Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 09-02-2011) 23-02-2011, n. 6977 Misure di prevenzione

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Svolgimento del processo

La Corte di appello di Palermo, con decreto in data 25/5/2010, confermava il decreto emesso dal Tribunale di Palermo il 26 febbraio 2009, impugnato da B.F., M.N., Mo.

A. e B.L., gli ultimi tre nella qualità di intervenienti, concernente la misura patrimoniale della confisca del deposito titoli e del libretto di deposito a risparmio, intestato a B.R. e la confisca, in pregiudizio di B.F., di somme di denaro, di un motociclo Honda 150 intestato a B. L., di un’impresa individuale "Gusta che te gusta da Peppe", intestata alla predetta, avente ad oggetto attività di ristorazione non cibi da asporto. Proponeva ricorso per Cassazione il difensore dei prevenuti eccependo violazione di legge, in relazione alla L. n. 1423 del 1956, artt. 1, 3 e 7 e L. n. 575 del 1965, artt. 1, 2 e 2 ter, ritenendo il valore dei beni sequestrati non sproporzionato all’attività economica svolta, non potendo il giudice della prevenzione, in sede di confisca accontentarsi di semplici indizi, come nel sequestro, avendo l’obbligo di dimostrare l’illecita provenienza dei beni, rilevando come nei confronti dei terzi estranei l’indagine sulla disponibilità dei beni confiscati debba essere rigorosa, non essendo consentito il ricorso presunzioni.

Riteneva, inoltre, mancare il requisito della attualità della pericolosità sociale del proposto, risalendo il precedente giudizio sull’appartenenza all’associazione mafiosa a oltre 15 anni (1 giugno 1994), mancando una prognosi di attuale pericolosità sociale del ricorrente. Rilevava, con riferimento all’impresa gestita dalla figlia, la mancanza dei presupposti per l’applicazione della presunzione di appartenenza dei beni di cui alla L. n. 575 del 1975, art. 2 bis, comma 3, mancando il requisito della "convivenza" col padre "nell’ultimo quinquennio", in quanto nel momento dell’inizio dell’attività d’impresa il padre si trovava già da più di cinque anni ristretto in carcere, mancando ogni correlazione temporale fra la pericolosità sociale del preposto e acquisto dell’impresa, omettendo di verificare se i beni da confiscare siano entrati nella disponibilità del preposto nel periodo in cui risultava essere inserito nel sodalizio criminoso.
Motivi della decisione

Il ricorso è manifestamente infondato e va dichiarato inammissibile.

1) Va, anzitutto, rilevata la autonomia delle due diverse ipotesi di confisca dei beni perchè frutto o reimpiego di attività illecite ovvero perchè il loro valore risulta sproporzionato al reddito o alla attività economica svolta. Con riferimento alla prima ipotesi, questa Corte ha affermato che: "in materia di misure di prevenzione nei confronti di indiziati di appartenenza ad associazioni mafiose, la confisca dei beni che, nel corso del procedimento conclusosi con l’applicazione della misura a carico del proposto, siano stati ritenuti pertinenti ad attività oggettivamente agevolative di quelle mafiose, ai sensi della L. 31 maggio 1965, n. 575, art. 3 quater, va disposta non sulla base dei criteri riconducibili alla disciplina dettata dalla citata legge, art. 2 ter, ma facendo riferimento ai distinti parametri dello schema procedimentale disegnato dagli artt. 3 quater e 3 quinquies e quindi verificando soltanto, sulla base di univoci e pregnanti elementi indiziari, che trattisi di beni costituenti frutto o reimpiego del frutto di attività illecite, si da potersi dire realizzata una obiettiva commistione di interessi tra attività d’impresa e attività mafiosa; situazione, questa, nella quale gli effetti del provvedimento ablatorio legittimamente si riflettono sui beni di un imprenditore il quale, pur non sospettato nè indiziato di appartenenza ad un’associazione di tipo mafioso, tuttavia, per il ruolo oggettivamente agevolatore dell’attività economica da lui esercitata rispetto agli interessi di detta associazione, sia da considerare, come affermato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 487 del 1995, "certamente non estraneo nel quadro della complessiva gestione del patrimonio mafioso". (Cass. Sez. 1 sent. n. 1112 del 8.2.1999 dep. 29.3.1999 rv 212790).

