Cons. Stato Sez. VI, Sent., 18-02-2011, n. 1049 Università

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

dello Stato Palmieri;
Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Attraverso l’atto di appello in esame (n. 7598/08, notificato il 30 settembre 2008) si contesta la sentenza del TAR del Lazio, sede di Roma, sez. III ter, n. 7487/08 del 28 luglio 2008, con la quale è stato dichiarato inammissibile il ricorso n. 7182 del 1999, proposto dal professor V.T. – ricercatore confermato, già medico interno presso la II clinica ostetrica e ginecologica dell’Università di Roma "La Sapienza" ed attuale appellante – avverso il rigetto (con atto n. prot. G106680 del 18 marzo 1999) dell’istanza del medesimo per il riconoscimento di una anzianità di servizio preruolo di anni 5, mesi 11 e giorni 19, con conseguente ricostruzione della carriera e della retribuzione, nonché per l’annullamento del decreto del rettore della citata Università del 30 aprile 1984, di attribuzione al ricorrente di un’anzianità di servizio preruolo limitata ad anni 2, mesi 9 e giorni 10.

Nella sentenza appellata si rileva l’intervenuta inoppugnabilità dell’atto di inquadramento, effettuato sulla base del ridotto riconoscimento del servizio preruolo sopra specificato, con mera conferma di tale provvedimento dopo la successiva richiesta di riesame dell’interessato.

2. Avverso la predetta sentenza vengono reiterate le censure prospettate in primo grado di giudizio, riferite a violazione o falsa applicazione dell’art. 103 del D.P.R. n. 382del 1980 e dell’art. 7 della legge n. 28 del 1980, nell’interpretazione di tali norme fornita dalla Corte Costituzionale, con la sentenza n. 46 del 1985, nonché dal Consiglio di Stato, con il parere n. 1112 del 1985.

Con tali pronunce sarebbe stata equiparata la posizione dei medici interni assunti, come l’appellante, con delibera nominativa del Consiglio di facoltà, a quella dei medici assunti dal Consiglio di Amministrazione dell’Università di appartenenza, a seguito di concorso pubblico.

Il trattamento economico del personale, infatti, non potrebbe che avere come denominatore comune il criterio funzionale, secondo cui a parità di funzioni deve corrispondere pari trattamento economico: sarebbe stato ingiustificato, pertanto, il denegato cumulo dei periodi di servizio prestato dall’appellante prima come medico interno e poi come "assegnista" (ovvero titolare di assegno scientifico e didattico), in contrasto con il diverso trattamento riservato "ad altri colleghi riconosciuti soltanto con delibera del Consiglio di Facoltà".

La motivazione della sentenza appellata – secondo cui sarebbe intervenuto sul punto l’atto di inquadramento, ormai inoppugnabile – risulterebbe non condivisibile, rivendicando l’appellante una posizione di diritto soggettivo e non di interesse legittimo. Detto inquadramento, inoltre, sarebbe dovuto essere rivisto dopo le ricordate pronunce della Corte Costituzionale e del Consiglio di Stato.

L’Amministrazione appellata, costituitasi in giudizio, sottolineava come l’interessato abbia assunto servizio in qualità di assegnista biennale in data 1 agosto 1981 ed abbia presentato domanda per il riconoscimento dei servizi preruolo il 2 dicembre 1982: un riconoscimento effettuato il 30 aprile 1984 senza contemplare il precedente servizio quale medico interno, in quanto l’art. 7 della legge n. 28 del 1980, cui faceva riferimento l’art. 103 del D.P.R. n. 382 del 1980, avrebbe previsto – anche ai fini di cui trattasi – che la nomina a medico interno fosse ratificata dal Consiglio di Amministrazione dell’Università e non (come avvenuto per l’appellante) dal Consiglio di Facoltà. A seguito della ricordata sentenza della Corte Costituzionale tutti i medici interni – originariamente esclusi dall’ammissione ai giudizi – venivano riammessi e, una volta inquadrati nel ruolo dei ricercatori confermati, si vedevano riconosciuto il periodo di servizio svolto con la predetta qualifica.

Gli effetti della predetta sentenza, tuttavia, non avrebbero riguardato "categorie diverse da quelle individuate dalla richiamata normativa", tra cui quella dell’odierno appellante, la cui istanza era già stata respinta con provvedimento del 30 aprile 1984, ormai inoppugnabile.

3. Premesso quanto sopra, il Collegio ritiene che l’appello sia infondato, per ragioni che prioritariamente investono l’intangibilità del provvedimento, emesso in data 30 aprile 1984 e non contestato nei termini in sede giurisdizionale.

