Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 17-11-2010) 22-02-2011, n. 6596

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

A.- Con la sentenza di cui in epigrafe, la Corte di appello di Roma confermava la sentenza del GUP del locale Tribunale, che aveva condannato I.R. per il delitto ex art. 110 c.p., art. 378 c.p., commi 1 e 2, e D.L. n. 152 del 1991, art. 7, per avere, in concorso con C.L. (con la quale intratteneva una relazione sentimentale) e altri, aiutato S.G. a eludere le investigazioni e le ricerche dell’Autorità giudiziaria e della Polizia giudiziaria, fornendogli alloggio e ospitalità nell’abitazione sita in (OMISSIS), di proprietà e nella disponibilità della C., ove lo aiutava a trasferirsi dall’agro aversano; con le aggravanti di aver commesso il fatto al fine di agevolare l’organizzazione di tipo camorristico denominata Clan dei Casalesi, di cui il S. era uno dei principali esponenti, e dello stato di latitanza del S..

B.- Propone ricorso per cassazione il prevenuto, deducendo:

1.- che la Corte di merito non ha motivato in ordine a tutte le censure proposte dalla difesa;

2.- che è stata illegittimamente e illogicamente respinta la richiesta di assunzione di prove decisive, quali in particolare le dichiarazioni dei pentiti D.C. e Sp. e la sentenza del GUP di Napoli relativa alla condanna di M.S., moglie del S., per avere favorito la latitanza e la fuga del marito;

3.- la violazione di legge e il vizio di motivazione in relazione alla aggravante D.L. n. 152 del 1991, ex art. 7, ritenuta sussistente pur in assenza di elementi comprovanti la finalità di agevolare il sodalizio criminoso (deponendo le risultanze processuali nel senso di un aiuto offerto a un singolo associato e per ragioni di personale amicizia);

4.- il vizio di motivazione in relazione alla suddetta aggravante D.L. n. 152 del 1991, ex art. 7, siccome ritenuta sussistente sulla base di mere congetture e presunzioni e trascurando elementi contrari o comunque utili per la migliore valutazione delle risultanze processuali;

5.- la violazione di legge e il vizio di motivazione in relazione alla aggravante D.L. n. 152 del 1991, ex art. 7, ritenuta sussistente sulla base di informazioni inesistenti quanto alla condotta agevolativa del clan dei casalesi e con pretermessa valutazione di dati probatori (travisati o ignorati) favorevoli aventi carattere di decisività;

6.- la violazione di legge e il vizio di motivazione in relazione alla aggravante ex cpv. art. 378 c.p., ritenuta sussistente pur in assenza di elementi comprovanti la conoscenza della qualità del S. come ricercato per il delitto ex art. 416 bis c.p., non bastando all’uopo le accuse di omicidio, delitto cui non è applicabile l’aggravante D.L. n. 152 del 1991, ex art. 7;

7.- la violazione di legge e il vizio di motivazione in relazione allo stato di necessità in cui il ricorrente si trovò ad agire, denegato a dispetto o con travisamento delle risultanze che lo confermavano;

8.- la violazione di legge e il vizio di motivazione in relazione al diniego delle attenuanti generiche e alla misura della pena, non giustificati alla stregua degli elementi in atti.
Motivi della decisione

Il ricorso è infondato.

Si osserva, invero, in ordine alle doglianze di cui sopra:

– sub B.1., che la stessa è, in sè, generica;

– sub B.2., che la stessa è inconferente, in quanto invoca regole di giudizio e oneri motivazionali inapplicabili al rito abbreviato, nel quale la richiesta di rinnovazione in appello dell’istruttoria può essere proposta solo dall’imputato che abbia subordinato la richiesta di accedere al rito abbreviato ad una specifica integrazione probatoria (Cass., Sez. 3, 2 marzo 2004 n. 15296, ric. Simek) e nei limiti dell’integrazione stessa, e non anche dall’imputato che abbia (come nel caso di specie) richiesto il rito abbreviato allo stato degli atti, il quale può solo sollecitare il giudice di appello all’esercizio – subordinato all’assoluta necessità (neppure dedotta in ricorso) della prova ai fini della decisione – del potere di ufficio di cui all’art. 603 c.p.p., comma 3 (in virtù del rinvio dell’art. 443 c.p.p., comma 4 all’art. 599 c.p.p. e, quindi, al comma 3 di questo articolo, che a sua volta rinvia al successivo art. 603 c.p.p.), con la conseguenza che il mancato esercizio di tale potere non può tradursi in un vizio deducibile mediante ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 606 c.p.p., lett. d) (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 25659 del 15/05/2009, dep. 18/06/2009, Marincola, Rv.

