari di funzionamento della società affidataria, dettate dall’atto costituito e dallo statuto, con conseguente valenza ancillare degli elementi ricavabili dall’atto o contratto di affidamento.

Ciò posto, a titolo di completezza, giova accennare a quanto riferito nella delibera n. 45 del 27 novembre 2009 – della cui valenza, invocata dalla resistente Amministrazione Provinciale al fine di ritenere integrato l’obbligo di motivazione sotteso all’affidamento in house, il Collegio ha ritenuto di dover prescindere stante la delibata non applicabilità, alla fattispecie, dell’art. 23 bis del Decreto Legge n. 112 del 2008 che tale obbligo prescrive – con cui il Consiglio Provinciale ha approvato la proposta di istituzione di una società a totale partecipazione pubblica per lo svolgimento delle funzioni di smaltimento e raccolta dei rifiuti sul territorio provinciale al fine di assicurare il totale controllo pubblico sul ciclo complessivo dei rifiuti, con valutazione delle possibili soluzioni rispondenti alla necessità di assicurare il controllo analogo da parte del Consiglio Provinciale.

Avuto invece riguardo alle indicazioni contenute nello Statuto, viene in rilievo quanto disposto dall’art. 24, intitolato al "controllo analogo’, ove, nell’affermare, in via di principio, che i soci – ovvero il socio, trattandosi di società a socio unico – effettueranno sulla società un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi, stabilisce che il monitoraggio ed il controllo sulla società viene assicurato attraverso l’obbligo di invio al socio, a cadenza annuale, del piano previsionale annuale delle attività, contenente il piano industriale, il piano economico e finanziario di breve e di lungo periodo che dovrà ottenere l’approvazione dell’Assemblea – che, giova evidenziare, è costituita dal socio unico che esercita il controllo sulla società – e la quale potrà fornire linee guida e di indirizzo.

Al medesimo onere di trasmissione al socio unico che effettua il controllo sono soggetti, altresì, le proposte di modifiche statutarie; la relazione trimestrale sugli elementi gestionali, economici, patrimoniali e finanziari della società; il bilancio annuale comprensivo di relazione sul conseguimento degli obiettivi indicati nel piano annuale e verifica degli investimenti; gli atti necessari per la verifica dell’efficacia, efficienza ed economicità della gestione e dello stato di attuazione degli obiettivi risultanti dagli atti di programmazione; qualsiasi altro atto avente riflessi sull’andamento gestionale della società.

Inoltre, contrariamente a quanto affermato da parte ricorrente, viene in tale articolo riconosciuto al socio unico il potere di esercitare il controllo sulla società mediante ispezioni ed accessi che, unitamente al controllo sul bilancio – che avviene nel modo sopra indicato – costituisce uno degli elementi individuati dalla giurisprudenza per ritenere integrato il controllo analogo.

In proposito, ricordato che la società I. è totalmente partecipata dalla Provincia di Avellino, giova richiamare quanto disposto dall’art. 9 dello Statuto con riferimento ai poteri dell’Assemblea – cui partecipa il socio unico – le cui deliberazioni sono previste come vincolanti e riferite espressamente all’approvazione del bilancio ed alla destinazione degli utili, alla nomina ed alla revoca dell’Amministratore Unico, dei Sindaci, del Presidente del Collegio Sindacale e dei direttori.

Quanto alla unicità del socio, viene in rilievo, altresì, l’art. 4.7 dello Statuto, laddove è fatto divieto di cessione o di ingressi nella società in favore di soggetti pubblici o privati, in tal modo preservando la persistenza del requisito per l’affidamento in house costituito dalla totale partecipazione pubblica, richiedendosi, come sopra accennato, per la legittimità dell’affidamento in house, che lo statuto della società non consenta che una quota del capitale sociale, anche minoritaria, possa essere alienata a soggetti privati

Ancora, l’art. 4.8 dello Statuto prevede che alla Provincia di Avellino è attribuita la titolarità di poteri di programmazione, indirizzo e controllo dell’intero ciclo di raccolta e smaltimento dei rifiuti, con facoltà di inviare alla società atti di indirizzo vincolanti o linee di indirizzo (art. 4.9), con corrispondente previsto obbligo per la società di svolgere le attività di cui all’oggetto sociale in conformità agli indirizzi strategici ed operativi definiti dalla Provincia (art. 4.7).