L’appellante chiede infatti di rivalutare la propria pregressa posizione lavorativa, senza considerare che detta posizione risulta già a suo tempo definita con provvedimento autoritativo, di carattere autoorganizzatorio, quale sono per pacifica giurisprudenza l’atto di inquadramento e quello, integrativo del primo, di eventuale riconoscimento dei servizi preruolo: atti, quelli appena richiamati, ai quali si contrappongono posizioni di interesse legittimo, non suscettibili di azione di accertamento ed azionabili entro gli ordinari termini di decadenza (Cons. St., Ad.Plen. 20 marzo 1989, n. 8, e successiva giurisprudenza pacifica; cfr., fra le tante, Cons. St., sez. IV, 17 dicembre 1991, n. 1124, e 17 aprile 1990, n. 279; sez. VI, 10 aprile 1997, n. 573).

Nella situazione in esame i criteri per il riconoscimento dei servizi pregressi erano enunciati nell’art. 103, comma 3, del D.P.R. 11 luglio 1980, n. 382, che disponeva per i ricercatori universitari – all’atto dell’immissione nella fascia dei ricercatori confermati – detto riconoscimento per intero ai fini del trattamento di quiescenza e previdenza, e per due terzi ai fini della carriera, con riferimento ad una delle figure di cui all’art. 7 della legge 28 del 1980.

Fra tali figure, elencate nell’ottavo comma del medesimo articolo, alla lettera h), era compresa appunto quella dei medici interni universitari, assunti con pubblico concorso o a seguito di delibera nominativa del Consiglio di Amministrazione (di modo che la posizione dell’attuale appellante – nominato medico interno con delibera del Consiglio di Facoltà – era, come già ricordato, originariamente esclusa dal beneficio per il periodo di servizio prestato in tale categoria).

Nella già richiamata sentenza additiva della Corte Costituzionale 19 febbraio 1985, n. 46, in effetti, la ricordata norma era ritenuta contrastante con l’art. 3 della Costituzione, nella parte in cui non prevedeva l’inclusione, ai fini dell’inquadramento nel ruolo dei ricercatori universitari confermati, anche dei medici interni assunti con delibera nominativa del Consiglio di Facoltà, per motivate esigenze delle cliniche o degli istituti di cura universitari, di modo che appare ragionevole ritenere che l’equivalenza dei titoli di accesso in questione non potesse non riflettersi nel riconoscimento del servizio prestato, a norma del citato art. 103 del D.P.R. n. 382 del 1980, ma non anche ove una diversa valutazione fosse contenuta in un provvedimento ormai inoppugnabile.

Anche quando, peraltro, si accedesse alla tesi secondo cui – a fronte della mancata applicazione di disposizioni di legge, concernenti il riconoscimento di anzianità pregresse e conseguenti benefici di carriera (ovvero in presenza di una sentenza additiva della Corte Costituzionale, come avvenuto nel caso di specie) – debbano riconoscersi diritti soggettivi azionabili nell’ordinario termine di prescrizione (cfr. in tal senso Cons. St., sez. VI, 11.12.1999, n. 2071), l’istanza dell’interessato risulterebbe comunque fuori termine, in quanto proposta solo il 22 febbraio 1999, ben oltre la scadenza del termine anzidetto.

La decorrenza dei termini decadenziali o di prescrizione, d’altra parte, determina l’esaurimento del rapporto, che risulta non più suscettibile di incidenza anche in rapporto agli effetti retroattivi di una pronuncia di incostituzionalità (cfr. in tal senso, con specifico riferimento alla ricordata pronuncia n. 46 del 1985, Cons. St., sez. VI, 25 maggio 1994, n. 843 e per il principio, fra le tante, Cons. St., sez. V, 26 maggio 1992, n. 470, e 17 maggio 2005, n. 2461; Cons. St., sez. VI, 20 agosto 1999, n. 1097, e 15 dicembre 2009, n. 7920; Cons. St., sez. IV, 27 settembre 2004, n. 6328; 17 marzo 2005, n. 1109).

4. Per le ragioni esposte, in conclusione, il Collegio ritiene che l’appello debba essere respinto; le spese giudiziali, da porre a carico della parte soccombente, vengono liquidate nella misura di Euro. 500,00 (euro cinquecento/00).
P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando, respinge l’appello specificato in epigrafe n. 7598 del 2008, nei termini di cui in motivazione; condanna la parte appellante al pagamento delle spese del secondo grado del giudizio, nella misura di Euro. 500,00 (Euro cinquecento/00).

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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