Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 09-02-2011) 23-02-2011, n. 6947 Ricorso

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La Corte d’appello di Milano, con sentenza in data 12/5/2010, confermava la sentenza del Tribunale di Milano del 6/4/2006, appellata da D.A., dichiarato colpevole di riciclaggio per avere ricevuto un’autovettura Opel Astra, provento di furto, sulla quale era stato montato il motore di altra autovettura e condannato, con la recidiva reiterata infraquinquennale, alla pena di anni quattro, mesi due di reclusione e Euro 1.500 di multa. Proponeva ricorso per cassazione l’imputato deducendo i seguenti motivi:

a) violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c) ed e) con riferimento all’art. 271 c.p.p. in relazione al combinato disposto degli artt. 270 e 278 c.p.p., con riferimento all’art. 267, comma 2, in relazione all’art. 125 c.p.p., comma 3, con riguardo al decreto di convalida del GIP. afferente la RIT 158/99 e all’art. 267, comma 2, in relazione all’art. 125 c.p.p., comma 3, in relazione ai decreti di proroga del 4.12.1999, 5.1.2000 e al decreto del G.I.P. del 20/4/2000; rilevava anche la inutilizzabilità delle intercettazioni telefoniche nonchè delle comunicazioni tra presenti, effettuate a bordo della Fiat Ducato, Fiat Uno e Fiat coupè, non essendo stato effettuato il deposito dei verbali, trattandosi di intercettazioni traslate da un procedimento all’altro, rilevando come il difetto delle bobine abbia reso inattuabile l’acquisizione dei risultati delle intercettazioni, evidenziando, inoltre, come il decreto di convalida del G.I.P. non risulti intelligibile, essendo privo della data e della motivazione, mancando, quanto ai decreti di proroga del 4/12/99 e del 5/1/2000, il numero di registro generale, del registro G.I.P. e il R.I.T., sconoscendosi l’ambito di collocazione dell’atto, con conseguente nullità di tutti gli atti successivi, tra cui il decreto del G.I.P. del 20.4.2000, mancando la richiesta del P.M.;

b) violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e) per inosservanza o erronea applicazione della legge penale con riferimento all’art. 648 bis c.p. e mancanza o manifesta illogicità della motivazione, con riferimento all’art. 648 cpv. c.p., in relazione all’art. 133 c.p., ritenendo come l’alterazione del telaio non integri la fattispecie di riciclaggio, ritenendo mancare anche l’elemento soggettivo del reato stante il breve lasso di tempo trascorso tra il furto e l’arresto del ricorrente, anche considerata l’assoluzione del titolare dell’officina in cui era stata rinvenuta l’autovettura; in subordine censurava il mancato riconoscimento dell’ipotesi attenuata di cui all’art. 648 cpv. c.p..
Motivi della decisione

1) Il ricorso è manifestamente infondato e va dichiarato inammissibile. La Corte territoriale ha ritenuto la sussistenza della responsabilità dell’imputato a prescindere dal tenore delle conversazioni intercettate di cui non ha tenuto conto ed ha, inoltre, implicitamente disatteso le ulteriori eccezioni processuali, non rilevandosi profili di nullità insanabile con riferimento alle ulteriori censure dedotte.

Con la norma incriminatrice del riciclaggio il legislatore ha voluto reprimere sia le attività che si esplicano sul bene trasformandolo o modificandolo parzialmente, sia quelle altre che, senza incidere sulla cosa ovvero senza alterarne i dati esteriori, sono comunque di ostacolo per la ricerca della sua provenienza delittuosa.

Configura, quindi, il delitto di riciclaggio la sostituzione del motore di un’autovettura proveniente da delitto, operazione tesa ad ostacolare l’identificazione della provenienza delittuosa dell’autovettura, attraverso una attività che impedisce il collegamento della stessa e delle sue componenti, con il proprietario che ne è stato spogliato, come nel caso di sostituzione del motore che costituisce un elemento per la individuazione dell’autovettura e, quindi, del collegamento della stessa con il proprietario che ne è stato spogliato.

Sul punto questa Corte (Cass. sez. 2, 23.2.2005, n. 13448) ha avuto modo di evidenziare che "dalla lettura della norma su riprodotta è agevole desumere che oggi il delitto di riciclaggio non è più distinguibile da quello di ricettazione sulla base dei delitti presupposti; e che le differenze strutturali tra i due reati debbono essere ricercate oltre che nell’elemento soggettivo (scopo di lucro come dolo specifico nella ricettazione, e dolo generico per il riciclaggio), nell’elemento materiale e in particolare nella idoneità a ostacolare l’identificazione della provenienza del bene, che è elemento caratterizzante le condotte del delitto previsto dall’art. 648 bis c.p.".