244163; Sez. 6, Sentenza n. 7485 del 16/10/2008, dep. 20/02/2009, Monetti, Rv. 242905;

– sub B.3.-4.-5., che la sentenza impugnata ha reso una motivazione corretta e non illogica sulla sussistenza della contestata aggravante speciale, valorizzando coerentemente: – le circostanze che precedettero l’intervento ausiliatore, chiaramente indicative di accordi pregressi (al di là dell’assenza, su cui si insiste nel ricorso, di intercettazioni di conversazioni dirette fra l’imputato e il S., e della breve durata della condotta criminosa direttamente rilevata, dovuta peraltro all’intervento delle forze dell’ordine, posto che, stando agli approvvigionamenti, anche di abbigliamento, effettuati, l’aiuto offerto al S. si annunciava come temporalmente prolungato), in una ai precedenti commenti fatti col fratello M. sulle vicende giudiziarie del S. (significativi – al di là della circostanza, richiamata dal ricorrente, della notizia della latitanza del S. diffusa dalla stampa – in ragione del ruolo avuto proprio dal M. nella concertazione dell’aiuto di cui in causa); – il contesto in cui il prevenuto si muoveva, partecipando, anche con frequenti incontri ancora col fratello M., alla rete di protezione del latitante cugino I.A. (in relazione al quale, quindi, non è venuto in rilievo, come lamenta il ricorrente, il rapporto di parentela come fatto a se stante), elemento di vertice, al pari del S., del clan dei casalesi; – l’utilizzo, nella vicenda in esame, dell’autovettura di un coimputato del S. nel delitto associativo, confermativo di rapporti con esponenti della consorteria; – la necessaria fiducia che il S. doveva riporre nel prevenuto per conseguire la protezione della sua sempre più pericolosa latitanza, resa più complicata dal contingente bisogno di soccorso sanitario (parimenti assicuratogli dal prevenuto attraverso la sua compagna C.), fiducia certamente non riconducibile a un risalente e da tempo interrotto rapporto d’amicizia, ma derivante all’evidenza dal contesto, dai rapporti e dalla parentela suddetti, indipendentemente dai contrasti (invocati dal ricorrente) sulle linee strategiche che potevano esserci ai vertici del clan e che certo non intaccavano il comune interesse a proteggersi dalle forze dell’ordine; – l’indubitabile conoscenza, da parte del prevenuto, del ruolo e della caratura e ferocia criminale del S., e la logica consapevole correlazione – in ragione di tanto e degli elementi tutti surriportati, nonchè dell’assenza di spiegazioni alternative di carattere personale – dell’aiuto allo stesso prestato con l’efficacia operativa, in tal modo agevolata, del sodalizio camorristico (v., nella giurisprudenza più recente, Cass. Sez. 5, Sentenza n. 42018 del 22/09/2009, dep. 02/11/2009, Iuliano, Rv. 245401; Sez. 5, Sentenza n. 41063 del 24/06/2009, dep. 26/10/2009, C e altri, Rv.

245386; Sez. 5, Sentenza n. 41587 del 24/09/2007, dep. 12/11/2007, Sorce, Rv. 238181);

– sub B.6., che la stessa è priva di pregio, posto che la circostanza aggravante di cui all’art. 378 c.p., comma 2, ha natura oggettiva, attenendo alla maggiore entità del danno subito dall’amministrazione della giustizia per effetto della lesione dell’interesse alla repressione del reato di cui all’art. 416-bis c.p. (oggetto del favoreggiamento), considerato di particolare gravità, e, pertanto, essa sussiste per il solo fatto dell’appartenenza del soggetto "favorito" all’organizzazione criminosa di stampo mafioso (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 35266 del 13/06/2007, dep. 21/09/2007, Ferrigno, Rv. 237849): condizione questa, per quanto concerne il S., che l’imputato certamente conosceva, con quanto di logica (e non incolpevolmente ignorabile) conseguenza, stante il ruolo del personaggio, in ordine alle connesse pendenze giudiziarie;

– sub B.7., che la stessa si basa su una improponibile lettura parziale, ipotetica e alternativa delle risultanze processuali ed è comunque intrinsecamente inidonea a dimostrare il requisito dell’attualità del pericolo, non integrato dal timore di successive rappresaglie (cfr. Cass. Sez. 6, Sentenza n. 27866 del 04/06/2001, dep. 11/07/2001, Sansone, Rv. 220272; conformi: sentt. N. 4554 del 1987 Rv. 175657, N. 13070 del 1987 Rv. 177302);

– sub B.8, che trattasi di censura su punti della decisione, quali il diniego delle attenuanti generiche e la commisurazione della pena, che sono rimessi alla valutazione discrezionale del giudice di merito, come tali sottratte al sindacato di legittimità, ove – come appunto nel caso di specie (v. il richiamo alle modalità del fatto, cui non è certo indifferente la pericolosità del soggetto favorito, e alla personalità del soggetto) – corredata di una motivazione idonea a far emergere le ragioni delle concrete scelte operate (non attaccabile certo con generici riferimenti comparativi a posizioni soggettive diverse).
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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