Cass. civ. Sez. III, Sent., 06-04-2011, n. 7858 Cosa in custodia

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. D.L.R. chiedeva al Giudice di Pace la condanna, ex artt. 2049 e 2051 c.c. della Consac (Consorzio acquedotti cilento, quale committente) e della Ing. Orfeo Mazzitelli spa (quale appaltatore) per i danni (pari a L. due milioni e mezzo) subiti, su un fondo di proprietà, in esito a un incendio sviluppatosi (nel 1996) durante l’esecuzione dei lavori di completamento dell’acquedotto civico.

La domanda veniva rigettata in primo grado; il rigetto era confermato in appello (sentenza del 17 luglio 2008).

2. La D.L. ha proposto ricorso per cassazione con quindici motivi, corredati da quesiti. Si è difesa con controricorso, illustrato da memoria, la Ing. Orfeo Mazzitelli spa.

Le altre parti, ritualmente intimate, non hanno presentato difese.

3. Il giudice di appello così argomentava. a) Sulla base della corretta valutazione del materiale probatorio, da parte del giudice di primo grado, il fatto storico risulta così accertato: l’incendio propagatosi sul fondo della D.L. si era sviluppato dalle scintille prodotte dall’uso di una smerigliatrice elettrica utilizzata da due operai, dipendenti della ditta Termotecnica, alla quale erano stati subappaltati i lavori dell’acquedotto dal M.; gli operai avevano patteggiato la pena; non vi sono elementi per ritenere che gli operai fossero dipendenti del M.. b) La responsabilità ai sensi dell’art. 2049 c.c. non può essere ascritta alla Consac, committente, nè al M., quale appaltatore subcommittente dell’appalto, ma alla ditta della quale gli operai erano dipendenti, non evocata in giudizio. La responsabilità rispetto ai soggetti indicati è esclusa. non risultando provati: rispetto alla Consac, l’esclusiva direzione dei lavori nè una concreta ingerenza; rispetto alla società M., nè la culpa in eligendo nella scelta di un’impresa appaltatrice priva della capacità e dei mezzi tecnici per eseguire al prestazione, nè la concreta ingerenza nell’esecuzione; inoltre, se il subappalto fosse o meno consentito tra le parti, rileva solò sul piano dei rapporti interni e non rispetto ai danni procurati a terzi. La responsabilità è, invece, configurabile rispetto alla ditta subappaltatrice, non evocata in giudizio. c) Poichè l’evento dannoso è stato causato non da cose in custodia, ma dall’utilizzo di una smerigliatrice da parte di operai dell’impresa subappaltatrice. è stato erroneamente invocato l’art. 2051 c.c.; dovendo essere il fatto illecito ricondotto nell’ambito dell’art. 2043 c.c. va rigettato il motivo di appello con cui ci si duole della mancata applicazione dell’art. 2051 c.c. 4. Con il primo motivo di ricorso, la ricorrente censura, come violazione processuale (artt. 112, in riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 4), la parte della sentenza che esclude la responsabilità ex art. 2049 c.c. in capo al committente e all’appaltatore subcommitente e la configura in capo alla ditta subappaltatrice, non evocata in giudizio. Deduce, in particolare che, trattandosi di difetto di titolarità passiva del rapporto sostanziale e non di difetto di legittimatio ad causarvi, il giudice non avrebbe potuto rilevarla d’ufficio, senza tempestiva eccezione di parte (non potendosi considerare tale la deduzione solo in appello e da parte della sola M., in contrasto con l’art. 345 c.p.c.).

Il motivo è inammissibile perchè la critica non trova rispondenza nel decisimi della sentenza. Infatti, il giudice da conto delle ragioni per cui non può rinvenirsi responsabilità in capo al committente e appaltatore subcommittente (evocati in giudizio), restando indenne il primo rispetto al secondo e il secondo rispetto al subappaltatore, in mancanza di prova su quelle particolari condizioni nella esecuzione degli appalti che, sole, rendono possibili tale riferibilità (v. 3). Quindi, per avvalorare tale ricostruzione, ipotizza la responsabilità del subappaltatore.

Nonostante la sintassi utilizzata possa ingenerare il dubbio che accerti la responsabilità di quest’ultimo, non c’è dubbio che, logicamente, l’affermazione della responsabilità della ditta subappaltatrice costituisca una mera ipotesi, volta a concludere il percorso di pensiero in ordine alla catena delle responsabilità. 5. Con alcuni motivi, la ricorrente mira alla critica della sentenza impugnata nella parte in cui non riconosce una preposizione diretta degli operai responsabili dell’incendio da parte della M. (violazione di legge, dovendosi considerare tale preposizione fatto pacifico, perchè contestato con argomenti incompatibili secondo o perchè non contestato sesto) e nella parte in cui riconosce un subappalto conferito dalla stessa M. (contraddittoria motivazione, nel riconoscerlo nonostante non sia stato dedotto dal M. terzo, omessa motivazione, nell’accertarlo sulla base di una sola testimonianza quinto).

