Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 10-02-2011) 23-02-2011, n. 6982 Misure cautelari

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con ordinanza in data 13 luglio 2010, il Tribunale di Catanzaro, accogliendo l’istanza di riesame avanzata nell’interesse di T. D., indagato per il reato di partecipazione ad associazione di stampo mafioso (capo a) e porto e detenzione di armi (capo m), annullava l’ordinanza del Gip di Catanzaro, emessa in data 17/6/2010 e per l’effetto revocava la misura cautelare della custodia in carcere applicata al prevenuto. Il Tribunale escludeva che dal compendio accusatorio fossero individuabili gli elementi costitutivi del delitto associativo di tipo mafioso ed osservava che dal materiale indiziario emergeva che, a partire dai primi mesi dell’anno 2007, in costanza della detenzione di L.B.C. (capo della cosca Lo Bianco) si era verificato il radicamento sul territorio di soggetti criminali che agivano al di fuori del contesto associativo egemone dei Lo Bianco e, in una ultima fase, progettavano la costituzione di un gruppo autonomo sotto l’egida di M. A., contrapposto alla cosca Lo Bianco. Secondo l’ipotesi accusatoria, dagli esiti dell’attività di captazione telefonica ed ambientale svolta dagli inquirenti, sarebbe emerso che L.B. C. e M.A., rispettivamente promotore e partecipe dell’associazione mafiosa Lo Bianco (riconosciuta con sentenza della Corte d’Appello di Catanzaro del 3/6/2010), nonchè Ma.Ni. avrebbero promosso ed organizzato un gruppo criminale finalizzato alla realizzazione di estorsioni e di reati contro il patrimonio, nonchè al controllo delle attività economiche nel settore delle affissioni pubblicitarie, servizi funerari, trasporto in ambulanza, pubblici appalti.

Il Tribunale rilevava che tale ipotesi accusatoria non trovava conferma nel compendio indiziario, osservando, in primo luogo che non erano emerse prove di contatti di natura illecita fra L.B. C. e gli altri soggetti affiliati ed, in secondo luogo, che dalle singole vicende prese in considerazione nell’ordinanza del Gip emergeva soltanto che gli indagati si erano aggregati per commettere episodicamente dei reati, sebbene fosse serpeggiata l’idea di costituire un gruppo autonomo che potesse sostituire l’egemonia della cosca Lo Bianco.

In particolare, con riferimento alla vicenda estorsiva in danno dell’imprenditore C.A. per la quale erano stati tratti in arresto (il 22/12/2007) P.F.A. e m.D. il Tribunale osservava che dalle numerose conversazioni intercettate in carcere emergeva una diatriba fra le famiglie dei detenuti e gli altri soggetti che erano rimasti indenni dall’azione giudiziaria ai quali venivano rivolte pressanti richieste di denaro, soprattutto da P.R., padre di F. A. nei confronti di Ma.Ni..

Ad opinione del Tribunale le pretese di assistenza economica dei detenuti non nascevano dalla loro affiliazione ad una associazione di stampo mafioso facente capo al clan Lo Bianco, quanto piuttosto erano legittimate dal fatto che Ma.Ni. e L.B.G. erano coinvolti nell’estorsione e, pertanto, dovevano prestare aiuto ai loro complici tratti in arresto. Osserva il Tribunale che da una conversazione intercorsa l’11 luglio 2008 fra P.R. e L. B.P. (figlio del boss L.B.C.) si evinceva che la vicenda estorsiva era un affare esclusivo di Ma. e non della famiglia Lo Bianco, in quanto il figlio del boss, nel tentativo di intromettersi era stato letteralmente zittito dal Ma. (sono fatti miei).

Pertanto il Tribunale reputava che Ma.Ni., approfittando della debolezza del vecchio ( L.B.C.) avesse organizzato una autonoma attività delinquenziale nella quale concorreva P. F.A.. Quest’ultimo aveva compiuto numerose imprese criminali, associato ad altri soggetti, con i quali spartiva i proventi, senza, tuttavia, che emergessero gli estremi di un vincolo associativo.

Osservava il Tribunale che gli elementi indiziari in atti dimostravano che, negli anni 2007/2008, dopo l’arresto del boss e dei sodali della cosca Lo Bianco, un gruppo di criminali ( Ma.

