Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 06-04-2011, n. 7889 Istruzione pubblica

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La sentenza di cui si chiede la cassazione, in riforma della sentenza del Tribunale di Udine 27 ottobre 2004-24 febbraio 2005, n. 369 del 2004, accoglieva l’appello proposto dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca e, conseguentemente, respingeva tutte le domande proposte dai professori F.R. e G. C. con il ricorso originario, riguardanti il riconoscimento del diritto dei ricorrenti ad essere immessi in qualità di riservatari nel ruolo dei docenti per la cattedra di lingua inglese nelle scuole medie inferiori e secondarie per l’anno scolastico (OMISSIS) (con ogni diritto in ordine al trattamento giuridico, economico e previdenziale e al risarcimento dei danni derivanti dall’omessa applicazione di norme imperative, con gli accessori di legge), in quanto entrambi abilitati nelle rispettive classi di concorso, inseriti nelle relative graduatorie permanenti nella Provincia di Udine e inclusi nell’elenco dei disabili della stessa Provincia ai fini del collocamento obbligatorio, ai sensi della L. 12 marzo 1999, n. 68.

Secondo la Corte d’appello di Trieste dal complesso delle norme intervenute in materia si desume che i titoli di precedenza conseguiti all’iscrizione nell’elenco dei disabili di cui alla L. n. 68 del 1999, art. 8 rilevano non in modo unitario e indifferenziato, ma solo all’interno di ciascuno scaglione o fascia, il cui utilizzo è assimilabile ad una distinta procedura di selezione. Ciò nel legittimo intento di salvaguardare posizioni e aspettative già acquisite, quali non sono quelle dei ricorrenti, per i quali non si può parlare di nomine già conferite, visto che essi sono stati soltanto convocati per l’immissione in ruolo, ma senza alcun seguito.

Il ricorso dei professori R.F. e G.C. domanda la cassazione della sentenza per un unico, articolato, motivo; resiste con controricorso il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca.
Motivi della decisione

1. Con l’unico articolato motivo è denunciato difetto di motivazione su un punto decisivo della controversia e violazione e falsa applicazione di legge ( artt. 3, 4 e 97 Cost.) e si formulano i seguenti quesiti di diritto:

a) "dica la Suprema Corte se la normativa di cui alla L. n. 68 del 1999 devono ritenersi norme imperative e non derogabili da normativa di settore e se tali norme possano essere derogate o interpretate restrittivamente da provvedimenti amministrativi, pur vagliati in sede consultiva dal Consiglio di Stato";

b) "dica la Suprema Corte se il D.L. n. 255 del 2001, art. 1, comma 7 tuteli solo le posizioni di chi ha già sottoscritto il contratto oppure, come richiesto dai ricorrenti, anche le posizioni di diritto maturate ma non riconosciute dall’Amministrazione e se sia elusivo di norme imperative il comportamento dell’Amministrazione di suddivisione in subfasce e subgraduatorie rispetto all’inserimento dei lavoratori disabili".

Per le suesposte ragioni i ricorrenti chiedono la cassazione della sentenza impugnata e, per l’effetto, la conferma della sentenza di primo grado, con ogni conseguente provvedimento.

2.- Il ricorso, cui ratione temporis si applica l’art. 366-bis cod. proc. civ., deve ritenersi ammissibile in quanto, in base ad un orientamento condiviso di questa Corte, la formulazione di distinti e plurimi quesiti di diritto, in esito all’illustrazione di un unico motivo di ricorso per cassazione, non può ritenersi contrastante, di per sè, con la disposizione del citato art. 366-bis cod. proc. civ. per il solo fatto che questa esige che il motivo si concluda, a pena di inammissibilità, con "un quesito". Potendo, infatti, il motivo di ricorso essere articolato con riferimento a diverse e concorrenti violazioni di legge, il quesito deve rispecchiare ciascuna di tali articolazioni, sicchè può ben assumere una forma, anche dal punto di vista grafico, separata (Cass. 9 giugno 2010, n. 13868).

3.- Nel merito le censure sono fondate nei limiti di seguito precisati.