Sempre in riferimento al rapporto tra M. e gli autori materiali dell’illecito, si duole del mancato accertamento di un eventuale rapporto di direzione di fatto da parte del M., nonostante gli operai rispondessero formalmente ad altra ditta (settimo), anche sotto il profilo della insufficiente motivazione (ottavo) e dell’omessa motivazione in ordine al mancato accertamento della effettiva esistenza di patti di non ingerenza tra il M. e la ditta subappaltatrice (decimo). Pure omessa motivazione si lamenta in ordine al mancato accertamento di patti di non ingerenza tra Consac e M. (nono).

Tutti i motivi suddetti (secondo, terzo, quinto, sesto, settimo, ottavo, nono, decimo) sono inammissibili perchè, anche quando formalmente viene dedotta violazione di legge, in realtà si lamenta la valutazione che il giudice ha fatto delle prove e se ne ipotizza o prospetta una diversa, senza individuare vizi logici in tale ricostruzione. Si tratta, invero, di valutazioni del fatto, sottratte al sindacato di legittimità. 6. Con il quarto motivo, si censura la sentenza nella parte in cui ritiene irrilevante, al fine della valutazione della responsabilità del M., la circostanza, fatta valere dall’appellante, che il subappalto non era stato consentito dal committente. Si deduce la nullità del contratto di subappalto, essendo stato stipulato senza autorizzazione della amministrazione pubblica committente, in violazione della normativa anticriminalità ( L. n. 646 del 1982, art. 21 e succ mod.).

La censura è, in primo luogo, inammissibile perchè il profilo della nullità è introdotto per la prima volta nel giudizio di legittimità. Comunque, sarebbe manifestamente infondato, prevedendo la suddetta normativa, come vigente già al momento del fatto, solo la possibilità per l’amministrazione di chiedere la risoluzione del contratto, nel caso di subappalto senza autorizzazione (mentre, le decisioni richiamate in ricorso si riferiscono alla originaria formulazione del cit. art. 21, nel quale tale facoltà non era prevista).

7. Pure inammissibili sono l’undicesimo e il dodicesimo motivo, che censurano la decisione nella parte in cui fa riferimento all’art. 2043 c.c., deducendo extrapetizione e violazione del giudicato in mancanza di impugnazione incidentale sul punto, sul presupposto della diversità tra l’azione ex art. 2051 c.c. (esercitata dalla D.L. unitamente a quella ex art. 2049 c.c.) e quella ex art. 2043 c.c. ritenuta dal giudice.

All’evidenza il richiamo – certamente improprio – all’art. 2043 c.c. è ininfluente rispetto alla argomentazione del giudice. Si tratta di un lapsus calami, dovendosi intendere il riferimento non all’art. 2043 c.c. ma all’art. 2049 c.c.. Infatti, nell’esaminare il motivo di appello in cui la D.L. si duoleva della omessa pronuncia in ordine all’art. 2051 c.c. da parte del giudice di primo grado, il giudice motiva in termini di qualificazione della domanda, nella quale erano state invocati senza subordinazione il 2049 c.c. e il 2051 c.c., riconducibile, appunto, sulla base della stessa prospettazione nell’ambito dell’art. 2049 c.c. (e non 2043 c.c., come è scritto), ed esclude l’applicabilità nella specie dell’art. 2051 c.c., per il mancato rilievo del rapporto custodiale rispetto a un fatto lesivo determinato da operai di un’impresa.

8. E’ inammissibile, per astrattezza e genericità del quesito, del tutto avulso dalla fattispecie e dalle ragioni fondanti la sentenza impugnata, il tredicesimo motivo, con in quale si prospetta il mancato rispetto dell’onere della prova in riferimento all’art. 2051 c.c..

9. Con il quattordicesimo motivo, si censura la statuizione sulle spese, anche sotto il profilo della omessa motivazione (quindicesimo), lamentando l’avvenuta liquidazione globale delle stesse – pur nella separata indicazione di onorari e diritti, senza che fosse stata depositata la relativa nota, ai sensi dell’art. 75 disp. att. c.p.c..

I motivi sono inammissibili per mancata dimostrazione dell’interesse all’impugnazione, che non può sostanziarsi nell’astratto interesse alla esatta applicazione della legge, ma deve coniugarsi con la lesione di un concreto interesse. Invece, la ricorrente non ha dedotto in concreto, mediante il riferimento agli atti di causa e alle tabelle in relazione al valore della controversia, l’avvenuta lesione di un suo interesse patrimoniale, attraverso la determinazione globale degli onorari e diritti che il giudice ha fatto nel condannarla al rimborso delle spese processuali a favore della parte vittoriosa.

Le spese seguono la soccombenza.
P.Q.M.

LA CORTE DI CASSAZIONE dichiara inammissibile il ricorso e condanna D.L.R. al pagamento, in favore della Ing. Orfeo Mazzitelli spa, delle spese processuali del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 1.500,00, di cui Euro 200,00 per spese, oltre alle spese generali ed agli accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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