T.A.R. Toscana Firenze Sez. II, Sent., 17-02-2011, n. 336 Motivazione dell’atto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. In data 26 gennaio 2008 la società L. S.r.l. presentava al S.U.A.P. di Monsummano Terme apposita D.I.A. per l’esercizio dell’attività di somministrazione di alimenti e bevande nell’esercizio ubicato nel predetto Comune, alla via Francesca Vergine dei Pini n.c. da attribuire (poi n. 461). In data 8 febbraio 2008, peraltro, la ditta "J.R.C.", di cui è titolare il sig. G.E.L.R., a seguito di intercorso accordo con la società L. S.r.l., presentava apposita D.I.A. per il subingresso nell’attività di somministrazione da svolgere nell’indicato esercizio.

1.1. Con nota dell’11 febbraio 2008, il S.U.A.P. contestava l’assenza del requisito oggettivo relativo all’attività di somministrazione consistente nella superficie minima da destinare all’indicata attività. Seguiva la replica dei ricorrenti, in riscontro alla quale la P.A. disponeva approfondimenti istruttori, eseguiti dalla Polizia Municipale, che portavano ad individuare la mancanza, in capo alla ditta "J.R.C.", anche di requisiti qualitativi (v. la relazione di servizio del 30 aprile 2008).

1.2. In ogni caso, con nota del 18 giugno 2008 il S.U.A.P. comunicava l’avvio del procedimento di rimozione degli effetti della D.I.A. limitatamente all’assenza dei requisiti oggettivi (ed in specie per l’assenza di una superficie sufficiente). Nonostante il deposito di una variante edilizia ad opera dei ricorrenti in data 6 ottobre 2008, con nota prot. n. 21967 del 13 ottobre 2008 il S.U.A.P. adottava il "diniego definitivo per annullamento" della D.I.A. presentata dal sig. L.R., titolare della ditta "J.R.C.", per il subingresso nell’attività di somministrazione di alimenti e bevande da svolgere nei predetti locali. A giustificazione del diniego veniva addotta la carenza sia dei requisiti oggettivi, sia di quelli qualitativi.

2. Avverso la succitata nota del S.U.A.P. del 13 ottobre 2008, nonché gli atti presupposti indicati in epigrafe, sono insorti il sig. G.E.L.R. e la società L. S.r.l., impugnandoli con il ricorso del pari menzionato in epigrafe e chiedendone l’annullamento, previa adozione di misure cautelari, anche inaudita altera parte.

2.1. A supporto del gravame hanno dedotto i seguenti motivi:

– violazione dell’art. 41 della l.r. n. 28/2005, degli artt. 3, 10bis e 19 della l. n. 241/1990, e della l. n. 13/1989, eccesso di potere per illogicità manifesta, carenza dei presupposti, carenza di istruttoria, poiché la reale superficie destinata all’attività di somministrazione sarebbe pari a mq. 73 e pertanto soddisferebbe il requisito di cui alla deliberazione del Consiglio Comunale n. 39 del 2 luglio 2007 (mq. 64), dovendosi a tal fine considerare anche l’area esterna al locale e tenuto conto che lo spazio individuato nella variante edilizia del 6 ottobre 2008 non sarebbe destinato a soddisfare il requisito della "visitabilità" ex l. n. 13/1989;

– violazione e/o falsa applicazione degli artt. 7, 8 e 10bis della l. n. 241/1990, eccesso di potere per illogicità manifesta, violazione del giusto procedimento, carenza dei presupposti e di istruttoria, in quanto i ricorrenti non avrebbero mai ricevuto alcuna comunicazione circa la carenza dei requisiti qualitativi, di cui avrebbero avuto notizia solo con il provvedimento finale;

– violazione e/o falsa applicazione dell’art. 19 della l. n. 241/1990, dell’art. 41 della l.r. n. 28/2005 e della deliberazione del Consiglio Comunale n. 39 del 2 luglio 2007, eccesso di potere per illogicità manifesta, violazione del giusto procedimento, carenza dei presupposti e di istruttoria, perché, per la contestazione dell’assenza dei requisiti qualitativi, il S.U.A.P. si sarebbe dovuto limitare ad ordinare alla "J.R.C." di conformarsi alle relative indicazioni e solo in caso di inottemperanza a tale ordine avrebbe potuto adottare un provvedimento negativo; peraltro, i requisiti qualitativi di cui si è contestata l’assenza sarebbero, invece, esistenti;

– violazione degli artt. 3, 19 e 21nonies della l. n. 241/1990 e dei principi in materia di affidamento e buona fede, eccesso di potere per illogicità manifesta, violazione del giusto procedimento, carenza dei presupposti, in quanto il provvedimento impugnato sarebbe stato adottato in un termine del tutto irragionevole rispetto alla situazione consolidatasi in capo agli interessati ed agli stessi accertamenti eseguiti dalla P.A., e quest’ultima non avrebbe fornito spiegazioni circa la prevalenza dell’interesse pubblico all’adozione del predetto provvedimento sugli interessi dei destinatari.

