Cass. civ. Sez. II, Sent., 06-04-2011, n. 7880 Azioni a difesa della proprietà

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con atto notificato il 4 luglio 2005, M.A., M.R., M.S. e P.L. ricorrono, sulla base di un unico motivo, per la cassazione della sentenza n. 748 della Corte di appello di Milano, depositata il 19 marzo 2005, che, in riforma della pronuncia di primo grado, aveva accolto la domanda della società Agricola Monte Caprino di accertamento negativo del diritto di servitù di passaggio su alcuni terreni di sua proprietà siti in frazione (OMISSIS) in favore del fondo di proprietà degli attuali ricorrenti e quindi respinto la domanda riconvenzionale di questi ultimi di acquisto della servitù per usucapione. In particolare, il giudice di secondo grado motivò tale decisione reputando che i convenuti non avessero dato la prova dei presupposti per l’usucapione del diritto contestato, atteso che essi avevano acquistato il loro terreno solo nel 1988 mentre prima erano stati conduttori del medesimo, sicchè, ai fini del possesso della servitù, difettava il requisito dell’animus, aggiungendo che nemmeno era stata offerta e fornita la prova di fatti di interversione del possesso ovvero della circostanza che esso era stato esercitato dai loro danti causa.

La società Agricola Monte Caprino resiste con controricorso.
Motivi della decisione

L’eccezione di inammissibilità del ricorso principale per mancata esposizione del fatto, sollevata dalla società nel proprio controricorso, va disattesa. L’esposizione del fatto che deve essere contenuta nel ricorso per cassazione, a pena di inammissibilità, ai sensi dell’art. 366 cod. proc. civ., comma 1, n. 3, non si risolve in un mero requisito d’ordine formale, ma è funzionalmente preordinata a fornire al giudice di legittimità la conoscenza necessaria dei termini in cui la causa è nata e si è sviluppata al fine di meglio valutare ed apprezzare, senza dovere ricorrere ad altre fonti o atti del processo, ivi compresa la sentenza impugnata, il quadro degli elementi fondamentali in cui si collocano sia la decisione contestata che i motivi di censura sollevati (Cass. n. 4403 del 2006; Cass. n. 2432 del 2003; Cass. n. 4937 del 2000). Tanto premesso, il ricorso, nonostante la stringatezza della parte dedicata alla ricostruzione delle vicende processuali, assolve comunque sostanzialmente a tale requisito, soprattutto nella parte in cui sviluppa i motivi, tenuto consto che esso fornisce indicazioni sufficienti in ordine all’origine ed ai contorni dell’oggetto della controversia, quali le specifiche domande, eccezioni e difese articolate dalle parti, e sullo svolgimento degli stessi fatti di causa, con particolare riguardo al contenuto e consistenza delle questioni controversie ed alle ragioni in forza delle quali esse sono state decise.

L’unico motivo di ricorso denuncia "Violazione, falsa applicazione e comunque errata interpretazione degli artt. 1140 e 1141 c.c., in relazione, a tutti gli elementi di prova in atti e conseguente omessa, insufficiente, errata e contraddittoria motivazione".

Con esso la parte ricorrente, premessa l’esposizione e riproduzione sintetica delle prove orali svolte in primo grado e del contenuto di taluni documenti, assume che la Corte di appello, che pure ha dato atto dell’uso ultraventennale dei convenuti del tracciato per cui è causa, ha errato per avere disatteso il principio secondo cui "quando è accertato l’esercizio di un potere sulla cosa corrispondente al contenuto di un diritto reale e non sia dimostrato, dal controinteressato, che tale potere è esercitato ad altro titolo, la sussistenza dell’animus possidenti si presume".

Si soggiunge che le affermazioni della sentenza secondo cui il soggetto che ha la mera detenzione non può usucapire, che non vi era stata interversione del possesso per carenza di fatti nuovi, che non poteva considerarsi tale la manutenzione del tracciato, che non era stato provato l’esercizio del possesso da parte dei precedenti proprietario danti causa si scontrano con te risultanze probatorie raccolte, che pacificamente dimostravano che i convenuti usavano del passaggio da oltre 25 anni ed avevano compiuto atti di manutenzione della strada anche prima di essere titolari del loro fondo, quando cioè ne erano conduttori.

Il mezzo è infondato.

La sentenza impugnata ha respinto la domanda di usucapione svolta dagli odierni ricorrenti sulla base dell’affermazione che essi non avessero provato il possesso ventennale della servitù di passaggio, essendo stati conduttori dell’immobile fino al 1988 e quindi esercitato il transito in qualità di meri detentori, in assenza, come tali, del c.d. animus possidendi, aggiungendo che nemmeno erano stati provati atti di interversione del possesso nè era stata invocato, ai fini dell’accessione, l’eventuale possesso della servitù da parte dei precedenti proprietari dell’immobile.

Questa ratio decidendo si sottrae agevolmente alle censure di violazione di legge sollevate nel ricorso. Essa, invero, non fa altro che applicare la regola generalissima dell’art. 1140 cod. civ., secondo cui ai fini del possesso è necessario che l’uso del bene sia accompagnato dalla intenzione di comportarsi come proprietario o come titolare del diritto reale corrispondente, intenzione che ovviamente non può ravvisarsi nei casi in cui il soggetto sia mero detentore del bene. Nè vale in contrario osservare con i ricorrenti che il possesso si presume, trattandosi di presunzione che, per espressa previsione dell’art. 1141 cod. civ., non opera nel caso in cui l’interessato abbia cominciato ad usare del bene in forza di un rapporto che gli ha conferito la mera detenzione, essendo in questo caso necessario una atto di mutamento della detenzione in possesso.

Tanto precisato, le ulteriori censure sollevate, che denunziano un difetto di motivazione per non avere il giudice territoriale considerato le prove raccolte che dimostravano l’uso ultraventennale del passaggio da parte dei ricorrenti ed il compimento da parte loro di atti di manutenzione della strada, si infrangono di fronte all’argomentazione della sentenza impugnata sopra riferita. L’uso del passaggio, infatti, – che peraltro il giudice dichiara fatto comune ad una "moltitudine indifferenziata (cacciatori, alpini, giovanotti in gita)" – tenuto conto che tale situazione non dimostra il requisito dell’animus possidendi: il fatto della manutenzione della strada, trattandosi di comportamento che – come correttamente ha affermato il giudice di merito con apprezzamento di fatto – non ha alcuna valenza al fine del mutamento della detenzione in possesso. Il ricorso va pertanto respinto.

Le spese di giudizio, liquidate in dispositivo, sono poste a carico della parte soccombente.
P.Q.M.

rigetta il ricorso proposto e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese di giudizio, che liquida in Euro 1.700,00 di Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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