Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 19-10-2010) 22-02-2011, n. 6592 Detenzione, spaccio, cessione, acquisto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1- La Corte d’Appello di Milano, con sentenza 19/2/2010, confermava la decisione 22/4/2005 del locale Tribunale, che aveva condannato P.R., P.G., Pa.Ca., R.G.B. e B.G. a pena ritenuta rispettivamente di giustizia, perchè dichiarati colpevoli del reato di traffico illecito di eroina commesso, a seconda degli episodi singolarmente ascritti, tra il (OMISSIS).

Il Giudice distrettuale chiariva che le indagini avevano preso avvio dagli accertamenti condotti in ordine all’attività di piccolo spaccio praticata da tale S.F., che si riforniva delle sostanze stupefacenti da un suo amico di vecchia data, Ru.

F., arrestato insieme ad altre cinque persone nel febbraio 1989 per detenzione di ingenti quantità di hashish ed eroina; dopo l’arresto del fornitore abituale, lo S. si era rivolto, per l’approvvigionamento, a P.R., contitolare col Ru. dell’impresa artigiana "EDILNORD" operante in Gorgonzola;

l’intercettazione di una telefonata intercorsa, il 24/2/1989, tra lo S. e il P., aveva consentito di individuare il luogo dove quest’ultimo, nel timore di essere anch’egli destinatario di misura custodiale, si era rifugiato, la casa della sua amante Pe.Em.; sottoposta ad intercettazione, nel periodo compreso tra il 27 febbraio e il 10 giugno 1989, l’utenza telefonica in uso alla Pe., erano state registrate le conversazioni intercorse tra P.R. e gli altri imputati (in particolare, il cognato Pa.Ca.), le quali si rivelavano di particolare interesse.

Riteneva, infatti, la Corte territoriale che gli esiti di tali intercettazioni non lasciavano spazio a dubbi sul coinvolgimento degli imputati nell’illecito traffico, considerato che il linguaggio utilizzato da costoro, evidentemente ignari di essere controllati, non era criptico ma sufficientemente esplicito, evocandosi espressioni come "dare/avere soldi, rimanenza, taglio, mannite, roba da piazzare, da tagliare, da ritirare, roba non tanto bella, roba vecchia che ha preso umidità, deve essere data la E e non la C, roba a scaglie, punteggio della roba"; la droga trattata era certamente "pesante", tenuto conto dell’esplicito riferimento al corrispettivo di L. 170.000 al grammo; nè potevano sorgere dubbi sull’identità degli interlocutori delle conversazioni captate, i cui contenuti, coordinati tra loro, evidenziavano chiaramente tale identità, che trovava – peraltro – conferma nei servizi di osservazione espletati dall’ispettore M. nei pressi dell’abitazione della Pe., dove P.R. aveva trovato rifugio.

La Corte di merito analizzava, quindi, sulla base di quanto emerso dall’attività di captazione telefonica, la posizione di ciascun imputato ed evidenziava:

– P.R. aveva diretto e coordinato il traffico illecito dal suo rifugio in casa dell’amante, si era servito, sul piano operativo, della collaborazione del cognato Pa.Ca., aveva trattato consistenti quantitativi di droga, dei quali aveva avuto costante disponibilità;

– il Pa. aveva agito seguendo le direttive del cognato e si era mostrato molto attivo nell’espletamento dei compiti affidatigli, tenendo costantemente informato il P. circa le consegne fatte e le somme incassate;

– P.G., padre di R., aveva concorso nella detenzione illecita della droga, offrendo la sua disponibilità a custodirla;

– R.G.B. aveva trattato ed acquistato da P.R., tramite l’attiva collaborazione del Pa., grammi 100 di eroina ed aveva successivamente avviato trattative per il finanziamento dell’acquisto di un altro chilo di droga;

– B.G., che praticava l’attività di spaccio, si era rifornito abitualmente della sostanza da P.R. e dal Pa., aveva protestato per la cattiva qualità di una fornitura ed era riuscito ad ottenere la riduzione del prezzo relativo ad altra successiva fornitura.

Riteneva, infine, la Corte milanese equo il trattamento sanzionatorio riservato agli imputati, la cui negativa personalità era di ostacolo alla concessione delle circostanze attenuanti generiche.