2.2. L’istanza per la concessione di misure cautelari inaudita altera parte, dichiarata inammissibile con decreto presidenziale n. 1056/2008 del 13 novembre 2008, è stata ripresentata il 14 novembre 2008 e questa volta accolta con decreto presidenziale n. 1066/2008 del 17 novembre 2008.

2.3. In esito alla Camera di consiglio del 26 novembre 2008 il Collegio, con ordinanza n. 128/08 ha disposto incombente istruttorio, richiedendo al Comune di Monsummano Terme di trasmettere una relazione illustrativa del procedimento per cui è causa. Il S.U.A.P. ha ottemperato con nota prot. n. 25371 del 5 dicembre 2008.

2.4. Avverso la suddetta nota del S.U.A.P. del 5 dicembre 2008, recante la relazione illustrativa, le ricorrenti hanno proposto motivi aggiunti, chiedendone l’annullamento e reiterando la domanda di concessione delle misure cautelari.

2.5. A supporto del gravame, hanno articolato con un unico motivo aggiunto le doglianze di:

– violazione dell’art. 41 della l.r. n. 28/2005, degli artt. 3, 10bis e 19 della l. n. 241/1990, e della l. n. 13/1989, violazione e/o falsa applicazione degli allegati 1 e 2 alla deliberazione del Consiglio Comunale n. 39 del 2 luglio 2007, eccesso di potere per illogicità manifesta, carenza dei presupposti e di istruttoria, giacché il Comune errerebbe nel ritenere computabile la sola area interna al locale ai fini della superficie di somministrazione, e nel non valutare che la rampa di accesso ex l. n. 13/1989 sarebbe ben distinta dall’area destinata alla somministrazione.

3. Il Comune di Monsummano Terme, evocato in giudizio con il ricorso originario e con quello per motivi aggiunti, non si è costituito.

3.1. Nella Camera di consiglio del 22 gennaio 2009 il Collegio, considerato sussistente il vizio di difetto di istruttoria con riguardo alla ritenuta irrilevanza della variante edilizia presentata in data 6 ottobre 2008 per lavori di schermatura a protezione dei tavoli, con ordinanza n. 72/09 ha accolto la domanda incidentale di sospensione.

3.2. All’udienza pubblica del 4 gennaio 2011 la causa è stata trattenuta in decisione.

4. Il ricorso è fondato, nei termini che si vanno di seguito ad esporre.

4.1. Va premesso in argomento come il provvedimento del S.U.A.P. di rimozione degli effetti della D.I.A. presentata dal titolare della ditta "J.R.C.", impugnato con il ricorso originario, si basi su un duplice ordine di motivazioni, coincidenti con la duplice tipologia di contestazioni mosse all’esercizio in esame ed attinenti, rispettivamente, alla carenza di requisiti oggettivi ed alla carenza di requisiti qualitativi. In particolare, con riferimento ai requisiti oggettivi, a fronte di un punteggio minimo richiesto di n. 10 punti (così stabilisce per le aree urbane l’allegato B alla deliberazione del Consiglio Comunale di Monsummano Terme n. 39 del 2 luglio 2007, recante criteri per gli esercizi di somministrazione di alimenti e bevande), il S.U.A.P. ha accertato un punteggio di soli n. 5 punti: ciò, in ragione della mancata attribuzione di punti per il parametro della superficie da destinare alla somministrazione, pari a mq. 39,73 e, quindi, inferiore al minimo (mq. 64) stabilito dall’allegato A all’indicata deliberazione del Consiglio Comunale (che prescrive una superficie di almeno mq. 2 per ogni posto a sedere, con un minimo di n. 32 posti a sedere). Quanto ai requisiti qualitativi, a fronte di un punteggio minimo imposto dal già citato allegato B pari a n. 24 punti, per l’esercizio in parola ne sono stati accertati soltanto 12, con carenza di altri n. 12 punti, come si desume dalla relazione di servizio della Polizia Municipale del 30 aprile 2008 (che specifica ciascuno dei parametri per i quali c’è carenza dei suddetti requisiti qualitativi).

