Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 11-01-2011) 22-02-2011, n. 6574 armi Detenzione, spaccio, cessione, acquisto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con sentenza 20 maggio 2005, il Tribunale di Sassari ha ritenuto C.I. responsabile del reato previsto dal D.Lgs. n. 268 del 1998, art. 22, comma 12 e lo ha condannato alla pena di giustizia, mentre ha lo assolto, con la formula perchè il fatto non sussiste, dai residui delitti (calunnia, minaccia, tolleranza abituale, favoreggiamento, sfruttamento della prostituzione, favoreggiamento della permanenza nel territorio di cittadine extracomunitarie, porto abusivo di coltello, illecita detenzione di stupefacente).

Avverso la sentenza hanno proposto appello sia l’imputato sia il Pubblico Ministero.

In riforma della decisione del primo Giudice, la Corte territoriale di Cagliari sd Sassari, con sentenza 1 ottobre 2009, ha dichiarato l’imputato responsabile dei delitti previsti dagli artt. 368 e 611 cod. pen., L. n. 75 del 1958, artt. 3 e 4, D.Lgs. n. 268 del 1998, art. 22 e – uniti i reati con il vincolo della continuazione e concesse le attenuanti generiche – lo ha condannato alla pena di anni cinque di reclusione; i Giudici hanno dichiarato non doversi procedere in ordine alla contravvenzione D.Lgs. n. 286 del 1998, ex art. 22, comma 12 perchè estinta per prescrizione. Per giungere a tale conclusione, la Corte ha evidenziato come, dal compendio probatorio, fossero rilevabili le seguenti emergenze. L’imputato, nel suo locale notturno, aveva assunto donne extracomunitarie e prive di soggiorno da lui retribuite, che seguivano le sue direttive ed alle quali aveva fornito un alloggio. Il locale (con separes oscurati e telecamere a circuito chiuso) era strutturalmente predisposto per lo svolgimento di prestazioni sessuali tra gli avventori e le intrattenitrici; il C. non solo consapevole di questa attività, ma organizzava incontri a pagamento e ne traeva lucro perchè le donne, per uscire con i clienti, dovevano corrispondere una somma all’imputato.

Le ragazze che non si erano piegate alle pretese del C. e non intendevano prostituirsi erano state oggetto di una calunniosa denuncia di furto pilotata, anche con minacce, dall’imputato.

I Giudici hanno dato atto che la ricostruzione dei fatti era basata, anche, sulle dichiarazioni delle donne recuperate a sensi dell’art. 512 cod. proc. pen.; sul punto, hanno rilevato come non si potesse fare discendere la inattendibilità delle dichiaranti, evidenziata dalla difesa, dalla impossibilità di escuterle nel contraddittorio che è insita nella previsione della ricordata norma.

Per l’annullamento della sentenza, l’imputato ha proposto ricorso per Cassazione deducendo difetto di motivazione e violazione di legge, in particolare, rilevando:

– che le dichiarazioni lette ex art. 512 cod. proc. pen sono inutilizzabili perchè era prevedibile che le donne (dedite alla prostituzione, senza permesso di soggiorno, senza stabile dimora o lavoro nel territorio) si sarebbero sottratte al vaglio dibattimentale: la situazione imponeva di escuterle con incidente probatorio;

– che la Corte non ha fornito una spiegazione sulla diversa valutazione delle prove rispetto al primo Giudice;

– che il compendio istruttorio non è sufficiente a sorreggere una declaratoria di condanna dal momento che le uniche persone offese presenti in giudizio (la S. e la P.) hanno reso dichiarazioni dibattimentali divergenti dalle pregresse e da quelle acquisite a sensi dell’art. 512 cod. proc. pen..

Sulla recuperabilità delle dichiarazioni con il meccanismo dell’art. 512 cod. proc. pen. il ricorrente propone censure in astratto plausibili, mentre non condivisibili sono tutte le conclusioni che trae dagli enucleati, ed esatti, principi di diritto.

