Cass. civ. Sez. II, Sent., 07-04-2011, n. 8006 Distanze legali tra costruzioni

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

P.M.T., agendo in rappresentanza della figlia minore P.A. nel dicembre del 1987 adì il Pretore di Foggia – e, a seguito della declaratoria di incompetenza per valore del medesimo, il locale Tribunale- citando il confinante L. M. e chiedendo che fosse condannato a rimuovere l’estensione di un terrazzino, che dipartendosi dal fabbricato principale, era stato edificato a ridosso del confine della proprietà delle attrici, site alla via (OMISSIS), in quanto: in violazione delle distanze dal confine, secondo quanto indicato dal piano regolatore del comune di Foggia; in difformità dalla concessione edilizia a suo tempo rilasciata al convenuto ed in violazione altresì del regolamento condominiale dello stabile ove risiedeva il convenuto.

Quest’ultimo si costituì resistendo alle domande. L’adito Tribunale, fatta eseguire una CTU, pronunziò sentenza n. 576/2003, con cui:

dichiarò non conformi a norma le luci aperte nel muro del box posto a confine e ne ordinò la chiusura o la regolarizzazione; dichiarò altresì l’illegittimità della veduta esercitata dal convenuto dal suo terrazzino e ne dispose l’eliminazione; condannò il L. al pagamento di due terzi delle spese di lite. La Corte d’Appello di Bari, pronunziando sentenza n. 421/2005, decise l’appello proposto dalla P., oramai maggiorenne e dalla madre di costei: 1 – dichiarando la carenza di legittimazione della P., – costituitasi sol perchè raggiunta dalla notifica della sentenza – 2 – ordinando a L.I. ed a L.F., eredi di L.M., di demolire il box seminterrato in cemento armato costruito a confine, nella parte in cui fuoriusciva dal piano di campagna; 3 – respingendo il gravame incidentale delle parti appellate.

Il giudice di appello pose a base di tale decisione il fatto che, del tutto senza motivazione, il giudice di primo grado aveva ritenuto l’opera realizzata non in contrasto con la normativa urbanistica mentre dalla disposta CTU era emerso che il box garage – sopraelevato di circa un metro dal piano campagna, sopra il quale era stata edificata la prosecuzione di un terrazzino pertinenziale all’abitazione principale e nel quale erano state ricavate due finestre – non rispettava le distanze legali.

Contro tale sentenza hanno proposto ricorso in cassazione A. e L.F. agendo sia in proprio sia quali unici eredi dei genitori L.M. – deceduto nel 1993- e L.I. – deceduta nel (OMISSIS) – facendo valere quattro motivi, cui hanno risposto con controricorso la P. e la P.; per i L. e stata depositata memoria da parte dell’avv. Pasquale Jannarelli con procura a margine dell’atto.
Motivi della decisione

1 – Con il primo motivo, deducendo la violazione e falsa applicazione dell’art. 873 cod. civ. e dell’art. 25 del regolamento edilizio della città di Foggia – in relazione al vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3 – i ricorrenti lamentano che la Corte distrettuale, nel ritenere che il box in cemento armato adibito a garage ed il soprastante terrazzino fossero a distanza inferiore alla legale, avrebbe erroneamente dato applicazione sia dell’art. 873 cod. civ. sia dell’art. 25 del regolamento edilizio della città di Foggia che prevedeva una distanza minima tra costruzioni di 15 metri, omettendo però di considerare che lo strumento urbanistico riguardava le distanze tra edifici fronteggianti, dotati di pareti finestrate, mentre nella fattispecie nel muro del box edificato a confine erano state ricavate delle mere "luci". 1/a – La doglianza sopra esposta non può essere condivisa in quanto il nuovo corpo di fabbrica edificato dai controricorrenti aveva la doppia funzione: da un lato di ricovero per auto – e in quel caso si poteva in astratto porre il problema sollevato dai ricorrenti-;

dall’altro di prolungamento della terrazza a livello del piano soprastante, e in questo secondo utilizzo violava le norme codicistiche – per quanto si andrà meglio ad argomentare infra – e regolamentari sulle distanze, prolungando parte dell’edificio sino al confine.