In relazione alla asserita mancanza della pericolosità sociale del proposto, va esclusa la mancanza di attualità della misura e che, anzi, precluso un nuovo giudizio sull’appartenenza del ricorrente all’associazione criminale durante la vigenza, come nella fattispecie, della misura di prevenzione personale, dalla quale ben può desumersi la pericolosità sociale, mancando, comunque, prove della cessazione della attività criminosa.

La Corte territoriale ha rilevato, con valutazione coerente e logica, come la circostanza che B.F. avesse interrotto, pressochè immediatamente, la propria collaborazione con la giustizia, dimostrava La mancata dissociazione con il clan criminale.

La misura di prevenzione personale definitiva non può essere esclusa in assenza di istanza di revoca ex L. n. 1423 del 1956, art. 7 in mancanza di elementi di fatto nuovi sopravvenuti o preesistenti, ma emersi successivamente, idonea a fare venir meno la pericolosità sociale ed escludere l’applicazione della misura patrimoniale.

Non sussiste, peraltro, un nesso intercorrente tra misure personali e misure patrimoniali di prevenzione in quanto, come già affermato da questa Corte, il venir meno, per eventi successivi, dell’accertata pericolosità sociale del prevenuto, non può avere influenza alcuna in ordine alla confisca del patrimonio a lui riconducibile e ritenuto il frutto o il reimpiego di attività illecite, atteso che la misura pur essendo applicata per scelta del legislatore nel procedimento di prevenzione, non ha natura di provvedimento di "prevenzione", ma costituisce una sanzione amministrativa diretta a sottrarre in via definitiva i beni di provenienza illecita alla disponibilità dell’indiziato di appartenenza ad associazioni di tipo mafioso ed equiparabile, quanto al contenuto ed agli effetti, alla misura di sicurezza prevista dall’art. 240 cpv. c.p..

Va quindi affermato il principio dell’autonomia della misura patrimoniale di prevenzione rispetto a quella personale (che ai sensi della L. n. 575 del 1965, art. 2 bis, comma 6, possono essere richieste e applicate disgiuntamente), pur permanendo l’ovvio collegamento tra la cautela patrimoniale e la pericolosità e, una volta accertata, l’attenzione si sposta sulla pericolosità dei beni utilizzabili dalla criminalità economica di matrice mafiosa. La "ratio" della confisca, invero, comprende ma eccede quella delle misure di prevenzione in senso proprio, mirando a sottrarre definitivamente i beni di provenienza illecita al circuito economico di origine per inserirli in altro esente da condizionamenti criminali, e dunque si proietta al di là dell’esigenza di prevenzione nei confronti di determinate persone pericolose per sorreggere la misura stessa oltre il perdurare della pericolosità del soggetto al cui patrimonio è applicata. Ne consegue che, una volta accertati i presupposti di pericolosità qualificata del soggetto e di indimostrata legittima provenienza dei beni a lui riconducibili, l’applicazione della confisca diviene comunque obbligatoria, ancorchè tale risultato sia conseguibile solo all’esito definitivo della prevista procedura, senza che alcun effetto risolutivo possa ricollegarsi al venir meno del prevenuto ovvero della sua pericolosità (Sez. 1, Sentenza n. 27433 del 15/06/2005 Cc. (dep. 22/07/2005) Rv. 231755).

2) Questa Corte, con motivazione condivisa dal collegio, ha ritenuto, anche, legittima la confisca dei beni acquistati dal sottoposto alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale anche in periodo antecedente all’inizio della sua appartenenza al sodalizio mafioso, purchè i beni medesimi costituiscano presumibile frutto d’attività illecite o ne costituiscano il reimpiego ovvero il loro valore risulti sproporzionato rispetto al reddito o alla attività economica svolta dal prevenuto (Sez. 6, Sentenza n. 4702 del 15/01/2010 Cc. (dep. 03/02/2010) Rv. 246084; Sez. 1, Sentenza n. 35175 del 04/06/2009 Cc. (dep. 11/09/2009) Rv. 245363, Sez. 2, Sentenza n. 20906 del 22/04/2009 Cc. (dep. 18/05/2009) Rv. 244878).

Occorre, tuttavia, che vi siano indizi sufficienti che essi costituiscano frutto di attività illecite (mafiose o non mafiose) o ne costituiscano il reimpiego, (Sez. 1A, Sentenza n. 47798 del 11/12/2008 Cc. (dep. 23/12/2008) Rv. 242515 Sez. 1A, Sentenza n. 35481 del 05/10/2006 Cc. (dep. 23/10/2006) Rv. 234902). Presupposto della confisca è l’apertura del procedimento di prevenzione, la ratio della norma è stata rinvenuta nella necessità di combattere e sconfiggere il fenomeno mafioso anche attraverso la eliminazione della accumulazione illegale di patrimoni.