4.2. Atteso il carattere distinto ed autonomo delle due motivazioni ora riportate, nel caso in esame è dunque da applicare il costante insegnamento giurisprudenziale secondo cui, ove un provvedimento amministrativo sia sorretto da una pluralità di motivazioni, per il principio di resistenza, la validità anche di una sola delle argomentazioni poste autonomamente a base del provvedimento medesimo è sufficiente di per sé a sorreggerne il contenuto: pertanto, il venir meno di un’altra motivazione non può portare all’annullamento del provvedimento gravato (cfr., ex multis, T.A.R. Lazio, Roma, Sez. I, 26 gennaio 2010, n. 949; T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. IV, 22 settembre 2009, n. 4700). Se ne desume la necessità di procedere, nel caso di specie, all’esame di ciascuna delle due ragioni ostative poste a base della menzionata rimozione degli effetti della D.I.A., a cominciare dalla mancanza dei requisiti oggettivi, come sopra specificata.

4.3. Osserva sul punto il Collegio come la motivazione della carenza dei predetti requisiti oggettivi si fondi sull’insufficienza della superficie di somministrazione riscontrata in seguito all’istruttoria, pari a mq. 39,73, inferiore – come detto – al minimo richiesto dall’allegato A alla deliberazione del Consiglio Comunale di Monsummano Terme n. 39/2007 (mq. 64): tale insufficienza si articola, dal canto suo, in un duplice ordine di argomentazioni, esposte sia nel provvedimento di rimozione degli effetti della D.I.A., sia (più analiticamente) nella relazione illustrativa del S.U.A.P. impugnata con i motivi aggiunti: a) sull’impossibilità, per le aree urbane (nel cui ambito rientra l’esercizio de quo), di computare quale superficie di somministrazione la superficie esterna al locale; b) sul fatto che, in ogni caso, la superficie esterna della quale si chiede il computo non potrebbe essere considerata, in quanto destinata al soddisfacimento del requisito della "visitabilità" di cui alla l. n. 13/1989 (recante disposizioni per favorire il superamento e l’eliminazione delle barriere architettoniche negli edifici privati): requisito che consiste, appunto, nell’adottare misure tali da consentire la "visitabilità" degli edifici da parte di tutti coloro che abbiano occasione di accedervi (cfr. Trib. Milano, 22 marzo 1993, in Arch. locazioni 1993, 314). A nulla rileverebbe, pertanto, che nella D.I.A. sia stata dichiarata, per mero errore materiale, una superficie di mq. 40, poi corretta con una successiva dichiarazione del 3 marzo 2008 (in cui veniva dichiarata una superficie di mq. 73).

4.4. Ambedue le suesposte argomentazioni, tuttavia, non possono trovare accoglimento. Ed invero, quanto all’argomentazione sub a), il S.U.A.P. si richiama alla mancanza, per le aree urbane, di una previsione che consenta di ricomprendere le superfici esterne nella determinazione della superficie destinata alla somministrazione, ma non replica all’obiezione dei ricorrenti, per cui una previsione di tal genere esiste e va rinvenuta nell’art. 1 dell’allegato 1 alla deliberazione consiliare n. 39/2007: quest’ultimo, infatti, include nella nozione di "locali dell’azienda" tutti gli spazi a disposizione della stessa azienda, a qualunque titolo, comprese le pertinenze esterne. E c’è da dire che si tratta di una previsione di carattere generale, perché volta a definire in via generale i "locali dell’azienda" e che, perciò, deve trovare applicazione anche per le aree urbane. È irrilevante, quindi, la circostanza che, solo per gli esercizi ubicati nel centro storico, l’allegato A alla deliberazione consiliare n. 39/2007 preveda tra i criteri oggettivi, al punto 4, quello dell’uso di spazi esterni per la somministrazione di alimenti e bevande, collegandovi uno specifico punteggio (pari a n. 2 punti), mentre una previsione analoga non si rinviene nella disciplina dei criteri oggettivi per gli esercizi ubicati nelle aree urbane ed extraurbane. A ben vedere, quello stabilito per i locali del centro storico è un punteggio ulteriore ed aggiuntivo, ma ciò non implica certo che la disponibilità di spazi esterni pertinenziali, rientrando nel concetto di "locali dell’azienda", non possa essere utilizzata, per gli esercizi delle aree urbane ed extraurbane, ai più limitati fini del soddisfacimento del criterio obbligatorio e di base di cui al punto 1 dell’allegato A (criterio in base al quale, come si è visto, vanno destinati alla somministrazione un minimo di n. 32 posti a sedere con almeno 2 mq. per ogni posto, per un minimo di mq. 64).

