Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 27-01-2011) 23-02-2011, n. 7088 Bancarotta fraudolenta

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

– che con sentenza in data 23 aprile 2004 il tribunale di Milano, giudicando sugli addebiti penali mossi a carico di vari soggetti in relazione al fallimento della F.T.N. s.p.a, dichiarato il 24 febbraio 1994, ritenne, per quanto ancora d’interesse, G.F. responsabile di concorso in bancarotta fraudolenta distrattiva e documentale, nonchè di concorso nella causazione del fallimento per effetto di falsità in bilancio e di operazioni dolose, in relazione ad alcune operazioni, denominate "Alba 2000", "Fami", "Vedi s.p.a", "R.R. emprendimientos partecipacoes", delle quali, secondo l’accusa, egli, nella qualità di componente del collegio sindacale, avrebbe dovuto, per quanto possibile, impedire la realizzazione;

– che, giudicando su appello proposto, tra gli altri, dal nominato G., la Corte d’appello di Milano, con la sentenza di cui in epigrafe, mandò assolto il predetto imputato, con la formula "il fatto non è previsto dalla legge come reato", dagli addebiti di causazione del fallimento per effetto di falsità in bilancio, di cui alla L. Fall., art. 223, comma 2, n. 1, (capi A-1 n. 5, A-4 n. 2 e A- 13 n. 5) e dichiarò non doversi procedere in ordine agli altri addebiti per intervenuta prescrizione, previo giudizio di prevalenza delle già riconosciute attenuanti generiche sulle contestate e ritenute aggravanti di cui alla L. Fall., art. 219, commi 1 e 2, n. 1;

– che avverso detta sentenza ha proposto ricorso per Cassazione la difesa del G., denunciando, sulla premessa della proponibilità del gravame in presenza di una declaratoria di prescrizione conseguente al riconoscimento delle attenuanti generiche prevalenti e pertanto implicitamente basata su di un giudizio di penale responsabilità di esso imputato:

1) erronea applicazione dell’art. 40 c.p., comma 2 e L. Fall., art. 223, comma 1, sull’assunto, in sintesi e nell’essenziale, che la Corte d’appello avrebbe affermato la sussistenza della suddetta penale responsabilità, a titolo di dolo quanto meno eventuale, sulla sola base, in sostanza, della ritenuta inosservanza, da parte del ricorrente, dei doveri di vigilanza e controllo sull’operato degli amministratori a lui derivanti dalla carica di sindaco, laddove (come segnalato dalla difesa – si afferma – nei motivi d’appello ma non adeguatamente recepito dai giudici del gravame), sarebbe stato necessario dimostrare che il G. fosse stato effettivamente a conoscenza delle asserite irregolarità delle operazioni in questione, potendosi solo a tale condizione ipotizzare, in luogo della colpa (penalmente irrilevante) il dolo richiesto per la sussistenza dei reati addebitati;

2) "violazione di legge per contrasto di giudicati", sull’assunto che la Corte di merito sarebbe indebitamente pervenuta alla sostanziale conferma del giudizio di colpevolezza dell’imputato ignorando l’avvenuta produzione, da parte della difesa, della sentenza, divenuta irrevocabile, con la quale il tribunale di Milano, all’esito di separato giudizio, aveva assolto, con la formula "il fatto non sussiste", dagli stessi addebiti mossi al G., altri componenti del collegio sindacale della fallita società;

3) difetto di motivazione e violazione di legge in ordine alla formula assolutoria ("fatto non previsto dalla legge come reato") adottata in relazione agli addebiti di bancarotta impropria documentale di cui alla L. Fall., art. 223, comma 2, n. 1, sull’assunto che la Corte di merito, prima di pervenire all’assoluzione con detta formula, avrebbe dovuto esaminare la denunciata contraddittorietà rilevabile nella sentenza di primo grado tra la ritenuta penale responsabilità dell’imputato relativamente agli addebiti in questione e la sua assoluzione, con la formula "non aver commesso il fatto", dal reato di cui alla citata L. Fall., art. 223, comma 2, n. 2, contestato sub B (causazione del fallimento per effetto di operazioni dolose) limitatamente proprio alle operazioni costituite dai pretesi falsi in bilancio; 4) totale mancanza di motivazione in ordine alle doglianze espresse nei motivi d’appello circa il capo A-22, concernente le operazioni sul capitale della "RR Emprendimientos partecipacoes" e circa il capo B;