2- Hanno proposto ricorso per cassazione gli imputati, P. R. e il Pa. con atto sottoscritto personalmente e gli altri tramite i rispettivi difensori, e hanno censurato la sentenza di merito sotto più profili, specificamente indicati e analizzati nella parte che segue.
Motivi della decisione

1- P.G. è stato dichiarato colpevole di concorso, col figlio R. e col Pa., nella detenzione a fine di spaccio di 350 grammi di eroina, che aveva provveduto a nascondere in luogo sicuro (capo B).

L’imputato lamenta la violazione della legge penale e il vizio di motivazione in ordine al formulato giudizio di responsabilità, non assistito da prova adeguata, alla qualificazione giuridica del fatto, che andava – al limite – ricondotto nel paradigma del favoreggiamento reale, e al diniego delle invocate attenuanti generiche con i conseguenti riflessi sulla misura della pena.

Il ricorso è fondato in relazione al primo profilo dedotto, che ha carattere assorbente e decisivo.

La prova del concorso di P.G. nel reato ascrittogli viene dalla sentenza impugnata individuata nel contenuto delle conversazioni telefoniche intercorse, nel periodo 29 febbraio – 18 marzo 1989, tra P.R. e il Pa., i quali, discutendo dell’attività connessa all’illecito traffico praticato, avevano fatto cenno al "pacco" e ai soldi custoditi presso l’abitazione del padre di R..

Tale unica emergenza processuale, però, in difetto di ulteriori elementi di valutazione più specifici e di fronte alla perentoria e netta contestazione dell’imputato in sede di esame dibattimentale, denuncia una mera situazione di sospetto e non è sufficiente, di per sè, a integrare la prova del concorso dell’imputato nella detenzione illecita della sostanza stupefacente, detenzione alla quale erano direttamente interessati, per quello che emerge dalla ricostruzione in ratio operata dai giudici di merito, il figlio R. e il genero Pa..

Il dato processuale, ritenuto dalla sentenza in verifica come decisivo per l’affermazione di responsabilità dell’imputato, si presta in realtà ad interpretazioni non univoche; non può, infatti, escludersi che l’imputato ignorasse il contenuto del "pacco" e la provenienza del denaro; il citato dato, inoltre, per la sua genericità, è ben compatibile con una posizione di mera connivenza non punibile dell’imputato, che può essersi limitato ad assistere passivamente alle iniziative illecite del figlio e del genero, che avevano scelto la sua abitazione come luogo dove custodire il materiale compromettente, senza impedire – non avendo il dovere giuridico di farlo – che ciò avvenisse.

La sentenza impugnata deve, pertanto, essere annullata senza rinvio nei confronti di P.G. per non avere commesso il fatto.

2- P.R. e Pa.Ca. sono stati dichiarati colpevoli di cessione continuata di eroina a vari soggetti e di detenzione a fini di spaccio di altra partita di droga (capi A, B), R.G.B. di acquisto dai predetti di gr. 100 di eroina da destinare allo spaccio (capo C), B.G. di acquisto continuato dalla stessa fonte di eroina venduta successivamente a tossicodipendenti (capo E). I reati, per come rispettivamente ascritti, sono strettamente collegati tra loro, nel senso che, sussistendo interferenza tra le diverse condotte, trovano riscontro nella stessa fonte di prova.

Gli imputati sostanzialmente lamentano, con argomentazioni pressochè sovrapponigli, il vizio di motivazione in ordine al formulato giudizio di responsabilità, affidato esclusivamente agli esiti delle conversazioni intercettate, i cui contenuti, di equivoca interpretazione, non avevano trovato riscontro in altri dati oggettivi, idonei a confermare il coinvolgimento degli imputati nei reati ipotizzati o – al limite – a chiarire la qualità e la quantità della droga oggetto dell’illecito traffico onde inquadrare i fatti nella corretta norma incriminatrice, senza considerare che anche l’identificazione degli interlocutori rimaneva incerta, perchè non supportata da adeguata prova. P.R. e il R. denunciano anche il vizio di motivazione sul diniego delle circostanze attenuanti genetiche e, conseguentemente, sulla misura della pena. Il Pa., con memoria difensiva depositata in data 4/10/2010, ribadisce la doglianza circa il vizio di motivazione della sentenza di merito nella valutazione del materiale probatorio acquisito e insiste per l’accoglimento del ricorso.

I ricorsi, ai limiti dell’ammissibilità, non sono fondati e devono essere rigettati.

La prova della colpevolezza degli imputati, come si è precisato innanzi, risiede, secondo i giudici di merito, negli esiti dell’attività di captazione delle conversazioni telefoniche intercorse tra gli imputati medesimi.

