Cons. Stato Sez. IV, Sent., 18-02-2011, n. 1057 Concessione per nuove costruzioni

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con ricorso al TAR Campania, iscritto al n. 7419/1994, la sig.ra C.M.A., comproprietaria di un edificio di due piani sito nel centro storico di Teano, con accesso da Piazza della Vittoria n. 18, impugnava, chiedendone l’annullamento, i provvedimenti (autorizzazione prot. n. 1723 rilasciata in data 27.02.1993 e concessione in sanatoria del 27.10.1993) con cui il Comune di Teano aveva autorizzato il sig. Ciulla Luigi (legale rappresentante della società J.L.), gestore di una gioielleria sita al locale terra dello stesso edificio civ. 17, a collocare una vetrina espositiva di metallo, occupando ed occludendo lo spazio appartenente al vano arco costituente ingresso al predetto locale, ed aveva altresì autorizzato la sanatoria di lavori interni di riadattamento.

A sostegno del ricorso deduceva i seguenti vizi di legittimità dei provvedimenti impugnati:

1) L’art. 8 della parte speciale del regolamento edilizio del Comune di Teano prescrive testualmente che nel centro storico è vietato qualsiasi intervento che possa alterare il valore e l’aspetto degli edifici, ed ammette i soli interventi di restauro, ripristino, risanamento statico, igienico e conservativo.

2) L’art. 15 comma 23 del piano di recupero vigente nel Comune di Teano, nell’elencare gli elementi e la qualità degli edifici che vanno salvaguardati, richiama più di una volta gli archi e le volte. Inoltre, particolari prescrizioni sono dettate dall’art. 25 per quanto riguarda la apposizione all’esterno degli edifici del centro storico, di vetrine, bacheche, ed insegne pubblicitarie, che, all’ultimo comma, sono vietate qualora presentino struttura metallica color oro, argento, bronzo e simili.

3) Dall’esame della documentazione relativa ai procedimenti di installazione della oreficeria non risulta che il richiedente abbia mai dimostrato la titolarità dell’uso del vano arco ed il suo impatto sull’edificio e l’ambiente.

4) La occupazione del vano arco non è compresa nel provvedimento autorizzatorio del 27.02.1993 e nemmeno nella concessione edilizia in sanatoria per i lavori di adattamento interno del locale ove sorge l’esercizio commerciale del richiedente.

5) L’autorizzazione del 27.02.1993 per la installazione della vetrina, doveva essere soggetta in realtà a concessione, poiché ha ad oggetto in realtà una struttura complessa costituita anche da porta blindata del vano negozio, ossia da una porta a doppia entrata, e quindi una struttura che, ampliando la superficie utile del negozio invade il vano arco e ne muta la destinazione utile; inoltre l’intervento confligge con l’art. 8 del regolamento edilizio che ammette i soli interventi di restauro, risanamento e ripristino.

2.- Successivamente ai predetti provvedimenti il Comune aveva proceduto (ordinanza n. 125 del 20.03.2000) dapprima all’annullamento della citata autorizzazione edilizia n. 1723/1993 (rilasciata al sig. Ciulla per la installazione di una vetrina e di una porta blindata) e poi (ordinanza n. 47 del 30.05.2002) alla revoca dell’ordinanza di annullamento.

2.1 – Con un secondo ricorso al TAR Campania (rubricato al n.8678/200) la sig.ra C. impugnava l’ordinanza di revoca nonchè:

– l’atto n. 10148 del 28.05.2002 (recante chiarimenti da parte del Comune);

– una seconda autorizzazione edilizia (n. 13 dell’1.02.2000) rilasciata in favore del sig. Chirico Pasquale, ulteriore titolare della citata gioielleria.

3.- Con due separate pronunzie il TAR adìto, respingeva la prima impugnativa (sent. n.18218/04) e, quanto al secondo ricorso, lo dichiarava irricevibile avverso l’autorizzazione n. 13 dell’1.02.2000 rilasciata dal Comune al sig. Chirico Pasquale, inammissibile avverso l’atto prot. n. 10148 del 28.05.2002 e lo respingeva con riferimento ordinanza n. 47/2002 (di revoca dell’annullamento) (sent. n.18220/04).