4.5. Quanto, poi, alla ragione ostativa più sopra riportata sub b) – incentrata sul rispetto del requisito della "visitabilità" ex l. n. 13/1989 – è agevole replicare che, come evidenziato dai ricorrenti, l’area esterna da destinare alla somministrazione emergente dalla variante edilizia del 6 ottobre 2008 non coincide in alcun modo con la rampa di accesso destinata al soddisfacimento del predetto requisito della "visitabilità". A detta conclusione si arriva anzitutto sulla base delle planimetrie versate in atti quale allegato alla citata variante del 6 ottobre 2008 (doc. 13 dei ricorrenti), in cui viene nettamente distinta l’area esterna da destinare all’attività di somministrazione, pari a mq. 25,00, dalla rampa di accesso, ubicata lateralmente e che garantisce l’ingresso nel locale da un’altra porta. La conferma si ha, poi, nella documentazione fotografica depositata (doc. 25 dei ricorrenti), che evidenzia ancora la distinzione tra la superficie (esterna) di somministrazione e quella destinata a soddisfare il requisito della "visitabilità". Deve perciò concludersi per la fondatezza dei motivi di ricorso volti a censurare i provvedimenti del S.U.A.P. lì dove si basano sulla (pretesa, ma insussistente) carenza dei requisiti oggettivi dell’esercizio in esame e, più in particolare, per la fondatezza del primo motivo del ricorso originario, nonché del ricorso per motivi aggiunti.

5. Per quanto concerne, invece, la carenza dei requisiti qualitativi, ci si può esimere dall’affrontare la questione della sussistenza o meno di detti requisiti, attesa la fondatezza delle censure di carattere procedurale dedotte con il secondo motivo del ricorso originario, per non avere la P.A. mai portato a conoscenza degli interessati la predetta carenza fino all’emissione del provvedimento di rimozione degli effetti della D.I.A.. Sul punto va precisato che il problema non è quello dell’applicabilità o no, ai procedimenti conseguenti alla presentazione della D.I.A., della disciplina ex art. 10bis della l. n. 241/1990: problema su cui esistono tuttora contrasti in giurisprudenza. Nel caso in esame, invece, la questione è quella delle garanzie partecipative da rispettare nel corso del (diverso) procedimento di rimozione degli effetti o annullamento, che dir si voglia, della D.I.A.. Anche se la nota del S.U.A.P. dell’11 febbraio 2008, impugnata con il ricorso originario, si presentava come diffida a non attivare l’esercizio (o ad interromperne l’attività, se già iniziata), per carenza dei requisiti oggettivi, tuttavia è fuor di dubbio che il procedimento per cui è causa si è strutturato quale procedimento di secondo grado (assimilabile a quelli in autotutela), volto a rimuovere un titolo già formatosi ed efficace (cfr., in questo senso, la comunicazione di avvio del procedimento datata 18 giugno 2008, doc. 11 delle ricorrenti): efficacia, d’altronde, confermata dall’art. 43, comma 1, della l.r., n. 28/2005 (cd. Codice del commercio), a tenor del quale l’apertura, l’ampliamento ed il trasferimento di sede degli esercizi di somministrazione di alimenti e bevande sono soggetti a dichiarazione di inizio di attività (D.I.A.), ai sensi della normativa vigente e possono essere effettuati dalla data di ricevimento della medesima dichiarazione. Ma, allora, se si trattava di rimuovere gli effetti di un titolo (o comunque annullarlo), è evidente che il S.U.A.P., sin dalla citata comunicazione di avvio del procedimento del 18 giugno 2008, avrebbe dovuto rendere edotti gli interessati della sussistenza di un’ulteriore motivo ostativo, rappresentato dall’assenza dei requisiti qualitativi: il che, invece, non ha fatto. Donde l’illegittimità, anche per questo verso, degli atti gravati.

5.1. In definitiva, il ricorso originario è fondato, attesa la fondatezza delle censure formulate con il primo ed il secondo motivo e con assorbimento delle ulteriori censure. Per conseguenza, si debbono annullare gli atti con esso gravati ed in particolare la nota del S.U.A.P. prot. n. 21967 del 13 ottobre 2008, recante il diniego definitivo per annullamento della D.I.A. per subingresso. In ordine, poi, al ricorso per motivi aggiunti, si osserva che, in disparte l’impugnabilità dell’atto con essi gravato (la relazione illustrativa richiesta quale incombente istruttorio dal T.A.R. al Comune di Monsummano Terme), tale atto è destinato di necessità ad essere travolto dall’accoglimento del ricorso originario, in quanto le giustificazioni che esso fornisce all’atto di rimozione o "annullamento" della D.I.A. si manifestano inconsistenti, mentre le doglianze dedotte con i motivi aggiunti, sostanzialmente ripetitive delle censure sui requisiti oggettivi, risultano meritevoli di condivisione per le ragioni sopra esposte.

6. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana – Sezione Seconda -, così definitivamente pronunciando sul ricorso originario e su quello per motivi aggiunti, come in epigrafe proposti, li accoglie e, per l’effetto, annulla gli atti impugnati, come da motivazione.

Condanna il Comune di Monsummano Terme al pagamento in favore delle parti ricorrenti di spese ed onorari di causa, che liquida in misura forfettaria in complessivi Euro 3.000,00 (tremila/00), più gli accessori di legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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