– che la difesa ha poi fatto pervenire motivi nuovi nei quali si insiste, in particolare, con ampi richiami giurisprudenziali, sulla necessità delle affettiva conoscenza (e non della semplice conoscibilità) dei "segnali di allarme" indicativi di possibili irregolarità penalmente rilevanti nella condotta degli amministratori.
Motivi della decisione

– che va preliminarmente riconosciuta l’ammissibilità del ricorso, alla stregua dell’orientamento già espresso da questa Corte e richiamato nell’atto di gravame, secondo il quale: "Il principio per cui in presenza di una causa estintiva del reato non è consentito al giudice di legittimità disporre l’annullamento con rinvio, ostandovi l’obbligo dell’immediata declaratoria di proscioglimento ex art. 129 c.p.p., non è applicabile allorchè detta declaratoria, conseguente al riconoscimento di attenuanti, sia stata pronunciata dal giudice di merito, la cui decisione sia stata quindi oggetto di ricorso. In tale ipotesi, infatti, ove si precludesse la possibilità dell’annullamento con rinvio per riscontrati vizi di legittimità, resterebbero immuni da censura i provvedimenti nei quali si affermi sostanzialmente la responsabilità dell’imputato con una motivazione manifestamente illogica o addirittura ai limiti dell’arbitrio" (Cass. 2, 12 gennaio – 13 febbraio 2001 n. 6064, Mazzei, RV 219092; conf.

Cass. 6, 7 febbraio – 17 maggio 2003 n. 23248, Zanotti ed altri, RV 225670);

– che, ciò premesso, appare privo di fondamento il terzo motivo di ricorso, atteso che, per un verso, la ritenuta responsabilità dell’imputato, all’esito del giudizio di primo grado, in ordine agli addebiti di falso in bilancio non si pone in necessario rapporto di contraddittorietà con la pronuncia assolutoria adottata nei confronti dello stesso imputato, sempre all’esito del giudizio di primo grado, con riguardo al reato di cui alla L. Fall., art. 223, comma 2, n. 2, limitatamente alle operazioni dolose costituite appunto dai falsi in bilancio, ben potendo tali operazioni essere state ritenute sussistenti ma, al tempo stesso, prive di efficacia causale nella produzione del fallimento; per altro verso, non si specifica, nel ricorso, in quali termini fosse stata denunciata la pretesa contraddittorietà, il che rende il gravame, sotto questo profilo, privo del necessario carattere della c.d. "autosufficienza";

– che appaiono invece meritevoli di accoglimento, per quanto di ragione, gli altri motivi di ricorso, in quanto:

a) con riguardo al primo motivo, se è vero che, in linea con quanto già affermato da Cass. 5, 16 aprile – 22 settembre 2009 n. 36595, Bossio ed altri, RV 245138, ed in parziale dissonanza con quanto sostenuto nel ricorso, non solo la "conoscenza" ma anche la "conoscibilità" del fatto illecito da impedire può fondare, sotto il profilo psicologico, la penale responsabilità dell’amministratore o del sindaco di società, ai sensi dell’art. 40 c.p., comma 2, è altrettanto vero che detta conoscibilità, come specificato nella stessa pronuncia dianzi citata, dev’essere "concreta"; il che comporta, ad avviso del collegio, che non può bastare, per riconoscerne l’esistenza, la sola dimostrazione che la mancata conoscenza del fatto illecito "in fieri" sia dipesa dall’inosservanza, pur se macroscopica, dei doveri di vigilanza incombenti al soggetto in virtù della carica a lui affidata, poichè ciò equivarrebbe a rendere perseguibile a titolo di colpa, sia pur grave, un reato per il quale è invece necessario in ogni caso il dolo, occorrendo invece, proprio ai fini della prova in ordine alla sussistenza di detto ultimo elemento (pur se nella forma del dolo c.d. "eventuale"), la dimostrazione che, anche in presenza di quell’inosservanza, i c.d. "segnali di allarme" fossero talmente forti ed evidenti da doversi necessariamente imporre anche all’attenzione del più noncurante e distratto degli amministratori o dei sindaci; dimostrazione, questa, che nella specie, appare totalmente assente, essendosi la Corte di merito limitata, in sostanza, a porre in luce la sola esistenza dei c.d. segnali di allarme, per quindi trarre da ciò l’apodittica conclusione che, non avendo essi avuto l’effetto di indurre l’imputato ad attivarsi, ciò altro non potesse significare che egli aveva consapevolmente accettato il rischio del verificarsi dell’evento che sarebbe stato suo dovere, per quanto possibile, impedire;

b) con riguardo al secondo motivo, pur dovendosi rilevare l’improprietà terminologica del riferimento ivi contenuto alla nozione di "contrasto di giudicati", essendo questo previsto soltanto dall’art. 630, comma 1, lett. a) come possibile causa di revisione della sentenza di condanna, va tuttavia ritenuta censurabile, sotto il profilo del difetto di motivazione, la mancata presa in considerazione, da parte della Corte territoriale, del fatto (segnalato dalla difesa e documentato mediante produzione della sentenza) che, all’esito di separato giudizio, altro componente del collegio sindacale dell’impresa fallita, a nome C.G., era stato assolto, in via definitiva, con la formula "il fatto non sussiste" di reato di concorso nello stesso addebito mosso all’attuale ricorrente; e ciò non certo perchè la Corte di merito dovesse ritenersi obbligata a giungere alla stessa conclusione anche per il G., ma solo perchè non poteva, "a priori", escludersi che quella pronuncia assolutoria fosse fondata su elementi e considerazioni suscettibili di assumere rilevanza anche nel processo in corso a carico del nominato G. e dei quali, quindi, la suddetta Corte non si sarebbe potuta disinteressare;

c) con riguardo al quarto motivo, appare sufficiente osservare che, in effetti, sembrando rientrare anche gli addebiti di cui ai capi A- 22 e B (quest’ultimo limitatamente alla parte per la quale non vi era stata pronuncia assolutoria in primo grado) tra quelli indicati nel dispositivo dell’impugnata sentenza come "residue imputazioni" cui si riferiva la declaratoria di non doversi procedere per intervenuta prescrizione, previa attribuzione del carattere di prevalenza alle già riconosciute attenuanti generiche, anche con riguardo ad essi sarebbe stata necessaria un’apposita motivazione che, invece, risulta totalmente mancante;

– che, conclusivamente, con riguardo ai capi d’imputazione oggetto del primo, del secondo e del terzo motivo di ricorso, e cioè tutti quelli ai quali si riferisce la declaratoria di non doversi procedere per intervenuta prescrizione, non può che darsi luogo ad annullamento dell’impugnata sentenza con rinvio, per nuovo esame, ad altra sezione della Corte d’appello di Milano, la quale, in assoluta libertà di valutazione degli elementi di fatto acquisiti o che ritenesse di acquisire, dovrà tuttavia aver cura, ove ritenga di confermare la precedente decisione, di attenersi al principio di diritto enunciato sub a) e di colmare le carenze motivazionali segnalate sub b) e c).
P.Q.M.

La Corte annulla la sentenza impugnata limitatamente ai capi cui si riferisce il proscioglimento per intervenuta prescrizione, con rinvio, per nuovo esame, ad altra sezione della Corte d’appello di Milano.

Rigetta nel resto il ricorso.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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