Deve, quindi, ritenersi, alla luce delle citate disposizioni dello Statuto della Società affidataria, che siano riscontrabili i criteri discretivi della sussistenza del controllo analogo, prevedendo l’architettura statutaria un assetto di rapporti da cui emerge l’influenza determinante dell’ente pubblico sulla società in ragione delle prerogative allo stesso riconosciute e degli obblighi previsti a carico della società.

L’assetto impresso agli organi societari dallo statuto non consente, inoltre, di condividere le affermazioni di parte ricorrente circa la preclusione all’esercizio da parte dell’ente pubblico di un controllo analogo sulla società in ragione dei poteri attribuiti dall’art. 16 dello Statuto all’organo amministrativo.

Precisato che viene prevista, all’art. 15 dello Statuto, l’amministrazione della società da parte di un Amministratore Unico – che come sopra ricordato, è nominato dall’Assemblea, costituita dal socio unico – la previsione di cui all’art. 16 circa il conferimento a tale Amministratore "dei più ampi poteri per la gestione ordinaria e straordinaria della società" non assume la valenza denunciata da parte ricorrente di vanificazione dei poteri di controllo da parte dell’ente pubblico, essendo contestualmente previsto in tale articolo che i poteri di gestione vengono esercitati fatti salvi i poteri riservati all’Assemblea – e sopra illustrati – e le disposizioni dettate dall’art. 24 in materia di controllo analogo.

I poteri di gestione conferiti all’Amministratore Unico sono pertanto riconducibili ai poteri necessari ad assicurare l’operatività della società, i cui indirizzi vengono stabiliti dall’Assemblea che ne controlla anche la relativa attuazione, nell’ambito di un condizionamento strategico ed operativo incisivo e tale da configurare il requisito del controllo analogo declinato secondo le coordinate precedentemente illustrate attuato anche attraverso il vaglio preventivo dell’ente affidante sulle decisioni più importanti della società domestica.

Dovendo in proposito ricordarsi la sussistenza di strumenti adeguati e rilevanti di controllo assembleare cui partecipa il socio unico, con potere di influenzare direttamente la gestione sulla scorta del preventivo e vincolante regime di approvazione ed autorizzazione assembleare.

Pur se la giurisprudenza ha ritenuto necessario che il consiglio di amministrazione della affidataria in house non abbia rilevanti poteri gestionali, tale requisito va interpretato in relazione alla titolarità in capo all’ente pubblico affidante di poteri, pur se con moduli societari su base statutaria, di ingerenza e di condizionamento superiori a quelli tipici del diritto societario, in modo tale da escludere margini di rilevante autonomia della governance rispetto all’ente controllante, risultando quindi essenziale ed indispensabile che le decisioni più importanti siano sempre sottoposte al vaglio preventivo dell’ente affidante, come avviene nella fattispecie in esame sulla base delle norme statutarie.

Né, contrariamente a quanto affermato da parte ricorrente, può ritenersi che l’organo amministrativo sia esclusiva espressione della società I., trovando tale affermazione evidente confutazione alla luce della previsione statutaria che ne riserva la nomina all’Assemblea, la quale può anche revocarlo.

Sotto altro profilo, deduce parte ricorrente, sulla base delle disposizioni statutarie- e segnatamente dell’art. 4 – che la società I. avrebbe una ontologica natura commerciale stante la previsione della possibilità di ampliamento dell’oggetto sociale, che renderebbe precario il controllo dell’ente pubblico, con contestuale affermata vanificazione del requisito inerente la realizzazione della parte più importante della propria attività con l’ente che la controlla.

In proposito, osserva il Collegio che la previsione recata dall’art. 4 dello Statuto, al punto 4, laddove prevede che "l’esercizio di attività non costituenti servizio pubblico di rilevanza locale potrà essere svolta previa comunicazione al socio che esercita il controllo analogo", seppure consente lo svolgimento di attività diverse da quelle relative al servizio pubblico per cui la società è stata costituita – ferma restando la necessità della approvazione da parte dell’ente pubblico controllante – non determina il venir meno del requisito di legittimità dell’in house che richiede che la parte prevalente dell’attività sia strumentale alle esigenze pubbliche che l’ente controllante è chiamato a soddisfare.