3.1. La Corte d’appello di Trieste osserva, in primo luogo, che il susseguirsi nella materia, in un arco temporale estremamente ridotto, della suddetta L. 12 marzo 1999, n. 68 e della L. 3 maggio 1999, n. 124, (sul reclutamento del personale scolastico) ha dato luogo a molteplici problemi interpretativi, la cui soluzione ha reso necessari prima un parere del Consiglio di Stato (in data 13 dicembre 2000) e poi una normativa legislativa di carattere interpretativo (del D.L. 3 luglio 2001, n. 255, art. 1 convertito, con modificazioni, dalla L. 20 agosto 2001, n. 333). Entrambi tali interventi, ad avviso della Corte d’appello, hanno chiarito che i titoli di precedenza conseguiti all’iscrizione nell’elenco dei disabili di cui alla L. n. 68 del 1999, art. 8 rilevano non in modo unitario e indifferenziato, ma solo all’interno di ciascuno scaglione o fascia, il cui utilizzo è assimilabile ad una distinta procedura di selezione. Ciò nell’ottica, ispiratrice di tutta la legislazione in materia concorsuale, del previo esaurimento delle precedenti graduatorie e della salvaguardia delle posizioni acquisite nelle graduatorie medesime e di cui al D.Lgs. 16 aprile 1994, n. 297, art. 401 che già da tempo regolava la materia. Del resto ha sottolineato la Corte d’appello – anche la Corte costituzionale, nella sentenza n. 168 del 2004, nel dichiarare l’infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale del D.L. n. 255 del 2001, citato art. 1, commi 2 e 7, sollevate in riferimento agli artt. 3 e 97 Cost., ha posto l’accento sul legittimo intento perseguito con la suddetta normativa, consistente nel salvaguardare posizioni e aspettative già acquisite, quali non sono quelle dei ricorrenti, cui non era ancora stata conferita la nomina.

3.2.- La questione relativa all’ambito di operatività della quota di riserva in favore dei disabili e del relativo diritto di priorità nell’assunzione in riferimento al reclutamento del personale docente della scuola è già stata più volte esaminata da questa Corte che – dopo un precedente in senso contrario (Cass. 29 dicembre 2006, n. 27600) basato su una interpretazione sostanzialmente analoga a quella accolta nella sentenza qui impugnata – a partire dalla sentenza delle Sezioni unite 22 febbraio 2007, n. 4110 si è orientata, con indirizzo ormai consolidato (vedi: Cass. 11 settembre 2007, n. 19030;

Cass. 9 settembre 2008, n. 23112; Cass. 12 marzo 2009, n. 6026), su una diversa interpretazione.

La motivazione delle menzionate sentenze sorregge anche la decisione del presente giudizio.

Come è stato osservato da più parti, la L. n. 68 del 1999 – la cui emanazione ha seguito le numerose critiche mosse alla normativa sulle assunzioni obbligatorie dettata dalla L. 2 aprile 1968, n. 482 – determina nella tutela degli invalidi un salto di qualità. Essa, infatti, segna il passaggio da un sistema, prevalentemente ispirato all’idea della configurazione dell’inserimento degli invalidi nelle imprese come un peso da sopportare in chiave solidaristica, ad un altro sistema diretto, invece, a coniugare la valorizzazione delle capacità professionali del disabile con la funzionalità economica delle imprese stesse.

In tale ottica è stato anche rimarcato che con la normativa del 1999 si è manifestata una più accentuata sensibilità del legislatore verso la persona dell’invalido, pur nel rispetto del principio del bilanciamento degli interessi; il che è attestato, da un lato, dalla completa equiparazione dei datori di lavoro pubblici a quelli privati – con la perdita da parte dei primi di quello che è stato visto come il privilegio (accordato dalla L. n. 482 del 1968, art. 12) di subordinare l’assunzione degli invalidi al verificarsi delle vacanze in organico – e, dall’altro, da un riallineamento dei parametri delle quote di riserva a quelli fissati dagli altri Paesi europei.