Osserva al riguardo la Corte che tali risultati, pur se riferibili soggettivamente a persone direttamente coinvolte nelle vicende in esame, ben possono essere idonei a ricostruire i fatti da accertare, possono cioè essere posti a fondamento del giudizio critico complessivo che sostanzia la prova dei fatti medesimi, senza la necessità di ulteriori riscontri e, quindi, l’osservanza dei canoni di cui all’art. 192 c.p.p., comma 3.

Il giudice, però, nell’interpretazione e nella valutazione del materiale acquisito, deve accertare che il significato delle conversazioni intercettate sia caratterizzato da chiarezza, decifrabilità, assenza di ambiguità, sì da non lasciare spazio a margini di dubbio sul significato complessivo da attribuire alle conversazioni. Tale operazione di interpretazione del linguaggio e di conseguente valutazione del contenuto delle conversazioni costituisce logicamente questione di fatto, rimessa all’apprezzamento del giudice di merito, e si sottrae al sindacato di legittimità se sorretta da motivazione conforme ai criteri della logica e delle massime di esperienza.

Ciò posto, deve rilevarsi che la sentenza impugnata, nell’analizzare l’unica fonte di prova su cui si sviluppa il relativo percorso argomentativo, si adegua alla citata regola di valutazione e da conto, in maniera adeguata e logica, delle ragioni che giustificano le conclusioni alle quali perviene, con riferimento alla posizione di ciascuno degli imputati, non mancando – anzi – di sottolineare, in particolare, "l’inusuale chiarezza" del linguaggio utilizzato dagli interlocutori intercettati, che non lascia margini di dubbio, sul piano della razionale e normale interpretazione di determinati comportamenti umani, in ordine alla natura degli "affari" trattati, all’oggetto specifico degli stessi, ai soggetti in essi coinvolti. I ricorrenti, nel censurare la motivazione della sentenza impugnata, si limitano a stigmatizzare, in maniera assertiva, il significato equivoco delle conversazioni intercettate, che non dimostrerebbe il loro coinvolgimento nel traffico illecito o, quanto meno, la qualità e la quantità della droga trattata, con conseguenti riflessi sulla qualificazione giuridica dei fatti, che potrebbero essere ricondotti, per il principio del favor rei, nel paradigma del traffico di droga c.d. "leggera" (distinzione operante all’epoca dei fatti) o in una delle ipotesi lievi di cui alla L. n. 685 del 1975, art. 72, vigente all’epoca. Non (evidenziano, però, i ricorrenti passaggi contraddittori o manifestamente illogici del discorso giustificativo su cui riposa la sentenza in verifica, che conserva, pertanto, intatta tutta la sua valenza sia sotto il profilo del buon governo della legge penale che sotto quello di una motivazione adeguata e immune da vizi logici su ogni aspetto della presente vicenda: come può evincersi da quanto innanzi sintetizzato, la Corte di merito si fa carico di dimostrare, con argomenti puntuali e persuasivi, l’identità degli interlocutori telefonici intercettati (cfr. pgg. 14 e 15 della sentenza), l’oggetto delle conversazioni, il tipo e le quantità, non certo modiche, di sostanza stupefacente oggetto di transazioni (cfr. pgg. 15, 16, 17 della sentenza).

Non è censurabile, sotto il profilo della legittimità, la scelta della Corte di merito di non accordare a P.R. le circostanze attenuanti generiche in ragione della sua negativa personalità (gravata da plurimi e allarmanti precedenti penali), indice di "una spiccata pericolosità sociale".

Alla stessa conclusione deve pervenirsi, in relazione all’analoga doglianza del R.. La sentenza impugnata, in verità, non motiva espressamente il diniego delle attenuanti generiche, ma si limita a ritenere congrua la pena inflitta all’imputato, determina peraltro in misura molto prossima al minimo edittale. Non può, però, essere sottaciuto che l’obbligo di motivazione sussiste solo sevi sia stata una sollecitazione dell’imputato accompagnata dall’indicazione di specifici elementi idonei a fondare la concessione delle dette attenuanti.

Tanto non è riscontrabile nella specie, essendosi l’imputato limitato, con l’atto di appello, ad invocare le attenuanti generiche, senza neppure tenere conto delle specifiche e contrarie indicazioni sul punto del giudice di primo grado.

2a- Al rigetto dei ricorsi testè esaminati, consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di P. G. per non avere commesso il fatto.

Rigetta i ricorsi di P.R., del Pa., del R. e del B., che condanna al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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