Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 27-01-2011) 23-02-2011, n. 6897 Violenza sessuale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con ordinanza del 14 settembre 2010 il Tribunale di Catania respingeva la richiesta di riesame formulata da G.A.S. avverso l’ordinanza del G.I.P. di Catania con la quale veniva applicata, nei suoi confronti, la misura cautelare della custodia in carcere per il reato di cui all’art. 609 bis c.p., per aver ripetutamente palpato il seno ed il pube della nipote minore mentre si trovava in compagnia della stessa e di altra giovane su una spiaggia libera comunale.

Avverso l’ordinanza il G. proponeva ricorso per Cassazione.

Con un primo motivo di ricorso denunciava la violazione di legge ed il vizio di motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, asserendo che il provvedimento impugnato sarebbe del tutto carente di adeguata motivazione, ciò anche con riferimento alla mancata riqualificazione del fatto come episodio di lieve entità, riconducibile nella fattispecie di cui all’art. 609 bis c.p., u.c..

Con il secondo motivo di ricorso deduceva la violazione di legge in relazione all’art. 274 c.p.p., lett. c) ritenendo che il giudizio prognostico negativo, formulato in sede di riesame, fosse del tutto astratto o meramente ipotetico, in quanto contenente generici riferimenti alla sola eventualità di reiterazione del reato.

Con il terzo motivo di ricorso lamentava la manifesta illogicità della motivazione in relazione alla adeguatezza della misura, che riteneva comunque non proporzionata alla gravità dei fatti, nonchè al diniego di applicazione della meno afflittiva misura degli arresti domiciliari.

Insisteva, pertanto, per l’accoglimento del ricorso.
Motivi della decisione

Il ricorso è infondato.

Va preliminarmente ricordato che, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, il ricorso per Cassazione in materia, di misure cautelari personali deve riguardare esclusivamente la violazione di specifiche norme di legge o la manifesta illogicità della motivazione entro i limiti indicati dalla norma, con la conseguenza che il controllo di legittimità non può riferirsi alla ricostruzione dei fatti o censure che, seppure formalmente rivolte alla motivazione, si concretino in realtà nella prospettazione di una diversa valutazione delle circostanze già prese in considerazione dal giudice di merito (v. da ultimo, Sez. 5, n. 46124,15 dicembre 2008).

Con specifico riferimento al ricorso per Cassazione per vizio di motivazione del provvedimento del Tribunale del riesame, in merito alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza, si osservato che alla Corte "spetta il compito di verificare, in relazione alla peculiare natura del giudizio di legittimità e ai limiti che ad esso ineriscono, se il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l’hanno indotto ad affermare la gravità del quadro indiziario a carico dell’indagato, controllando la congruenza della motivazione riguardante la valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie" (SS. UU., n. 11,2 maggio 2000).

Sono stati posti, dunque, limiti precisi entro i quali deve svolgersi il giudizio di legittimità, il quale non può sconfinare in un ulteriore valutazione del merito, anche quando, pur alla luce degli "altri atti del processo specificamente indicati nei motivi di gravame", l’intero contesto motivazionale del provvedimento impugnato sia congruo e non venga intaccato dalle specifiche allegazioni del ricorrente.

Date tali premesse, si osserva come l’ordinanza del Tribunale di Catania sia del tutto immune da censure.

In particolare, si rileva come l’ordinanza impugnata abbia dato compiutamente atto della sussistenza dei presupposti di legge posti a sostegno della misura cautelare impugnata.

In particolare, i giudici del riesame hanno considerato, senza alcun cedimento logico, la comprovata esistenza di gravi indizi di colpevolezza desumibili dalla circostanza che i fatti per cui si procede sono stati commessi in presenza di un ufficiale di polizia giudiziaria il quale, libero dal servizio, interveniva dopo aver assistito direttamente all’episodio e sono stati confermati dalla compagna dello stesso, che si trovava sul posto, oltre che dalla parte offesa nella denuncia sporta subito dopo.

I giudici indicavano, peraltro, la certa attendibilità delle dichiarazione raccolte che fornivano una minuziosa ricostruzione dei fatti tale da evidenziare, peraltro, la sicura volontarietà dell’azione, la sua reiterazione e la mancanza di consenso della minore la quale, al contrario, veniva indicata come evidentemente in preda ad un forte disagio.

Altrettanto adeguata appare, inoltre, la motivazione laddove esclude l’applicabilità dell’ipotesi di lieve entità in considerazione del fatto che i palpeggiamenti erano stati più volte ripetuti e che l’episodio era avvenuto in luogo pubblico.

Invero, come questa Corte ha avuto modo di osservare, l’attenuante di cui all’art. 609 bis c.p., u.c. può essere applicata allorquando vi sia una minima compressione della libertà sessuale della vittima, accertata prendendo in considerazione le modalità esecutive e le circostanze dell’azione attraverso una valutazione globale che comprenda il grado di coartazione esercitato sulla persona offesa, le condizioni fisiche e psichiche della stessa, le caratteristiche psicologiche valutate in relazione all’età, l’entità della lesione alla libertà sessuale ed il danno arrecato, anche sotto il profilo psichico (Sez. 3, n. 40174, 6 dicembre 2006; n. 1057, 17 gennaio 2007; n. 45604, 6 dicembre 2007).

Si è ulteriormente precisato che, per l’applicazione dell’attenuante in questione, non è sufficiente la mancanza di congiunzione carnale tra l’autore del reato e la vittima (Sez. 3, n. 14230, 4 aprile 2008;

n. 10085, 6 marzo 2009).

Alla luce dei summenzionati principi, che il Collegio condivide e dai quali non intende discostarsi, nessuna censura può muoversi alla impugnata decisione.

Adeguata, conforme a legge e coerentemente argomentata appare, inoltre, la valutazione delle esigenze cautelari con riferimento al pericolo di reiterazione del reato.

Sul punto il ricorrente si limita a rilevare la genericità del giudizio prognostico formulato dal Tribunale del Riesame che, al contrario, risulta fondato sulla lucida esposizione delle ragioni che hanno indotto a ritenere il ricorrente un soggetto propenso ad esternare le proprie pulsioni ed istinti in modo del tutto incontrollato in ragione delle modalità dell’azione posta in essere nei confronti della giovane vittima con la quale sussiste una relazione parentale.

Del tutto infondate appaiono, infine, le censure mosse al provvedimento impugnato con riferimento alla mancata applicazione di una misura custodiale meno afflittiva.

La valutazione operata dai giudici del riesame risulta, anche in questo caso, del tutto condivisibile e perfettamente in linea con il dettato normativo e la sentenza n. 265 del 21 luglio 2010 della Corte Costituzionale che il ricorrente richiama.

Viene infatti dato atto della circostanza che gli arresti domiciliari nella stessa città darebbero la possibilità al prevenuto di esercitare pressioni e condizionamenti nell’ambito della cerchia parentale, con conseguenze evidenti anche sull’attività di indagine in corso, finalizzata ad accertare se il comportamento posto in essere costituisca un episodio isolato o sia sintomo di una condotta abitualmente tenuta in ambito familiare.

Il ricorso deve pertanto essere rigettato con le consequenziali determinazioni indicate nel dispositivo.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.

La Corte dispone inoltre che copia del presente provvedimento sia trasmessa al Direttore dell’Istituto Penitenziario competente, a norma dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52 in quanto disposto d’ufficio.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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