Una corretta lettura della L. n. 68 del 1999, art. 3 non può, dunque, che comportare il riconoscimento della piena fondatezza delle domande dei professori R. e G., sussistendo nella specie un obbligo della Pubblica amministrazione a ricoprire i posti riservati agli invalidi; obbligo che non poteva in alcun modo essere eluso, atteso che non confliggeva nè con il principio delle diverse graduatorie separate di merito (corrispondenti alla diverse fasce), nè con il principio meritocratico posto a base di dette graduatorie, per essersi creata la necessità di assegnare due posti nella quota riservata e per non riscontrarsi nella fascia superiore a quella in cui erano collocati i professori R. e G., persone appartenenti alle categorie protette aventi, come tali, titolo per concorrervi.

Dalle suesposte considerazioni può desumersi con certezza che nell’impiego pubblico privatizzato ogni tipo di graduatoria vincola in modo assoluto il datore di lavoro ad individuare gli aventi diritto all’assegnazione dei posti "riservati", essendosi in presenza di un principio generale che non può essere in alcun modo violato (vedi, in particolare Cass. 9 settembre 2008, n. 23112, cit.).

E che si tratti di un diritto da osservarsi, stante la sua inderogabilità, dalla Pubblica amministrazione – tenuta in materia, come i privati datori di lavoro, al rispetto del principio fissato dall’art. 38 Cost., insuscettibile di essere disatteso – emerge con certezza anche dal contenuto della L. n. 68 del 1999, art. 16 riguardante i "concorsi presso le pubbliche amministrazioni". Detta disposizione, infatti, da un lato, pone limitazioni solo per casi tassativi alla partecipazione ai concorsi dei disabili per l’occupazione di posti comportanti l’esercizio di specifiche e predeterminate mansioni (vedi art. 16, comma 1, ed il riferimento all’art. 3, comma 4, ed art. 5, comma 1); e dall’altro, ad ulteriore dimostrazione dell’assoluta vincolatività dell’assegnazione dei posti riservati inderogabilmente ai disabili, riconosce (anche al fine di contribuire a rendere nella realtà fattuale l’art. 38 Cost., norma precettiva) la possibilità di assumere i disabili (che abbiano conseguito la idoneità in pubblici concorsi) anche se non versino in stato di disoccupazione e oltre il limite dei posti ad essi riservati nel concorso.

Corollario delle argomentazioni sinora svolte è altresì l’affermazione che, mentre l’Amministrazione scolastica non può attingere gli aspiranti "riservatari o non" da una successiva graduatoria prima dell’esaurimento di quella precedente della "stessa specie", essa è invece obbligata ad attingere gli invalidi dall’apposita graduatoria per coprire quei posti che, riservati ai sensi della L. n. 68 del 1999, art. 3 rimarrebbero altrimenti illegittimamente scoperti. Ogni diversa opinione finirebbe per eludere il dettato legislativo e per disattendere la tutela apprestata ai disabili dal dettato costituzionale perchè legittimerebbe – ad esempio nei casi in cui le fasce di merito fossero composte di più aspiranti e solo nell’ultima fossero collocati uno o più disabili – una completa disapplicazione delle quote di riserva di cui alla L. n. 68 del 1999, art. 3.

Le conclusioni cui si è pervenuti trovano ulteriore conforto nel reticolato di numerose disposizioni della L. n. 68 del 1999. Dette disposizioni, come si è detto, mostrano sotto diversi versanti un rafforzamento in chiave garantistica della tutela apprestata (sia nell’area pubblica che in quella privata) per gli appartenenti alle categorie protette, abbandonando l’ottica della precedente normativa, favorevole a riconoscere maggiori spazi alla libertà decisionale del datore di lavoro in ragione delle esigenze di un pronto recupero della produttività aziendale. Nè può il datore di lavoro pubblico attraverso circolari o altri provvedimenti negare un diritto che, per la sua natura e per l’interesse ad esso sotteso, non è suscettibile di alcuna lesione ad opera di fonti non primarie.

3.4.- Tutto ciò non si pone in contrasto con quanto affermato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 168 del 2004.

In detta sentenza, infatti, la Corte si è limitata a dichiarare la non fondatezza delle sollevate questioni di legittimità costituzionale relative alla conformità agli artt. 3 e 97 Cost. del D.L. n. 255 del 2001 citato, art. 1, commi 2 e 7, ma non si è affatto occupata dei rapporti tra la normativa dettata dalla L. n. 68 del 1999 e quella dettata dal suddetto D.L. n. 255 del 2001 e dalla L. n. 124 del 1999. Non ha quindi affrontato il problema del collocamento obbligatorio degli insegnanti invalidi, la cui disciplina si pone in rapporto di specialità rispetto a quella generale di avviamento e costituzione del rapporto di lavoro (vedi, da ultimo, Cass. 31 maggio 2010, n. 13285).