Un riscontro che giustifica tale impostazione si rinviene nel rilievo che diversa è la natura del processo penale, in cui viene accertata l’appartenenza mafiosa (o il concorso esterno), nell’ambito del quale la responsabilità deve essere pronunciata sul presupposto di prove certe: nel procedimento di prevenzione il coinvolgimento in vicende di mafia può essere ritenuto anche in base a semplici elementi indiziari, neppure gravi precisi e concordanti. Tale distinzione convince, da un lato, della circostanza che l’accertamento giudiziale penale costituisce un dato imprescindibile e condizionante dell’accertamento della pericolosità del proposto, della quale può e deve tenersi conto nel procedimento di prevenzione, e dall’altro del fatto che l’area dell’indizio può estendersi anche a epoca diversa e anteriore dal periodo di appartenenza alla associazione (o di concorso esterno) accertato giudizialmente, onde, sotto questo aspetto, la confisca di prevenzione appare ammissibile anche per beni acquisiti anteriormente a tale accertamento giudiziale. E’ indicativo della esattezza del ragionamento seguito dalla Corte d’appello, come si è accennato, il fatto che la L. n. 575 del 1965, art. 2 ter, comma 3 stabilisca che, con l’applicazione della misura di prevenzione, il Tribunale sottopone a confisca i beni sequestrati di cui il proposto non possa giustificare la legittima provenienza quando ne abbia la proprietà o la disponibilità a qualsiasi titolo in valore superiore al suo reddito o alla, sua attività economica.

3) Con riferimento al motivo di ricorso relativo alla asserite legittima confisca di prevenzione di beni fittiziamente trasferiti a terzi, vanno addotte non soltanto circostanze sintomatiche, di spessore indiziario ma fatti e circostanze, connotate da gravità, precisione è concordanza, tali da costituire prova indiziaria del superamento della coincidenza tra titolarità apparente e disponibilità effettiva dei beni stessi.

In tema di provvedimenti di natura patrimoniale correlati all’applicazione di misure di prevenzione, incombe all’accusa l’onere di dimostrare rigorosamente, ai fini del sequestro e della confisca di beni intestati a terzi, l’esistenza di situazioni che avallino concretamente l’ipotesi del carattere puramente formale di detta intestazione, funzionale alla esclusiva finalità di favorire il permanere del bene in questione nella effettiva ed autonoma disponibilità di fatto del proposto; disponibilità la cui sussistenza, caratterizzata da un comportamento "uti dominus" del medesimo proposto, in contrasto con l’apparente titolarità del terzo, dev’essere accertata con indagine rigorosa, intensa ed approfondita, avendo il giudice l’obbligo di spiegare le ragioni della ritenuta interposizione fittizia, sulla base non di sole circostanze sintomatiche di spessore indiziario, ma di elementi fattuali, connotati dai requisiti della gravità, precisione e concordanza ed idonei, pertanto, a costituire prova indiretta dell’assunto che si tende a dimostrare (Sez. 2, Sentenza n. 35628 del 23/06/2004 Cc. (dep. 27/08/2004) Rv. 229726).

Ove non conviventi, i "terzi ricorrenti…, pur non avendo un onere di prova nel vero significato della frase, avevano comunque il dovere (oltre che l’interesse) di dimostrare la legittima provenienza dei beni dei quali erano formalmente intestatari", (Cass. Sez 1, sent. n. 5897 del 26.11.1998 dep. 18.1.1999, Bonmarito) Con riferimento, invece, agli stretti familiari, asseritamente fittizi intestatari di beni, questa Corte ha più volte affermato che nei confronti dei soggetti, rientranti nel novero di quelli considerati dalla L. n. 575 del 1965, art. 2 bis, comma 3, separatamente da tutti gli altri terzi "opera una fondata presunzione di essere solo "prestanomi" circa l’effettiva disponibilità dei beni in testa al proposto, salvo rigorosa e fondata prova contraria posta a carico dei predetti soggetti legati da vincoli parentelari "aut similia" (convivenza) con detto proposto, essendo intuibilmente più accentuato, in caso di titolarità dei beni in capo a costoro, il pericolo di una intestazione meramente fittizia "a copertura" di quella concreta e reale in testa al detto proposto raggiunto dalla misura di prevenzione personale". (Cass. Sez. 6 sent. 18047 del 10.3.2005 dep. 13.5.2005, Mollica, già citata nel provvedimento impugnato).

