Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 12-10-2010) 22-02-2011, n. 6465

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

C.T., tramite il difensore, ricorre per Cassazione avverso la sentenza 10.4.2009, con la quale, la Corte d’Appello di Roma, in parziale riforma della decisione 10.11.2005 del Tribunale capitolino, ha dichiarato il non doversi procedere nei suoi confronti in relazione al reato estorsione e "quello di usura per essere estinti per prescrizione, confermando le statuizioni civili limitatamente al delitto di estorsione.

Va premesso che C.T. è stato tratto a giudizio avanti il Tribunale di Roma per i seguenti reati: a) art. 81 cpv. c.p., art. 644 bis c.p. e L. n. 108 del 1996, art. 3, fatti commessi in (OMISSIS) fino al (OMISSIS); b) art. 629 c.p. fatti commessi nel (OMISSIS) e in epoca precedente.

Con sentenza 10.11.2005 il Tribunale di Roma dichiarava la penale responsabilità dell’imputato condannandolo per entrambi i reati.

L’imputato veniva altresì condannato alla rifusione dei danni in favore della parte offesa costituita parte civile M.E. e A.M..

Avverso la suddetta sentenza la difesa proponeva appello richiedendo:

1) l’assoluzione da entrambi i reati ascrittigli, per non avere commesso il fatto o perchè il fatto non costituisce reato, anche ex art. 530, comma 2; 2) la dichiarazione di non doversi procedere per prescrizione per il reato sub a) (usura), "ritenendosi applicabile alla fattispecie concreta, esclusivamente, la previgente disposizione di cui all’art. 644 bis c.p.";

3) la revoca delle sanzioni accessorie comminate e la revoca in ogni caso della condanna al risarcimento del danno.

La Corte d’Appello accogliendo parzialmente il gravame dell’imputato:

1) dichiarava estinto il delitto di estorsione per prescrizione maturata antecedentemente al giudizio di primo grado, così revocando, ex art. 578 c.p.p. ogni statuizione in merito alle domande civili connesse a quel delitto; 2) dichiarava altresì estinto per prescrizione il delitto di estorsione alla data del 15.3.2006 e confermava le statuizioni civili in relazione a tale ultimo delitto.

Ricorre la difesa nella presente sede chiedendo l’annullamento della sentenza impugnata e deducendo:

1) ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e) vizio di erronea e falsa applicazione dell’art. 129 c.p.p. in relazione al reato di cui al capo a) (usura), anche con riferimento all’art. 578 c.p.; in particolare la difesa si duole della carenza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in ordine alla giustificazione della meno favorevole pronuncia dichiarativa dell’estinzione del reato per prescrizione rispetto a quella di assoluzione del merito ex art. 530 c.p.p., comma 2, avendo la Corte d’Appello pretermesso l’esame dei motivi di appello riguardanti il fondamento della prova del fatto di usura contestato.

2) ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c) ed e), vizio (carenza) di motivazione circa la condanna per il delitto di cui all’art. 629 c.p., pronunciata, in primo grado con violazione dell’art. 522 c.p.p.; in particolare la difesa afferma che la condanna sarebbe attinente ad un fatto che diverso da quello descritto nel capo di imputazione.

3.1) ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e) vizio di mancanza, manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza ai fini dell’art. 578 c.p.p., del reato di cui all’art. 629 c.p., anche in rapporto al mancato accertamento del reato di cui all’art. 644 bis c.p.p., violazione dei criteri della prova di cui all’art. 192 c.p.p..

3.2) ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), vizio di violazione ed erronea applicazione dell’art. 629 c.p., difettando la prova dei loro elementi costitutivi (ingiustizia del profitto e valenza delle minacce);

4) ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c), vizio di inosservanza di norme processuali stabilite a pena di nullità, inutilizzabilità e di inammissibilità in relazione alla utilizzazione di prove testimoniali assunte con violazione delle regole riguardanti l’ammissibilità delle contestazioni e delle domande suggestive.

Il collegio pertanto osserva quanto segue.

1) Il primo motivo è infondato. Ricorre nel caso in esame l’applicazione delle regole di diritto dettate dalle SU con la sentenza 35490/2009 (Tettamanti) nella quale è stabilito che: 1) "all’esito del giudizio, il proscioglimento di merito, nel caso di contraddittorietà o insufficienza della prova, non prevale rispetto alla dichiarazione immediata di una causa di non punibilità"; 2) "allorquando ai sensi dell’art. 578 c.p.p. il giudice dell’appello – intervenuta una causa estintiva del reato – è chiamato a valutare il compendio probatorio ai fini delle statuizioni civili per la presenza della parte civile, il proscioglimento nel merito prevale sulla causa estintiva, pur nel caso di accertata contraddittorietà o insufficienza della prova".