4.- La sig.ra C. ha tuttavia impugnato entrambe le menzionate sentenze, chiedendone l’annullamento alla stregua di mezzi ed argomentazioni riassunti nella sede della loro trattazione in diritto da parte della presente pronunzia.

Alla pubblica udienza del 30 novembre 2010 i ricorsi in appello sono stati discussi e trattenuti in decisione.
Motivi della decisione

1.- Evidenti elementi di connessione permettono al Collegio di riunire gli appelli in trattazione, allo scopo di definirli con un unica sentenza; entrambi si riferiscono infatti alla controversa legittimità di due provvedimenti emessi dal Comune di Teano (in favore dei soggetti oggi appellati) e costituiti da una autorizzazione (n.1723/1993) alla installazione di una vetrina commerciale e da una concessione (n.210/93) per connesse opere interne di ristrutturazione edilizia, emessa in sanatoria, all’interno di fabbricato situato in centro storico.

1.1.- L’appellante, comproprietaria dell’immobile interessato dai predetti provvedimenti contesta le due decisioni sostenendo che gli atti gravati hanno determinato una estensione del volume e della superficie dell’originario vano adibito ad attività commerciale di gioielleria ed in danno di immobile tutelato in centro storico.

2.- Il primo appello 2559/05 argomenta diversi profili di erroneità che affliggerebbero al sentenza n. 18218/04, con riferimento alla ritenuta legittimità dell’autorizzazione n. n. 1723/1993 ed alla concessione in sanatoria n. n. 9330/1993.

2.1- Anzitutto la decisione, che ha respinto il ricorso non ritenendo i provvedimenti in contrasto con la normativa urbanistica, viene criticata ove ha argomentato che l’intervento (consistente nel riempimento dell’arco con la vetrina) non ha comportato la realizzazione di opere murarie e non ha modificato gli elementi architettonici esterni, in particolare conservando l’integrità gli archi dell’edificio.

Ad avviso dell’appellante questa interpretazione delle opere autorizzate non sarebbe legittima poiché:

– contraddirebbe la giurisprudenza consolidata che pone alla base del controllo edilizio la nozione di impatto ambientale;

– qualunque intervento che determini la delimitazione stabile e permanente di uno spazio finito e che crei nel contempo una nuova utilità è soggetto a concessione edilizia, anche se non venga accompagnato da opere murarie;

– quest’ultime sono comunque state realizzate con la eliminazione di una spalletta a chiusura di un accesso, opera che accentuerebbe il già esistente rischio sismico;

– gli elementi architettonici esterni risultano modificati.

Le censure mosse alla sentenza sul punto non hanno fondamento.

Esse assemblano insieme profili assolutamente diversi quali l’impatto ambientale, le linee architettoniche ed il rischio sismico, non adducendo peraltro alcun estremo giurisprudenziale o norma che permetta di evidenziare l’illegittimità degli atti censurati. In particolare il Collegio non ritiene che opere non murarie quali l’apposizione di vetrine possa in linea di principio necessitare un controllo sull’impatto ambientale, essendo questo proprio di interventi anzitutto di natura edilizia, che per dimensioni e caratteristiche assumono rilevanza non interna, perché modificano la qualità dell’ambiente posto al di fuori dell’edificio. Per contro la normativa (cfr. dpr n. 380/2001) che disciplina tutta la gamma di provvedimenti soggetti a denunzia di inizio di attività edilizia regola di norma interventi assolutamente di basso profilo edilizio, ed inspirandosi perciò alla logica della semplificazione del procedimento, mal si concilierebbe con l’ inutile applicazione delle procedure previste per le valutazioni di impatto ambientale.