Relativamente allo addebito sub E ( D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 22) è sufficiente la testimonianza dello Ispettore B., unita alla sostanziale ammissione del C., per concludere che manca agli atti la evidente prova favorevole all’imputato che possa permettere la priorità del proscioglimento nel merito rispetto alla declaratoria di prescrizione.

Per quanto concerne le plurime violazione alla L. n. 75 del 1958, deve evidenziarsi come la Corte territoriale abbia avuto come referente, per pervenire ad una decisione di condanna, oltre gli accertamenti di Polizia, le testimonianze della S. e della P. e della N.; le prime due, sono state escusse al dibattimento nel pieno contraddittorio tra le parti e, di conseguenza, per queste persone offese, le critiche difensive sull’utilizzo dell’art. 512 cod. proc. pen. non sono conferenti.

Per la N., le deduzioni del ricorrente potrebbero essere puntuali; tuttavia,, anche espungendo dal testo del provvedimento impugnato le dichiarazioni della donna, non viene meno la completezza istruttoria ed argomentativa della motivazione che ben può reggersi sulle concordanti accuse delle altre due persone.

A conforto di tali accuse, si pongono gli accertamenti di Polizia e la ammissione dello stesso imputato il quale non ha negato di Aver dato il permesso alle intrattenitrici di allontanarsi con i clienti dal locale purchè gli venisse corrisposta una somma di denaro.

Per minare la attendibilità della S. e della P. il ricorrente introduce censure prive della necessaria concretezza.

Lamenta una difformità tra le varie dichiarazioni senza precisare quali siano le divergenze e senza allegare i verbali o trascrivere il contenuto delle dichiarazioni nel ricorso (in violazione del principio di autosufficienza dello stesso che, enucleato nel cod. proc. civ., è valevole anche in questa sede).

Per il reato sub C ( L. n. 75 del 1958, art. 3, comma 1, nn. 3 e 8, art. 4, n 7) si potrebbe porre il problema (non approfondito in sentenza e non affrontato nei motivi di ricorso) della sussistenza, oltre che dei reati di favoreggiamento e di sfruttamento, anche della tolleranza abituale della prostituzione; comunque, non essendo stata applicata la continuazione interna per i delitti ex L. n. 75 del 1958, la questione non ha ricadute sul regime sanzionatorio.

Per il reato sub D ( D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 12, comma 5) le accuse della P. e della S. possono ritenersi sufficienti sorreggere una declaratoria di responsabilità per quanto concerne la loro posizione personale, ma non quella delle altre parti lese cittadine rumene non escusse al dibattimento; in merito ai reati sub A, B ( artt. 368 e 611 cod. pen.) si deve rilevare come la prova si fondi esclusivamente su dichiarazioni acquisite a sensi dell’art. 512 cod. proc. pen..

In relazione a queste dichiarazioni, la Corte non si è data carico di verificare se sussistevano i presupposti normativamente richiesti per essere veicolate, tramite lettura, tra le prove utilizzabili a fini decisori. La Corte non ha neppure considerato se la norma applicabile fosse quella citata o l’art. 512 bis cod. proc. pen. dal momento che dal testo della impugnata sentenza pare che le dichiaranti fossero straniere residenti all’estero.

I Giudici hanno solo rilevato che non vi era connessione tra la inattendibilità e la impossibilità di escutere le donne quali testimoni; non si sono posti il problema, di focale importanza, della prevedibilità della assenza dibattimentale delle persone offese, in rapporto alle peculiari condizioni soggettive delle stesse, al momento in cui era possibile l’attivazione dello incidente probatorio.

Per tale lacuna motivazionale, la Corte annulla la impugnata sentenza con rinvio ad altra sezione della Corte di Appello di Cagliari perchè i nuovi Giudici verifichino se vi sono i presupposti per il recupero delle dichiarazioni a sensi dell’art. 512 cod. proc. pen. (oppure art. 512 bis cod. proc. pen.).
P.Q.M.

La Corte annulla la impugnata sentenza con rinvio alla Appello di Cagliari per un nuovo giudizio limitatamente ai reati cui all’art. 368 c.p., art. 611 c.p., D.Lgs. n. 268 del 1998, art. 12, comma 5.

Rigetta nel resto.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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