La decisione della Corte d’Appello è conforme alle suddette regole.

E’ pacifico (neppure controverso) che la violazione dell’art. 644 bis c.p., si è estinta per prescrizione maturata in epoca antecedente al giudizio di primo grado. Conseguentemente, nel momento in cui la Corte territoriale, accogliendo il secondo motivo di appello proposto dalla difesa, ha dichiarato ex art. 129 c.p.p., la prescrizione del reato, ella non aveva altro compito se non quello di revocare le statuizioni civili connesse alla condanna per quel delitto (ex art. 578 c.p.p.) non avendo alcun potere per svolgere un qualsivoglia ulteriore accertamento ex professo.

Si tratta quindi di verificare se la decisione della Corte territoriale sul punto appaia corretta e in particolare se dalla motivazione della stessa sia desumibile una evidenza della prova della innocenza del C..

Il giudice dell’appello ha valutato la posizione processuale del C. effettuando la mera "constatazione" che dagli atti del procedimento non emergeva con certezza motivo per pronunciare la assoluzione dell’imputato non essendo evidente la sua "innocenza".

Sul punto la decisione della Corte d’Appello, appare adeguatamente motivata alla luce della affermazione che al di là delle censure mosse dalla difesa in ordine alla concludenza delle risultanze degli accertamenti peritali svolti dal Pubblico Ministero appare comunque provata (come si desume dalla motivazione della decisione impugnata) la esistenza di un rapporto usurario tra il C. e il M., desunto dalle dichiarazioni testimoniali delle parti offese giudicate credibili sulla scorta delle considerazioni svolte nella sentenza di primo grado, richiamata in quella di appello siccome condivisa nelle risultanze e nelle motivazioni.

La difesa, in questa sede non fornisce argomenti efficaci e dimostrativi della erroneità della decisione tanto che non fornisce alcuna indicazione specifica della "evidenza" della prova della innocenza dell’imputato non considerata dal giudice dell’appello. La difesa in questa sede si limita a proporre una diversa lettura alternativa del materiale probatorio.

In tal modo la difesa articola un argomento di censura che non può essere preso in considerazione nella presente sede e dall’altro finisce con il dimostrare, attraverso lo sforzo argomentativo, che non è "evidente" la innocenza dello imputato ed è corretta la decisione della Corte territoriale.

2) Con il secondo motivo la difesa censura di carenza di motivazione la decisione della Corte territoriale che non avrebbe preso in considerazione la denunciata violazione dell’art. 522 c.p.p. contenuta nella decisione di primo grado.

Sostiene a tal proposito la difesa che il Tribunale avrebbe ricostruito e giudicato un ipotesi di estorsione diversa rispetto a quanto contestato nel capo di imputazione, pervenendo così alla condanna del C. per un fatto che allo stesso non sarebbe mai stato contestato.

Più dettagliatamente la difesa afferma "il Tribunale, infatti, faceva riferimento a minacce volte ad ottenere la promessa o la dazione di interessi usurari (fatto mai contestato, neanche nel corso del processo) e la cessione dell’immobile diveniva solo elemento logico atto a dimostrare l’esistenza delle minacce. Nel capo di imputazione, invece si afferma che il C., attraverso minacce, avrebbe costretto i M. a cedere l’immobile a fronte di asseriti debiti scaturenti da finanziamenti erogati a tassi usurari così procurandosi un ingiusto profitto. Nel capo di imputazione la cessione dell’immobile costituisce proprio l’oggetto delle minacce, che sarebbero state indirizzate,appunto per ottenere la dazione dell’immobile".

Dalla lettura della sentenza di appello si evince che la Corte non ha preso in considerazione la denunciata violazione dell’art. 522 c.p.p., ma la manifesta infondatezza di quest’ultima medesima rende privo di pregio il gravame nella presente sede (v. in tal senso Cass. pen., sez. 4, 17.4.2009, n. 24973, Ignone) e l’omessa pronuncia sulla questione processuale, siccome infondata non riverbera effetti sulla legittimità della decisione della Corte territoriale. Va infatti osservato quanto segue.

Nel capo di imputazione originariamente è contestato al C. un delitto di usura (capo A) nel quale sono state indicati l’ammontare complessivo delle somme date dall’imputato a mutuo (L. 581.020.000) e l’ammontare delle somme restituite dalla parte offesa al primo nell’ambito di un rapporto usurario (complessive L. 724.640.000).

Nel capo di imputazione è specificato che le somme restituite, in parte erano portate in assegni e bonifici, parte erano in contanti e quella residua di L. 287.790.000 è pari alla differenza tra il valore effettivo e il corrispettivo pagato dal C. in relazione ad un immobile cedutogli dalla parte offesa.