N., L.B.G., Ma.Vi., M. S., P.F.A., m.D. ed il fratello F.) scorazzava in libertà per il territorio vibonese, ponendo in essere, singolarmente ed in concorso, condotte illecite. In tale periodo di anarchia criminale si collocavano la vicenda estorsiva in danno di C. il pestaggio degli operai, le estorsioni che il P. poneva in essere con il Mo., le imprecisate assunzioni imposte ai titolari del Supermercato Eurospin, nonchè la costituzione di società fittiziamente intestate a terzi. Precisava, inoltre, il Tribunale che, pur non sussistendo dubbi che le attività economiche realizzate attraverso l’interposizione fittizia fossero illecite, tuttavia non sussistevano elementi per affermare che esse fossero gestite da Ma.Ni. e M.A. per ricondurle alla cosca Lo Bianco. Rilevava, peraltro, il Tribunale che, dopo la sua scarcerazione dagli arresti domiciliari, il 10 giugno 2009, M. A. aveva avuto continue frequentazioni con P.F. A., Mo.Sa., M.V., i quali si erano attivati per fornirgli copertura sintomatica di attività sommerse, come l’acquisto di schede telefoniche intestate a L.B.M. e la bonifica della vettura. Concludeva, quindi, il Tribunale osservando che dagli atti emergeva che M., nonostante si fosse circondato di soggetti dei quali era conosciuto il radicamento criminale sul territorio vibonese, non aveva creato alcuna organizzazione criminale stabile, nè nel proprio interesse, nè nell’interesse di L.B.C., precisando, tuttavia che la disponibilità di tali soggetti ( M.V., P. F.A. e Mo.Sa.) l’apprestamento di molte cautele per eludere i controlli delle forze dell’ordine, nonchè il carisma di M., che contava sull’appoggio di microcriminali come i m.; lasciavano intravedere rapporti criminali in consolidazione che, verosimilmente, preludevano ad una organizzazione criminale stabile.

Con riferimento all’episodio di intimidazione nei confronti del dentista F.E., il Tribunale rilevava che non sussistevano agli atti elementi certi per ritenere che a sparare nei pressi dello studio fossero stati m.D. e T.D..

Pertanto dovevano ritenersi insussistenti i gravi indizi, sia con riferimento al delitto associativo, sia con riferimento al delitto relativo alle armi, contestato all’indagato al capo m).

Avverso tale ordinanza propone ricorso il P.M. deducendo la mancanza e manifesta illogicità della motivazione risultante dal testo del provvedimento impugnato e da altri atti specificamente indicati. Il P.M. ricorrente eccepisce l’intrinseca contraddittorietà della conclusioni a cui è pervenuto il Tribunale il quale, dando per scontata l’aggregazione intorno a m.A. di un gruppo di criminali che si proponeva di perpetrare azioni delittuose e che altre ne aveva già realizzate, di grande visibilità, non fa altro che delineare un fenomeno che non risulta qualificabile in termini diversi dalla "associazione criminale". Obietta che nel concorso di persone nel reato continuato l’aggregazione delle volontà delittuose avviene in relazione a specifici reati programmati, cosicchè l’esistenza di una volontà di più soggetti, tesa alla commissione di reati futuri ed indeterminati, ed, in particolare, l’osservazione che costoro avessero intrapreso l’esercizio di attività economiche con lo scudo di soggetti formalmente incensurati allo scopo di mascherare tratti di illegalità della loro futura attività, dimostra l’esistenza di un programma futuro ed indifferenziato, teso alla commissione di reati che, sicuramente fuoriesce dall’ambito meramente concorsuale. Più specificamente il P.M. ricorrente osserva che le conclusioni raggiunte dal Tribunale del riesame si pongono in contraddizione con la valutazione che lo stesso Collegio ha effettuato delle emergenze processuali.

A questo riguardo il P.M. osserva che è pacifico che il gruppo Lo Bianco è stato riconosciuto come un sodalizio mafioso da una sentenza, ancora non definitiva, emessa dalla Corte d’Appello di Catanzaro. Del pari scontata, nella ricostruzione del Tribunale è la commissione da parte di P.F.A., L.B. G., M.S., Ma.Ni. del tentativo di estorsione commesso in data (OMISSIS) in danno dell’imprenditore C.A., per il quale il m. ed il P. erano stati tratti in arresto. E tuttavia di fronte alla prova che il P. ed il m. abbiano prima preteso e poi ottenuto assistenza economica dal Ma., dal Mo. e dal L.B., il Tribunale contraddittoriamente ha ritenuto che tale prestazione non abbia trovato il suo fondamento nell’esistenza di un rapporto associativo, bensì nella responsabilità di questi ultimi a titolo di concorso nella stessa estorsione per la quale i due giovani erano stati arrestati. Il P.M. ricorrente si duole che il Tribunale abbia tratto elementi per escludere l’affectio societatis da una conversazione intercettata (il 28 marzo 2009) di P.R., padre di F.A., nella quale costui esprime la convinzione dell’estraneità del figlio a qualunque rapporto di affiliazione criminale, senza tener nel debito conto una intercettazione del figlio (15 marzo 2008) nel quale costui riferiva esplicitamente di sè stesso come di "un diavolo nel gruppo".