Alla stregua di tali principi non può dubitarsi che la sostituzione del motore dell’autovettura, costituisce operazione tese ad ostacolare l’identificazione della provenienza delittuosa della cosa.

Peraltro, la condotta, consistita nella suddetta sostituzione del motore, è riconducibile, quanto meno nella forma del concorso di persone nel reato, all’imputato; ed invero tale quid pluris va ravvisato nel caso di specie, per come correttamente evidenziato dai giudici della Corte territoriale, nel fatto che l’imputato non è riuscito a fornire adeguata giustificazione in ordine alle ragioni del possesso da parte sua dell’autovettura che aveva il motore e il telaio sostituiti, sicchè non può non ritenersi che questi non solo fosse consapevole dell’origine illecita del veicolo ma avesse altresì, almeno collaborato alla loro installazione, atteso anche il breve lasso di tempo intercorso dal momento del furto dell’auto. La Corte territoriale rilevava, infatti, come anche il numero di telaio appariva essere stato limato su un numero di telaio originario, circostanza che corrobora ulteriormente l’assunto circa la riconducibilità al prevenuto di tale condotta di manipolazione.

Nel momento del controllo di legittimità, la Corte di cassazione non deve stabilire se la decisione di merito proponga effettivamente la migliore possibile ricostruzione dei fatti nè deve condividerne la giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se questa giustificazione sia compatibile con il senso comune e con "i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento", secondo una formula giurisprudenziale ricorrente (Cass. Sez. 4 sent. n. 47891 del 28.09.2004 dep. 10.12.2004 rv 230568; Cass. Sez. 5 sent. n. 1004 del 30.11.1999 dep. 31.1.2000 rv 215745; Cass., Sez. 2 sent. n. 2436 del 21.12.1993 dep. 25.2.1994, rv 196955). Gli argomenti proposti dal ricorrente costituiscono, in realtà, solo un diverso modo di valutazione dei fatti, ma il controllo demandato alla Corte di cassazione, è solo di legittimità e non può certo estendersi ad una valutazione di merito.

Inoltre, perchè possa trovare applicazione l’ipotesi prevista dal capoverso dell’art. 648 c.p., è necessario che la cosa ricettata sia di valore economico particolarmente tenue, restando comunque impregiudicata la facoltà del giudice, pur in presenza di un valore modesto, di escludere il "fatto di particolare tenuità" prendendo in esame gli ulteriori elementi di valutazione della vicenda, ed in particolare ogni altra circostanza idonea a delineare la gravità del reato e la capacità a delinquere del colpevole.

Deve, ritenersi, in linea di principio, che non si può attribuire particolare tenuità a un valore certamente non modesto, quale è quello di un autoveicolo che non sia in condizioni tali da poter essere considerato un rottame o in pessime condizioni di efficienza, circostanze di cui non vi è prova nella fattispecie.

Questa Corte, inoltre,con valutazione condivisa dal collegio, ha precisato che al fine di stabilire la sussistenza dell’ipotesi di particolare tenuità di cui al capoverso dell’art. 648 c.p., non è sufficiente di per sè l’irrilevanza o la scarsa rilevanza economica della cosa oggetto di ricettazione, ma occorre avere riguardo al fatto nella sua globalità storico-giuridica apprezzandone l’incidenza antigiuridica sulla base di tutti gli elementi che, a parte il valore economico dell’oggetto ricettato, entrano nella componente dell’azione delittuosa, ivi compresa la personalità dell’agente. (Sez. 2, Sentenza n. 5813 del 29/11/1999 Cc. (dep. 26/01/2000).

L’attenuante speciale, non può, quindi, essere concessa nell’ipotesi in cui, malgrado la tenuità del valore della cosa rigettata, sussistano altre circostanze, sia oggettivi che soggettive, che impediscono di ritenere il fatto, complessivamente considerato, di particolare tenuità. Nella fattispecie, inoltre, la Corte territoriale, sia pure con riguardo ai parametri di cui all’art. 133 c.p., ha fatto riferimento all’oggettiva gravità del fatto, desumibile dalle modalità esecutive dello stesso, dalla reiterazione della condotta criminosa, dall’intensità del dolo, dai precedenti penali, alcuni dei quali di natura anche specifica, indicativi di elevata capacità a delinquere e di spiccata capacità sociale. Ai sensi dell’art. 616 c.p.p., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, l’imputato che lo ha proposto deve essere condannato al pagamento delle spese del procedimento, nonchè – ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al pagamento a favore della Cassa delle ammende della somma di mille Euro, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro mille alla Cassa delle ammende.

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