Non sottace il Collegio che tale disposizione si potrebbe prestare ad un’apertura della società ad attività di natura commerciale, esorbitante rispetto all’ambito di ammissibilità dell’in house, tuttavia la deviazione rispetto allo schema tipico dell’in house dovrà essere accertata in concreto laddove tale vocazione commerciale trovasse concreta attuazione, non potendosi allo stato delibare nel senso della reale sussistenza di tale conformazione societaria, e ciò alla luce del complessivo assetto societario e delle ulteriori disposizioni, dettate dal citato art. 4, che funzionalizzano tutte le attività della società affidataria al servizio di gestione del ciclo integrato dei rifiuti, anche per il tramite di una serie di attività strumentali e connesse, restando l’esercizio di attività non costituenti servizio pubblico locale di rilevanza economica una mera possibilità, solo enunciata, la cui concreta esplicazione dovrà essere impedita dall’ente controllante nell’esercizio dei poteri allo stesso spettanti al fine di mantenere, in capo all’affidataria, i requisiti di legittimità dell’in house, evitando di farle conseguire posizioni di vantaggio sul mercato alterando le regole della concorrenza.

L’esigenza cui gli indicati requisiti di ammissibilità dell’istituto dell’affidamento in house rispondono è quella della valorizzazione della vocazione istituzionale e pubblicistica della società in house rispetto alla logica commerciale che permea le società di diritto comune, svincolate da controlli gerarchici.

In tale ottica deve ritenersi ostativa alla configurabilità del modello in parola l’acquisizione, da parte dell’impresa affidataria, di una vocazione schiettamente commerciale tale da rendere precario il controllo dell’ente pubblico.

Tale vocazione, può, in particolare, essere desunta dall’ampliamento, anche progressivo, dell’oggetto sociale e dall’apertura obbligatoria della società ad altri capitali o dall’espansione territoriale dell’attività della società, con conseguente affermarsi di una vocazione strategica basata sul rischio di impresa che finisce infatti per condizionare le scelte strategiche dell’ente asseritamene in house, distogliendolo dalla cura primaria dell’interesse pubblico di riferimento e, quindi, compromettendone la natura organica, pur se entificata, dell’ente ed allo stesso funzionalizzata.

Dovendo la natura commerciale della società in house essere verificata alla stregua del relativo atto costitutivo e dello statuto d essere desunta da una pluralità di indici, non ritiene il Collegio che il complessivo assetto impresso alla società domestica consenta di affermarne la vocazione commerciale, essendo l’ampliamento dell’oggetto sociale meramente eventuale e di rilievo marginale – fermo restando l’obbligo per l’ente controllante di impedire tale ampliamento – cui si affianca il divieto di apertura della società ad altri capitali e la sussistenza dei poteri propri del controllo analogo, idoneo ad escludere la sostanziale terzietà dell’affidatario domestico rispetto al soggetto affidante, stante la titolarità di quest’ultimo del potere di direzione, coordinamento e supervisione dell’attività del soggetto partecipato che consente all’ente affidante di dettare le linee strategiche e di influire in modo sulle decisioni dell’affidatario.

Pertanto, in considerazione delle previsioni statutarie, deve ritenersi la sussistenza dei requisiti cui è subordinata la possibilità di ricorso all’affidamento in house, postulando l’assetto impresso alla società I. un rapporto tra gli organi societari e l’ente pubblico affidante il potere di quest’ultimo di indirizzare tutta l’attività societaria attraverso strumenti pubblicistici e privatistici, esercitando altresì il controllo e la vigilanza sull’attività, anche mediante poteri ispettivi ed il controllo del bilancio, con totale e diretta dipendenza della società affidataria dall’ente controllante quanto a strategie e politiche aziendali.

In conclusione, alla luce delle considerazioni sin qui illustrate, il ricorso va rigettato, stante la rilevata infondatezza delle censure con esso proposte, come rinnovate mediante proposizione di motivi aggiunti.

Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.

definitivamente pronunciando sul ricorso N. 1062/2010 R.G., come in epigrafe proposto, lo rigetta.

Condanna parte ricorrente al pagamento delle spese di giudizio, che liquida in euro 1.500,00 (millecinquecento,00) a favore congiuntamente del Commissario Delegato e della Presidenza del Consiglio dei Ministri, in euro 1.500,00 (millecinquecento,00) a favore della Provincia di Avellino ed in euro 1.500,00 (millecinquecento,00) a favore di I. S.p.a..

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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