Il Tribunale non avrebbe spiegato per quale motivo l’opinione di un congiunto dell’indagato sulla sua appartenenza o meno ad un determinato sodalizio criminale dovrebbe prevalere su quanto riferito dallo stesso indagato. Il Tribunale inoltre avrebbe fatto una lettura illogica di specifici elementi indiziati, reputando irrilevante la spendita del nome di L.B.C. per la consumazione dell’estorsione ai danni di C.A. ed effettuando una interpretazione sbagliata della conversazione intercorsa l’11 luglio 2008 fra P.R. e L.B.P. e di altre conversazioni intercettate. Ulteriori contraddittorietà della motivazione emergerebbero nell’analisi del ruolo di M. A., avendo il Tribunale ignorato gli esiti di specifiche intercettazioni (relative a rapporti fra m.D. e M.A.) dalle quali emerge che costui, nonostante il suo stato di detenzione, proseguiva nel suo ruolo di riferimento dell’agire degli altri consociati. Anche la ricostruzione della vicenda relativa al dentista F.E. sarebbe frutto di una errata lettura della conversazione intercettata il 18/2/2010 nell’autovettura dei fratelli G..

Il P.M. ricorrente, inoltre si duole che il provvedimento del Tribunale sarebbe caratterizzato da una grave omissione nella lettura degli elementi di prova circa l’utilizzo del metodo mafioso per l’assoggettamento di alcune imprese operanti nel settore della pubblicità e degli appalti di pubblici servizi. In definitiva il P.M. rileva tre gravi contraddizioni nel percorso logico del provvedimento impugnato.

In primo luogo il Tribunale esclude che il gruppo capeggiato da Ma.Ni., di cui individua come componenti P.F. A., M.S., L.B.G. sia riconducile a L.B.C.. Al fine di giustificare tale conclusione il Collegio, nonostante il rapporto di affinità fra il L.B. ed il Ma. (che ne è genero) attribuisce decisività ad una serie di conversazioni dalle quali si evince il desiderio del Ma. di rendersi autonomo dal suocero, omettendo di confrontare tale conclusione con il fatto che il gruppo spendeva il nome del capo per commettere estorsioni. In secondo luogo il Tribunale descrive il rapporto fra gli indagati in termini di "aggregazione per commettere episodicamente reati" accompagnata dalla idea di "costituire un gruppo che potesse sostituire l’egemonia della cosca Lo Bianco", senza rendersi conto della apoditticità di tale conclusione.

In terzo luogo il Tribunale non ha tenuto conto alcuno del materiale probatorio, riportato nel paragrafo 3.1 della ordinanza cautelare, dimostrante come gli indagati fossero coinvolti nella gestione di imprese che avevano realizzato un pesante condizionamento dell’economia vibonese attraverso metodologie mafiose.
Motivi della decisione

Il ricorso è fondato.

Il provvedimento impugnato è viziato da motivazione contraddittoria, illogica, ed apparente.

Secondo l’insegnamento di questa Corte:

"l’elemento distintivo tra il delitto di associazione per delinquere e il concorso di persone nel reato continuato, è individuabile nel carattere dell’accordo criminoso, che nel concorso si concretizza in via meramente occasionale ed accidentale, essendo diretto alla commissione di uno o più reati – anche nell’ambito di un medesimo disegno criminoso – con la realizzazione dei quali si esaurisce l’accordo e cessa ogni motivo di allarme sociale, mentre nel reato associativo risulta diretto all’attuazione di un più vasto programma criminoso, per la commissione di una serie indeterminata di delitti, con la permanenza di un vincolo associativo tra i partecipanti, anche indipendentemente e al di fuori dell’effettiva commissione dei singoli reati programmati" (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 42635 del 04/10/2004 Ud. (dep. 03/11/2004) Rv. 229906).

Occorre tenere presente, inoltre, che al riesame si applicano i principi elaborati dalla Giurisprudenza di questa Corte, in tema di sentenza d’appello difforme da quella di primo grado, circa la necessità di una adeguata confutazione delle ragioni poste a base del provvedimento riformato.

Secondo tale incontestabile orientamento:

"In tema di impugnazioni, il giudice di appello è libero, nella formazione del suo convincimento, di attribuire alle acquisizioni probatorie il significato e il peso ritenuti giusti e rilevanti ai fini della decisione, con il solo obbligo di spiegare con motivazione immune da vizi le ragioni del suo convincimento, obbligo che, nell’ipotesi di decisione difforme da quella assunta dal giudice di primo grado, impone anche l’adeguata confutazione delle ragioni poste alla base della sentenza riformata" (Cass. Sez. 4, Sentenza n. 28583 del 09/06/2005 Ud. (dep. 29/07/2005) Rv. 232441).