2.2. – Al contrario, e passando agli altri profili, il TAR, dando rilievo all’assenza di opere murarie, risulta aver proceduto ad una disamina sostanzialmente corretta dell’effettiva natura dell’intervento, non tanto in rapporto all’art. 8 del PDF, che vieta nel centro storico ogni intervento atto ad alterare il valore e l’aspetto degli edifici, quanto in relazione al Piano di recupero vigente nello stesso Comune nella cui disciplina rientra l’immobile di cui si tratta e che, agli artt. 14, 15 e 20, reca disposizioni a salvaguardia degli archi. Posto che gli interventi modificativi dell’aspetto vietati dall’art. 8 possono infatti essere realizzati anche con materiali diversi da quelli che compongono le opere di muratura, resta comunque valido supporto della decisione il rilievo che l’apposizione della vetrina interna allo spazio dell’arco, non avendo valenza edilizia, non appare assolutamente idonea a realizzare una alterazione dell’aspetto architettonico dell’immobile, delle cui linee, peraltro da valutarsi nel loro insieme gli archi, costituiscono componente essenziale che tuttavia non viene nella specie modificata. Del resto, sullo specifico profilo delle conservazione dell’aspetto edilizio costituito dagli archi (cui certamente sul piano estetico può discutersi dell’opportunità di apporre vetrine commerciali), il TAR ha anche segnalato come questo profilo sia stato oggetto di specifico parere previsto dall’art. 25, c. 3, del piano di recupero di cui a suo tempo l’immobile è stato oggetto.

2.3- Quanto all’ipotizzato aggravio del rischio sismico (in disparte il dubbio che la censura sia stata formulata in primo grado) essa è del tutto genericamente avanzata, non essendo sostenuta da alcuna documentazione che riesca a dimostrare con gli opportuni calcoli come in correlazione con l’installazione della vetrina, o con l’apertura di una porta si aggravino le condizioni di stabilità strutturale dell’ edificio.

2.4- Quest’ultimo rilievo non permette di accedere anche al secondo mezzo svolto, che sembra estendere il divieto di modificazione delle opere murarie originarie (art. 15) anche ai quegli interventi che pur non arrecando modifiche murarie, abbiano però comunque un certo un impatto estetico sulla struttura architettonica. Ed invero si tratta di una valutazione che esula sicuramente dall’ambito della stretta legittimità dei provvedimenti amministrativi, essendo infatti demandata, dal piano di recupero, al già richiamato parere di cui all’art. 25.

2.5- – Con ulteriore mezzo si sostiene che le opere integrino la violazione dell’art. 25 (delle NTA del citato Piano) sotto altro profilo, e precisamente ove la norma vieta l’apposizione di vetrine realizzate in materiale metallico. L’appellante contrasta l’orientamento, espresso dal TAR per il quale il cennato divieto opererebbe solo per gli edifici assoggettati a vincolo. La normativa non permette però di aderire alla tesi dell’appellante poiché, dopo aver consentito l’installazione solo sugli edifici non classificati di interesse storico -architettonico (o segnalati nell’apposita tavola delle emergenze dello stesso tipo), prevede (comma IV) il divieto di installazione di vetrine metalliche solo all’esterno dell’edificio; conseguentemente l’intervento, che è realizzato all’interno di un edificio non interessato da vincoli architettonici od emergenze del tipo evidenziato, non urta con alcune delle disposizioni richiamate dalle censure appellanti.

2.6- Le doglianze formulate dall’appellante a partire dalla p. 28 del ricorso investono il rilievo dato dal primo giudice al fatto che l’installazione della vetrina non è stata accompagnata da un assenso al mutamento di destinazione d’uso dello spazio utilizzato, presenza ritenuta invece necessaria dal ricorso di primo grado e determinante (secondo il ricorso) la necessità di rilasciare una concessione edilizia, anziché non di una semplice autorizzazione. Anche questa tesi non può essere accolta. Ad avviso del Collegio, il TAR ha correttamente classificato l’intervento come realizzazione di pertinenza edilizia, ove ha posto in rilievo che l’opera contestata costituisce pur sempre "un elemento integrativo che si aggiunge all’esistente, ma non suscettibile di autonomo valore ed utilizzabilità indipendentemente dal suo collegamento con l’immobile principale, nella specie il locale destinato all’attività principale"; e poiché è principio noto che gli interventi realizzativi di pertinenze edilizie (per il concetto urbanistico di pertinenza v. Cons. di Stato, sez. VI, n. 1174/2000)), sono assoggettate a regime di autorizzazione (v. Cons. di Stato, sez. V, n. 315/1998), resta quindi oggettivamente escluso che l’opera "de qua" necessitasse del titolo concessorio.