2 – Dal momento che la conseguenza di tale violazione determinava di per sè il diritto di riduzione in pristino stato di quella parte della costruzione posta a distanza inferiore alla regolamentare dal confine, viene con ciò superato il secondo motivo di ricorso con il quale i ricorrenti assumono che la contestata e concorrente violazione dell’art. 20 del regolamento edilizio – che vietava in modo assoluto la costruzione in zona di verde privato- non avrebbe comportato come conseguenza la riduzione in pristino ma solo il diritto al risarcimento del danno.

3 – Con il terzo motivo vien fatto valere il vizio di motivazione, determinato a sua volta da un’errata valutazione delle caratteristiche dell’opus novum posto in essere dai controricorrenti:

sostengono infatti i ricorrenti che l’originaria doglianza della P. riguardava l’affaccio che si sarebbe potuto effettuare dal piano di copertura del box – che a sua volta fungeva da prolungamento del terrazzo a servizio dell’appartamento sovrastante il ricovero per autovetture- e che tale affaccio non sarebbe stato immutato per effetto della costruzione del box atteso che, contrariamente al vero, non vi sarebbe stato un innalzamento del piano di campagna.

3/a – Il motivo sopraesposto è inammissibile non solo perchè prospetta un vizio revocarono – attinente dunque alla erronea percezione di dati fattuali emergenti dal processo – e non già un’erronea elaborazione argomentativa di elementi di fatto esistenti, ma anche perchè si limita a contestare l’affermazione del giudice di merito – circa l’immutamento del piano di campagna – senza il supporto di adeguata motivazione. Rimane quindi superato il pur evidente rilievo che il semplice fatto di aver ricavato delle luci a 50 cm da terra nella parete del box stava appunto a significare che la costruzione non poteva dirsi completamente interrata, condizione questa che, se esistente, avrebbe potuto rimettere in discussione la decisione della Corte territoriale.

3/b – Ininfluente è infine l’osservazione secondo la quale la rimozione della minima differenza di altezza tra piano di campagna preesistente e quello – utilizzando il solaio di copertura del box – dal quale si sarebbe potuta esercitare una veduta sul fondo del vicino, non avrebbe portato alcun sostanziale immutazione sulla preesistente possibilità di veduta diretta: ciò in quanto, come detto, l’irrilevanza presupposta nel ragionamento dei ricorrenti sarebbe stata riscontrabile solo se si fosse proceduto ad una mera pavimentazione della parte del terreno compreso tra la villetta dei deducenti e la linea confinaria, ritrovando, in ogni altro caso, applicazione il principio generale del rilievo pubblicistico – giustificante appunto la riduzione in pristino- del rispetto delle distanze tra costruzioni (sul punto del rilievo del non totale interramento dell’opera edilizia à fini dell’identificazione del concetto di costruzione vedi: Cass. 22127/2009; Cass 25837/2008;

Cass. 22086/2007; Cass. 20574/2007; Cass. 19350/2005).

4 – Con il quarto mezzo viene censurato il mancato esame dell’appello incidentale , erroneamente, secondo i ricorrenti, motivato dalla carenza di specifici motivi: la censura, che richiama genericamente il vizio di contraddittoria motivazione, è inammissibile in quanto, da un lato non viene spiegata l’aporia logica in cui sarebbe incorsa la Corte distrettuale e, dall’altro, manca la critica alla ragione giustificatrice posta a base dell’omesso esame, atteso che i ricorrenti si limitano a sottolineare la tempestività del gravame incidentale, aspetto questo sul quale la Corte di Appello non aveva fondato la propria decisione.

5 – Le parti ricorrenti vanno condannate al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità secondo quanto indicato in dispositivo.
P.Q.M.

LA CORTE Respinge il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese che liquida in Euro 2.700,00 per onorari di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre Iva, Cap e spese generali come per legge.

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