Nel caso di specie, il Tribunale per il riesame ha fondato le sue conclusioni, che riconoscono il concorso meramente occasionale ed accidentale dei soggetti indagati nella commissione di specifici reati al posto della sussistenza del vincolo associativo e di un più vasto programma criminoso per la commissione di una serie indeterminata di delitti, su un percorso argomentativo contraddittorio e palesemente illogico, privo, inoltre, di una adeguata confutazione delle ragioni poste a base dell’ordinanza riformata.

Il Tribunale, infatti, ha riconosciuto che gli elementi indiziari in atti dimostravano che, negli anni 2007/2008, dopo l’arresto del boss e dei sodali della cosca Lo Bianco, un gruppo di criminali ( Ma.

N., L.B.G., M.V., M. S., Pa.Fr.An., m.D. ed il fratello F.) scorazzava in libertà per il territorio vibonese, ponendo in essere, singolarmente ed in concorso, condotte illecite. Ha quindi precisato che in tale periodo di anarchia criminale si collocavano la vicenda estorsiva (ai danni dell’imprenditore C.A.), il pestaggio degli operai, le estorsioni che il P. poneva in essere con il Mo., le imprecisate assunzioni imposte ai titolari del Supermercato Eurospin, nonchè la costituzione di società fittiziamente intestate a terzi, aggiungendo che non sussistono dubbi che le attività economiche realizzate attraverso l’interposizione fittizia fossero illecite. Ha quindi ulteriormente riconosciuto che, dopo la sua scarcerazione dagli arresti domiciliari (giugno 2009), M.A. aveva avuto continue frequentazioni con P.F.A., Mo.Sa., M.V., i quali si erano attivati per fornirgli copertura sintomatica di attività sommerse, come l’acquisto di schede telefoniche intestate a terzi e la bonifica della vettura ed ha preso atto che nello stesso periodo si verificavano alcuni atti intimidatori nei confronti di P. N. e del dentista F.E. riferibili ai fratelli m.D. e F., soggetti da mettere in relazione con M.A..

Tanto premesso, il Tribunale conclude il suo percorso argomentativo con un postulato contraddittorio rispetto alla premesse, assumendo che i fatti descritti lasciano intendere intensi rapporti criminosi fra il M.A. ed il gruppo di criminali che scorazzavano nel Vibonese che preludono ad una organizzazione criminale in itinere, non ancora costituita. Tale conclusione appare palesemente illogica in quanto contrasta con gli elementi di cui il Collegio ha preso conoscenza che testimoniano una intensa attività criminale che, proprio in quanto tale, non si adatta alla tesi del concorso episodico ed occasionale in specifici reati.

Le conclusioni assunte dal Tribunale per il riesame, peraltro, sono viziate da motivazione apparente e da mancata confutazione delle ragioni poste a base del provvedimento riformato, con riferimento agli elementi probatori che emergono dal par. 3.1 dell’O.C.C. Infatti il Collegio non ha tenuto conto alcuno del materiale probatorio utilizzato dal Gip per pervenire alle conclusioni assunte nell’ordinanza riformata, nulla osservando rispetto a quelle intercettazioni che dimostrano – in ipotesi – un modus operandi degli indagati, coinvolti nella gestione delle imprese, volto a realizzare un condizionamento dell’economia vibonese attraverso metodologie mafiose.

Nel caso di specie, infatti, il Tribunale si è limitato a proporre un’interpretazione semplificante dell’intimidazione subita da Ma.Do., titolare della PUBUEMME, senza trame le logiche conseguenze circa le modalità operative degli indagati nella gestione della ditta Publiservice Sud e senza prendere minimamente in considerazione gli esiti delle altre intercettazioni relative alle modalità intimidatorie nel procacciamento e nel rapporto con i clienti.

In questo contesto il giudizio sull’episodicità od occasionante dei reati commessi in concorso da alcuni degli indagati risulta viziato anche dalla pretermissione dell’esame degli elementi scaturenti dalla condotta nella gestione delle imprese, in quanto l’eventuale utilizzo di modalità mafiose nella gestione delle attività economiche fittiziamente intestate a dei prestanome, rimanda all’esistenza di un programma futuro ed indifferenziato, teso alla commissione di reati, incompatibile con la tesi del concorso di persone in specifici reati.

Di conseguenza il provvedimento impugnato deve essere annullato con rinvio al Tribunale di Catanzaro, in diversa composizione, per nuovo esame.
P.Q.M.

Annulla l’impugnata ordinanza con rinvio al Tribunale di Catanzaro per nuovo esame.

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