Nel capo B) della imputazione è contestato il delitto di estorsione ove è descritta la condotta attraverso la quale il C. ha ottenuto la cessione dell’immobile.

Con la sentenza di primo grado l’imputato è stato condannato in riferimento ad entrambe le imputazioni sulla base della seguente conclusione redatta a pag. 14 della sentenza di primo grado:

"L’istruttoria dibattimentale consente di ritenere accertata anche la sussistenza del reato contestato al capo B della rubrica. Il rilascio degli assegni in garanzia sovra menzionati, il perdurare della contingenza economica negativa, le gravi ragioni di ordine personale dei M. e le minacce di danno alle persone – quali attestate dalle dichiarazioni delle vittime e, sul piano logico dalla cessione della casa di proprietà da loro effettuata – valgono infatti a far ritenere sussistente il reato di estorsione, dal momento che la promessa e la dazione degli interessi usurari e la restituzione dell’intero capitale versato vennero conseguite dal C. attraverso plurime azioni intimidatorie richiamate in piena consapevolezza e per la finalità di profitto ingiusto".

La proposizione, oggetto di censura (con motivo di appello) da parte della difesa, costituisce la parte esplicativa e conclusiva di una articolata decisione e fa riferimento a fatti che oggetto di addebito, liberamente riepilogati e riconsiderati dal giudicante come elementi probatori della vicenda oggetto di contestazione.

Dalla lettura di tutta la sentenza di primo grado (e non da una parte minima di essa) appare di tutta evidenza che il C. è stato giudicato in merito ai fatti contestati e non a reati di diversa natura.

Può ricorrere l’ipotesi di violazione del principio di correlazione tra accusa e giudizio (come denunciato dalla difesa) nel solo caso in cui ricorra una modificazione della imputazione tale da pregiudicare la possibilità di difesa dell’imputato; infatti, la nozione strutturale di "fatto" contenuta nell’art. 522 c.p.p., va coniugata con quella funzionale, fondata sull’esigenza di reprimere solo le effettive lesioni del diritto di difesa, posto che il principio di necessaria correlazione tra accusa contestata (oggetto di un potere del p.m.) e decisione giurisdizionale (oggetto del potere del giudice) risponde all’esigenza di evitare che l’imputato sia condannato per un fatto, inteso come episodio della vita umana, rispetto al quale non abbia potuto difendersi (v. in tal senso Cass. pen., sez. 4, 15.1.2007 Granata).

Nel caso in esame non si può quindi affermare che sia stata violata la disposizione in esame e il motivo di censura che investe la sentenza di appello deve essere rigettata attesa la manifesta infondatezza del motivi di doglianza proposti alla Corte d’Appello e da questa disattesi.

3) Con il terzo articolato motivo la difesa lamenta ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e): vizio di mancanza, manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza, ai fini dell’art. 578 c.p.p., del reato di cui all’art. 629 c.p., e ciò con particolare riferimento al mancato accertamento del reato di cui all’art. 644 bis c.p.p.; ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) l’erronea applicazione dell’art. 629 c.p. mentre con il quarto motivo, che qui pure verrà esaminato la difesa lamenta l’inosservanza di norme processuali stabilite a pena di nullità, inutilizzabilità e di inammissibilità, perchè l’esame dei testimoni è stato condotto in spregio delle regole fissate dall’art. 499 c.p.p., commi 2 e 3, con conseguente inutilizzabilità delle loro dichiarazioni ex art. 191 c.p.p.. Partendo da quest’ultima censura (quarto motivo), incidente sulla utilizzabilità del materiale probatorio adoperato dal giudice del merito per la formulazione del proprio giudizio, si deve richiamare il condivisibile principio per il quale: "in tema di esame testimoniale, la violazione del divieto di porre domande non pertinenti o suggestive, da un lato, non determina l’inutilizzabilità della testimonianza, in quanto tale sanzione riguarda le prove vietate dal codice di rito e non la regolarità dell’assunzione di quelle consentite, dall’altro, non è sanzionata da nullità in virtù del principio di tassatività". (v. in tal senso Cass sez. 3, 25.6.2008 n. 35910 in Ced Cass. Rv 241090).