Nel caso in cui, come nella fattispecie, i beni dei quali si intenda dimostrare la disponibilità in capo ha proposto, siamo nella formale titolarità del coniuge, dei figli o dei conviventi del medesimo proposto, la disponibilità di tali beni deve intendersi presunta in capo all’indiziato di appartenenza all’associazione mafiosa, in quanto tali soggetti (coniuge e figli e conviventi) sono considerati separatamente dagli altri terzi ( L. n. 575 del 1965, art. 2 bis, comma 3), nei cui confronti, invece devono risultare elementi di prova circa la disponibilità concreta dei beni da parte dell’indiziato.

Infatti "il concetto di disponibilità … non può ritenersi limitato alla mera relazione naturalistica o di fatto con il bene, ma deve essere esteso, al pari della nozione civilistica del possesso, a tutte quelle situazioni nelle quali il bene medesimo ricada nella sfera degli interessi economici del soggetto, anche se costui eserciti il proprio potere su esso per il tramite di altri che pure ne godano direttamente; con la conseguenza che quando la disponibilità diretta, in concreto, della abitazione familiare viene meno in capo all’originario soggetto titolare, il quale sia costretto a lasciarla per causa di forza maggiore … continuando in essa a dimorare i componenti della sua famiglia legittima o di fatto, non per ciò viene meno anche, per lo stesso, la disponibilità "indiretta" (attraverso l’uso diretto dei familiari), essa pure sufficiente, nella previsione della L. n. 575 del 1965, art. 2 ter, comma 2, a fondare il provvedimento di confisca". (Cass. Sez. 6 sent. n. 274 del 28.1.1999 dep. 16.6.1999, Sartor). La Corte di merito non si è comunque è limitata a ritenere presunta la disponibilità dei beni in capo al ricorrente, come pure avrebbe potuto, ma ha evidenziato la sproporzione tra il valore della impresa, gestita dalla figlia e di disponibilità economiche dell’intera famiglia che, negli anni antecedenti l’avvio dell’impresa, aveva percepito redditi esigui a soddisfare anche le minime esigenze di vita del nucleo familiare, formato da sei persone, rimarcando la mancanza di prova di rilascio delle cambiali (n. 8 da Euro 1894 ciascuno) che, a detta dei ricorrenti sarebbero state onorate con gli incassi realizzati, mancando anche la prova della provenienza delle somme necessarie a giustificare l’acquisto degli ulteriori beni strumentali dell’azienda, sia in ordine ai capitali necessari per l’affitto dell’immobile ove l’impresa veniva esercitata, confermando la vantazione già espressa dal Tribunale in ordine alla sproporzione tra le esigue risorse lecite di cui poteva disporre il B. e le spese necessarie per avviare e gestire l’impresa, desumendone, logicamente che doveva ritenersi avviata con capitali proveniente dall’associazione mafiosa, quindi con indico l’impiego del frutto di attività illecite. Peraltro, nessuna prova è stata fornita della asserita mancanza di convivenza, da oltre cinque anni, della figlia del B. col padre nel momento dell’inizio dell’attività d’impresa, avendo solamente affermato, senza documentazione alcuna, in violazione del principio di autosufficienza, che, all’epoca, il padre si trovava già da più di cinque anni in carcere. Sia la Corte territoriale che il Tribunale, inoltre, hanno rilevato come non fosse stata fornita prova nè adeguata allegazione della effettiva autonoma disponibilità dei beni nè della loro legittima provenienza ed anzi ha indicato le ragioni per le quali ha ritenuto la riconducibilità di tali beni al proposto e la loro provenienza illecita.

Tali valutazioni costituiscono un giudizio di merito non censurabile in questa sede, mentre, come si è detto, in materia di misure di prevenzione non è ammesso il ricorso per vizio di motivazione, incombendo, comunque, sul ricorrente e sulla figlia convivente l’onere della prova al fine di superare la presunzione di fittizietà dell’intestazione dell’impresa individuale in capo alla figlia del B..

Ai sensi dell’art. 616 c.p.p., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, gli imputati che lo hanno proposto devono essere condannati al pagamento delle spese del procedimento, nonchè – ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al pagamento a favore della Cassa delle ammende della somma di Euro mille ciascuno, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro mille ciascuno alla Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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