Va invece considerato, come ulteriore argomento, che anche nell’Unione europea e nell’ordinamento internazionale la tutela del disabile ha assunto un ruolo sempre più pregnante.

Basti pensare che la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea – proclamata a Nizza nel 2000 e successivamente adattata a Strasburgo il 13 dicembre 2007 – all’art. 26 (intitolato "Inserimento dei disabili") stabilisce che: "L’Unione riconosce e rispetta il diritto dei disabili di beneficiare di misure intese a garantirne l’autonomia, l’inserimento sociale e professionale e la partecipazione alla vita della comunità".

A questa Carta l’art. 6 del Trattato di Lisbona ha attributo il valore giuridico dei trattati, ma anche in precedenza ad essa è stato riconosciuto "carattere espressivo di principi comuni agli ordinamenti europei" (Corte costituzionale, sentenze n. 135 del 2002, n. 393 e n. 394 del 2006) avente, quindi, come tale valore di ausilio interpretativo (Corte cost. sentenze n. 349 del 2007, n. 251 del 2008).

Inoltre, per quanto attiene alla normativa internazionale, la recente Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, adottata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite il 13 dicembre 2006, entrata in vigore sul piano internazionale il 3 maggio 2008 e ratificata e resa esecutiva dall’Italia con L. 3 marzo 2009, n. 18, all’art. 27 statuisce che "gli Stati Parti riconoscono il diritto al lavoro delle persone con disabilità, su base di uguaglianza con gli altri; segnatamente il diritto di potersi mantenere attraverso un lavoro liberamente scelto o accettato in un mercato del lavoro e in un ambiente lavorativo aperto, che favorisca l’inclusione e l’accessibilità alle persone con disabilità".

Diritto – specifica la Convenzione in parola – che deve essere garantito, anche attraverso l’adozione di "appropriate iniziative" volte, fra l’altro, a favorire l’assunzione delle persone con disabilità nel settore pubblico ovvero il loro impiego nel settore privato.

Nè va dimenticato che a tale ultima Convenzione la Corte costituzionale, nella sentenza n. 80 del 2010, ha attribuito valore cogente nel nostro ordinamento.

4.- In base alle considerazioni che precedono il ricorso deve essere accolto con conseguente cassazione della sentenza impugnata.

Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, dichiarando il diritto dei ricorrenti R.F. e G.C. alla assunzione da parte del Ministero resistente quali insegnanti nella Provincia di Udine per le cattedre indicate in narrativa a decorrere dall’anno scolastico (OMISSIS) e condannando il Ministero stesso al risarcimento dei danni mediante la corresponsione di tutti gli emolumenti non percepiti dall’1 settembre 2000 sino alla effettiva assunzione, oltre agli interessi legali su tali somme dalle singole scadenze al saldo.

Il recente consolidamento dell’indirizzo giurisprudenziale di questa Corte in merito all’interpretazione della normativa in argomento induce a compensare, per giusti motivi, le spese dei giudizi di merito.

Viceversa, le spese del giudizio di cassazione, per il criterio della soccombenza, vengono poste a carico del resistente e sono liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, dichiara il diritto dei ricorrenti R. F. e G.C. alla assunzione da parte del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, quali insegnanti nella Provincia di Udine, a decorrere dall’anno scolastico (OMISSIS) e condanna il Ministero medesimo al risarcimento dei danni, mediante la corresponsione di tutti gli emolumenti non percepiti dall’1 settembre 2000 sino alla effettiva assunzione, oltre agli interessi legali su tali somme dalle singole scadenze al saldo.

Compensa le spese dei giudizi di merito e condanna l’Amministrazione resistente alle spese del giudizio di cassazione, liquidate in Euro 15,00 per esborsi, oltre a Euro tremila, (3.000/00) per onorario unico difensivo, oltre spese generali, IVA, CPA. Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione lavoro, il 2 febbraio 2011.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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