2.7.- L’appellante avversa poi il quinto motivo di rigetto, con il quale il TAR ha respinto l’eccezione di difetto di legittimazione dell’odierno appellato a conseguire i provvedimenti di assenso contestati; in particolare il ricorrente aveva eccepito in primo grado che la ditta J.L. non poteva ottenere i predetti titoli abilitativi, non essendo titolare o contitolare di un diritto di proprietà, seppure condominale rispetto al vano arco interessato dall’opera, ma solo locataria. Il TAR ha respinto la censura, rilevando la mancata prova della proprietà condominiale da parte dell’odierna appellante, e per tale ragione ha ritenuto che la stessa non poteva contestare il titolo della controparte a chiedere ed ottenere gli assensi della cui legittimità si discute. Il mezzo in esame, dopo aver ribadito la carenza di legittimazione della ditta istante, ripropone qui la stessa obiezione, imputando alla sentenza di confondere profili civilistici e pubblicistici.

La censura contro la sentenza in punto legittimazione dell’appellante è fondata poiché la proprietà condominiale della C. non è stata comunque oggetto di contestazione ad opera delle controparti; ciò non elideva tuttavia il fatto che la doglianza sostanziale qui riproposta (mancanza di titolo della controparte all’autorizzazione) fosse infondata nel suo contenuto giuridico sostanziale; in proposito deve farsi riferimento al principio ormai affermato in giurisprudenza per il quale il titolo edilizio può essere rilasciato non solo al soggetto che è proprietario dell’immobile ma anche a colui che, pur non essendo tale, abbia comunque un titolo a richiederlo trovandosi in una posizione che non faccia considerare illecita la sua attività costruttiva (TAR Lazio, LT, n. 570/2001). Anche in una situazione di locazione (cfr. Cass, civ sez. II, n. 4214/2007) va quindi riconosciuta la legittimazione ad ottenere provvedimenti amministrativi ampliativi della propria sfera mediante l’utilizzo anche di parti della proprietà di terzi condominiale (salva ovviamente la necessaria autorizzazione da parte di quest’ultimo). Quindi, sotto i due aspetti, e diversamente da quanto ritenuto dal TAR, va affermato che:

– al fine di contestare la legittimazione della controparte ad eseguire l’intervento. l’appellante non aveva l’onere di fornire prova del proprio titolo di condomino;

– per contro, l’eccezione di non legittimazione della ditta Jean Louis ad ottenere l’autorizzazione risulta infondata nel merito, in forza dei principi surrichiamati.

2.8.- L’ultimo motivo contrasta la decisione gravata con riferimento alla concessione in sanatoria delle opere di ristrutturazione, la cui impugnazione non è stata esaminata dal TAR, poiché il primo giudice ha rilevato che la concessione aveva oggetto le opere di ristrutturazione interna, mentre le censure sottopostegli erano dirette contro l’autorizzazione alla vetrina, risultata però esente dai proposti vizi di legittimità.

In contrario l’appellante evidenzia di aver censurato la concessione per l’illegittimità dell’occupazione del vano in quanto priva di atto autorizzatorio, e ripropone poi le ragioni per le quali l’intervento di apposizione della vetrina risulta a suo avviso contrastare con la normativa urbanistico edilizia del Comune di Teano. Anche queste deduzioni non assumono però rilevanza; ed invero l’emissione di un’autorizzazione risultata esente dai vizi denunciati, non permette di ipotizzare vizi di illegittimità a carico della successiva concessione in sanatoria che a quella autorizzazione risulti in qualche modo collegata; peraltro tale collegamento non sussiste nella misura in cui la concessione in sanatoria riguarda non la vetrina (oggetto dell’autorizzazione) ma altre e diverse opere, di ristrutturazione edilizia interna del locale. Ma anche rispetto a quest’ultime, tenuto conto che il locale interessato risulta dato in locazione alla parte appellata (v. contratto in atti), sussiste una situazione giuridica (nella specie la detenzione) che, come già osservato, legittima pienamente a chiedere la concessione edilizia e ad ottenerla (in presenza della conformità dell’intervento alle norme urbanistiche).

La censura (come anche quella trattata al precedente punto n. 2.7) deve pertanto essere respinta seppur con motivazione diversa e più articolata rispetto a quella offerta dal primo giudice.

3.- Deve quindi esaminarsi il secondo e connesso ricorso (n. 2649/2005), il quale, dopo ampia premessa riepilogante gli atti, l’oggetto e le norme che vengono in rilievo nella controversia, svolge tre ordini di censure.