Di qui consegue la manifesta infondatezza della doglianza mossa e la piena legittimità dell’utilizzo del materiale probatorio acquisito, così come ammesso dal giudice di merito. Passando quindi alla disamina del terzo motivo nei suoi due aspetti che si sovrappongono) vi è da rilevare che dalla motivazione della sentenza impugnata sì evince chiaramente che la Corte territoriale si è fatta carico di accertare la sussistenza dell’ingiustizia del profitto conseguito dal C., rappresentato dal perseguimento dello scopo di recuperare le somme date a mutuo al M. e per le quali era stato convenuto un tasso di natura usuraria (10% mensile – pagato anticipatamente – sulle somme erogate dal C. al M. in esecuzione di un’operazione di sconto di fatture commerciali), rapporto giuridico economico di poi definito attraverso la cessione della casa dal M. al C.. La Corte territoriale, pur ritenendo l’ambito del proprio sindacato sul delitto di usura limitato alla sola constatazione della mancanza di una prova evidente dell’innocenza dell’imputato, pur tuttavia mostra di ritenere comunque sussistente una prova in ordine al detto reato richiamando (v. pag. 12 della sentenza impugnata) a tal proposito proprio la genesi del rapporto intercorso fra le parti (attività di sconto di fatture commerciali con la pretesa di un interesse usurario del 10% mensile della somma erogata) sulla scorta delle dichiarazioni testimoniali delle parti offese che sono state ritenute attendibili per le stesse ragioni indicate nella condivisa sentenza del Tribunale.

Sul punto, pertanto, non si ravvisano vizi della motivazione, neppure specificatamente indicati dal ricorrente che nella sostanza in questa sede, attraverso il continuo richiamo degli atti e delle deposizioni (citate per singoli passi) propone una rilettura delle prove, attività, questa preclusa al giudice di legittimità.

In tale contesto appare altresì infondata la censura mossa al giudice dell’appello, di travisamento delle prove testimoniali.

La censura (al di là della abbondanza dei richiami e delle citazioni affastellati nelle pagine del ricorso) è formulata in modo del tutto inammissibile essendo difforme dalle regole già precisate in sede di legittimità; infatti va qui ribadito che: "In tema di ricorso per Cassazione, la possibilità di dedurre il vizio di motivazione per travisamento della prova è limitata all’ipotesi in cui il giudice del merito abbia fondato il suo convincimento su di una prova inesistente ovvero su di un risultato probatorio incontestabilmente diverso da quello reale con la conseguenza che, qualora la prova che si assume travisata provenga dall’escussione di una fonte dichiarativa, l’oggetto della stessa deve essere del tutto definito o attenere alla proposizione di un dato storico semplice e non opinabile (in motivazione la Corte ha evidenziato che, al di fuori degli evidenziati limiti, dovendosi considerare la deposizione sempre il frutto della percezione soggettiva del testimone, la sua vantazione ha inevitabilmente chiamato il giudice di merito a "depurare" il dichiarato dalle cause di interferenza provenienti dal dichiarante, operazione che per essere apprezzata dal giudice di legittimità presuppone la contezza non del singolo atto processuale, bensì dell’intero compendio probatorio, nonchè una analisi comparativa che rimane preclusa a suddetto giudice)". (Cass. pen., sez. 4, 12.2.2008 Trivisonno). Orbene, nel caso in esame le argomentazioni difensive non pervengono ad una chiara definizione del punto della dichiarazione testimoniale che sia stato erroneamente travisato e nel contempo non fornisce in modo come l’individuato "travisamento" ad opera del giudice, abbia pregiudicato in modo esclusivo la decisione. Infine non possono avere valore i richiami alla trascrizione di talune proposizioni interlocutorie pronunciate dal Presidente del Tribunale e pronunciate nel corso del dibattimento, così come citate dalla difesa a pag. 17 del proprio ricorso. Le stesse sono espressione dell’attività di direzione del dibattimento e non appaiono avere carattere decisorio o interpretativo della sentenza impugnata.

Con riferimento all’elemento costitutivo del delitto di estorsione rappresentato dalle minacce profferite dal C., la Corte territoriale, con motivazione che appare, logica e coerente, ha manifestato di condividere la decisione di primo grado indicando le ragioni per le quali le tesi formulate dalla difensiva non portavano a conclusioni diverse da quelle cui era pervenuto il Tribunale.

La motivazione è adeguata fornendo la precisa confutazione delle obbiezioni di merito sollevate dalla difesa.

Nella presente sede, le doglianze della difesa si pongono come rilievo ad apparenti vizi della motivazione, traducendosi, come già rilevato in precedenza, in una diversa prospettazione e valutazione del merito delle prove, che è preclusa nella presente sede.

Per tutte le suddette ragioni il ricorso deve essere quindi rigettato e il ricorrente va condannato al pagamento delle spese processuali e alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile costituita per il presente grado di giudizio e che liquida nella somma di Euro 3.000,00 oltre Iva e c.p.a..
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali nonchè quelle sostenute dalla parte civile nel presente grado di giudizio e che liquida in Euro 3.000,00 oltre Iva e c.p.a..

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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