Cass. civ. Sez. II, Sent., 06-04-2011, n. 7881

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con atto del 1992, V.V. conveniva di fronte al tribunale di Roma Z.R., per la divisione di un appartamento in (OMISSIS), acquistato in comune; si costituiva la predetta, chiedendo le fosse riconosciuta una quota pari al 63% dell’immobile e proponendo altre domande correlate.

L’adito Tribunale, con sentenza non definitiva del 1995 disponeva la divisione in parti uguali del bene, con diritto del V. ai frutti civili dell’immobile; proponeva appello la Z., cui resisteva il predetto; con successiva sentenza de 2001, lo stesso Tribunale attribuiva l’immobile alla Z., con conguaglio di L. 35.000.000.

Proponeva appello il V. che lamentava l’erronea valutazione dell’immobile, erroneità nel calcolo degli interessi e rivalutazione dei crediti e la compensazione delle spese; resisteva la Z. che, con appello incidentale, riproponeva le domande originariamente proposte.

Con sentenza in data 3/15.6.2004, la Corte di appello di Roma accoglieva in parte l’appello principale in punto di interessi legali, rigettava nel resto e regolava le spese. Per quanto qui ancora interessa, la Corte capitolina osservava che la valutazione del compendio era da riferirsi al momento della divisione, mentre, quanto al calcolo degli interessi, gli stessi dovevano essere riconosciuti al tasso legale, con decorrenza sull’importo dovuto per ogni annualità, con decorrenza dalla domanda sino al perdurare del possesso esclusivo in capo alla Z., mentre, trattandosi di debito di valuta, non era dovuta rivalutazione.

Per la cassazione di tale sentenza ricorre, sulla base di tre motivi, illustrati anche con memoria, il V.; resiste con controricorso la controparte.
Motivi della decisione

Con il primo motivo, si lamenta violazione e falsa applicazione di norme di diritto con particolare riferimento agli artt. 720 e 1156 c.c., in relazione al valore dell’immobile e vizio di motivazione.

La Corte capitolina, ritenendo che la valutazione del compendio in divisione, considerata debito di valuta, andasse riferita al momento della divisione stessa, sarebbe incorsa in errore, atteso che avrebbe ignorato che la giurisprudenza consolidata di questa Corte riconosce alla quota da liquidare al condividente, debito di valore.

Il motivo è fondato; premesso che i principi dettati dall’art. 720 c.c., in tema di immobili non comodamente divisibili si applicano ad ogni scioglimento di comunione, va rilevato che il conguaglio in denaro che ai sensi della disposizione surricordata deve essere riconosciuto ad un condividente a seguito dell’attribuzione dell’intero bene ad altro condividente costituisce debito di valore e va di conseguenza determinato in termini di attualità.

Il giudice era quindi tenuto a fissare il valore effettivo della quota al momento della pronuncia, atteso anche che il V. era stato estromesso dal godimento dell’immobile per fatto della controparte, la quale aveva potuto quindi godere per intero il bene per tutto il periodo di tempo intercorso sino alla pronuncia.

In tal senso la consolidata giurisprudenza di questa Corte, cui si presta convinta adesione, secondo cui nel caso in cui uno dei comunisti utilizzi il bene quale esclusivo possessore e non consenta all’altro comproprietario, nonostante la richiesta formulata, di godere per la sua quota del bene comune ex art. 1102 c.c., quest’ultimo ha il diritto di essere comunque indennizzato per la compressione del suo diritto; in tal caso infatti, il danno deve ritenersi in re ipsa (Cass. 12.5.2010, n 11486).

Il conguaglio in denaro che sia riconosciuto ad un condividente esprime l’equivalente economico di una porzione di tale bene e pertanto costituisce debito di valore, da adeguarsi, anche d’ufficio e in grado di appello, alla stregua della lievitazione del prezzo di mercato del bene, intervenuta successivamente alla stima presa a base per le operazioni divisionali (v. Cass. 10.3.1987, n 2474;

giurisprudenza costante).

In applicazione di tali principi, il motivo in esame deve essere accolto.

Con il secondo mezzo, si lamenta vizio di motivazione in ordine alla determinazione degli interessi ed ai frutti civili. La sentenza impugnata ha attribuito al V. gli interessi al tasso legale con decorrenza dall’importo dovuto per ogni annualità, ovviamente prendendo a base del calcolo la somma capitale quale determinata in ragione del valore come determinato in base al ragionamento ritenuto erroneo sulla base delle considerazioni svolte a proposito del primo motivo di ricorso.

Su tale presupposto, ed in applicazione della consolidata (e condivisa) giurisprudenza secondo cui il condividente di un bene immobile che durante il periodo di comunione abbia goduto dal bene da solo senza un titolo giustificativo, deve corrispondere agli altri, quale ristoro della privazione della utilizzazione pro quota del bene comune e dei relativi profitti, i frutti con riferimento ai prezzi di mercato correnti al dal tempo della stima per la divisione a quello della pronuncia, deve considerarsi inadeguata la quantificazione degli interessi quale operata nella sentenza impugnata.

Anche tale mezzo merita pertanto accoglimento, mentre il terzo motivo, attinente alla regolamentazione delle spese, dovrà essere vagliato in relazione alla pronuncia che sarà adottata in sede di rinvio.

In definitiva, il ricorso deve essere accolto, con rinvio ad altra Sezione della Corte di appello di Roma, che, applicati i principi suesposti, provvederà anche alla liquidazione delle spese relative al presente procedimento per cassazione.
P.Q.M.

la Corte accoglie i ricorso; cassa e rinvia, anche per le spese, ad altra Sezione della Corte di appello di Roma.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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