Come già precisato in fatto, ripetiamo qui per comodità che con la sentenza n. 18220/04 il TAR ha dichiarato l’impugnativa:

– irricevibile avverso l’autorizzazione n. 13 dell’1.02.2000 rilasciata dal Comune al sig. Chirico Pasquale, essendo già stata impugnata con altro ricorso definito da sentenza diversa da quella impugnata;

– inammissibile avverso l’atto prot. n. 10148 del 28.05.2002

– infondata con riferimento all’ ordinanza n. 47/2002 (di revoca dell’annullamento di concessione edilizia n. 1723/1993 impugnata col precedente ricorso respinto con la sentenza sopra confermata).

3.1- Contro l’irricevibilità, l’appellante osserva in sintesi che il procedimento edilizio attivato presso il Comune dalla controparte ha riguardato anche altri interventi (in particolare un lungo manufatto di marmo, pavimentazione e impianto ventilazione) perchè contenuti negli atti progettuali, e che ciò era venuto a conoscenza dell’appellante solo con la nota n. 10148/02, (anch’essa impugnata e tempestivamente), restando esclusa "per tabulas" la tardività rilevata dal Tribunale. La censura non ha alcuna consistenza. Ed invero, premesso che il TAR ha dichiarato inammissibile il ricorso contro la nota cennata attesa la sua natura non provvedimentale, il Collegio deve rilevare che le opere indicate dalla ricorrente non sono tuttavia comparse nell’autorizzazione rilasciata di cui si controverte (n. 13/2000) che è stata emessa invece limitatamente alla sostituzione di porte esterne, all’apposizione di un insegna pubblicitaria ed all’apertura di un vano porta; la circostanza che le altre opere ipotizzate non sono poi in effetti comparse nell’autorizzazione di cui si controverte è del resto ammessa dalla stessa appellante a p.14 del ricorso, sicché esse non entrano nella problematica oggetto della controversia sollevata dall’appello in esame.

3.1.1- Per la stessa ragione sono inconferenti le censure successivamente sviluppate dal ricorso (pp. 1519) contro il rigetto dei motivi riguardanti l’ impugnata autorizzazione n. 13/2000.

3.2.- Sull’inammissibilità dell’impugnazione dell’atto n. 10148/02, deve convenirsi con il primo giudice in ordine alla sua natura non provvedimentale, emergente dal fatto che trattasi di atto interno indirizzato dal responsabile del procedimento ai soggetti ed organi interessati alla formale conclusione del procedimento. L’appellante contrasta quest’argomentazione, ma dallo sviluppo della doglianza non è dato comprendere per quali ragioni egli ritiene di riconoscere nell’atto gli elementi tipici del provvedimento amministrativo. Peraltro, rilievo decisivo, l’atto indica interventi edilizi che indiscutibilmente non risultano costituire oggetto della autorizzazione rilasciata ed impugnata.

3.3.- Il terzo ed ultimo ordine di censure riguarda il rigetto del ricorso contro l’ordinanza n. 47/2002 che, revocando l’ordinanza che aveva inizialmente annullato l’autorizzazione n. 1723/93 (trattata nel ricorso e nell’appello precedenti), le ha restituito efficacia.

Qui l’appellante ripropone (pp. 2133) anche avverso la seconda sentenza tutte le questioni già trattate dalla prima pronunzia impugnata e già affrontate dall’appello su di essa proposto e negativamente definito in questa sede; ne deriva perciò la necessità di confermare anche qui l’infondatezza dell’impugnativa della pronunzia del TAR, il quale, per le medesime ragioni ha ritenuto legittima l’autorizzazione inizialmente rilasciata e, conseguentemente, illegittima la sua revoca.

3.4- Il ricorso in esame conclude rilevando l’omessa trattazione da parte del TAR di una serie di profili, espressamente travolti dalla decisione di non accogliere il ricorso avverso il provvedimento n. 10148/02; la conferma della sentenza di rigetto assorbe pertanto anche in questa sede la rilevanza dei predetti profili.

4. – Conclusivamente gli appelli vanno respinti, meritando conferma entrambe le decisioni impugnate.
P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (sezione IV), definitivamente pronunziando in merito ai ricorsi in epigrafe, e previa riunione dei medesimi, li respinge.

Nulla spese.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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