Cass. civ. Sez. II, Sent., 07-04-2011, n. 8004 Cessione di alloggio popolare ed economico in proprietà

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con citazione notificata il 4/4/1995 S.I. conveniva in giudizio davanti al Tribunale di Roma l’Istituto Autonomo Case Popolari della Provincia di Roma (d’ora innanzi, per brevità, indicato con la sigla IACP) esponendo:

– di essere assegnataria dal 1962 di alloggio di proprietà dello IACP;

di avere manifestato la volontà di riscattare l’immobile, ai sensi della L. n. 513 del 1977, art. 27 con lettera 11/10/1977 con la quale ribadiva la medesima volontà già espressa con racc.ta 8/7/1977;

– che lo IACP con comunicazione 18/3/1985 le aveva proposto l’acquisto dell’alloggio al prezzo di L. 16.144.000; il prezzo era accettato con raccomandata del 13/7/1985.

Sulla base di tali premesse assumeva che il contratte dì compravendita doveva ritenersi concluso e che doveva ritenersi trasferita la proprietà per effetto dell’accettazione della proposta; chiedeva, quindi, l’accertamento del trasferimento della proprietà e in subordine sentenza costitutiva del trasferimento della proprietà.

Lo IACP si costituiva, eccepiva il difetto di giurisdizione e contestava nel merito la domanda.

Con sentenza 2 – 22/11/2001 il Tribunale di Roma rigettava la domanda dell’attrice la quale proponeva appello.

La Corte di Appello di Roma con sentenza 6/9/2004 rigettava l’impugnazione sulla base del seguente percorso motivazionale:

– preliminarmente riteneva che, maturati i presupposti per l’assegnazione, l’assegnatario fosse titolare di un diritto soggettivo perfetto al trasferimento della proprietà del bene e, quindi, rigettava l’eccezione di difetto di giurisdizione;

rigettava la richiesta dell’appellante di stralcio della documentazione che in primo grado lo IACP aveva chiesto di produrre e che non era stata ammessa dal giudice in quanto ritenuta produzione tardiva; la Corte osservava che l’appellato, con la produzione del fascicolo di primo grado e del relativo indice, aveva inteso riproporre all’esame del giudice i documenti non ammessi dal giudice di prime cure;

rilevava che con la comunicazione 18/3/1985 Lo IACP aveva esplicitamente affermato che il trasferimento della proprietà avrebbe potuto attuarsi solo con la stipulazione dell’atto di cessione e subordinatamente alla verifica della regolarità amministrativa del rapporto locatizio pendente con la richiedente; al riguardo la Corte di Appello richiamava una decisione di questa Corte (Cass. 6923/1997) per la quale l’effetto traslativo della proprietà resta subordinato alla ricognizione della sussistenza dei presupposti con a conseguenza che l’ente proprietario o gestore, prima del trasferimento della proprietà, poteva ancora rilevare ragioni di decadenza o di revoca dell’assegnazione (sul punto era citata Cass. n. 6123/2001);

– rilevava che l’attrice aveva ceduto la disponibilità dell’immobile a propri congiunti che si erano Trasferiti nell’immobile oggetto di cessione nel Gennaio 1980 ed aveva verosimilmente trasferito la propria dimora abituale in altro appartamento di sua proprietà, contravvenendo al divieto di sublocazione previsto dal D.P.R. n. 1265 del 1956, art. 27 ed incorrendo nella decadenza dall’assegnazione sin dal momento dei la violazione del divieto senza possibilità di sanatoria o prescrizione del potere-dovere dell’IACP di far valere la decadenza anche sotto forma di eccezione alla pretesa dell’assegnatario di ottenere sentenza sostitutiva del trasferimento della proprietà. Avverso La sentenza popone ricorso per Cassazione la S. affidandolo a cinque motivi.

Resiste con controricorso l’Azienda Territoriale per l’Edilizia Residenziale Pubblica del Comune di Roma (ATER), quale successore dello IACP per effetto della L.R. Lazio n. 30 del 1922 e del decreto 427 dell’11/11/2003 del Presidente della Giunta Regionale del Lazio;

la S. ha depositato memoria; non è stato ammesso alla discussione l’avv. M. Vassallo, irritualmente costituitasi per ATER con procura a margine di memoria invece che con procura notarile.
Motivi della decisione

Con il primo motivo la ricorrente deduce un error in procedendo (ex art. 345 c.p.c., comma 3) e la violazione nel principio del contraddittorio perchè la Corte di Appello non ha accolto la richiesta di stralcio dal fascicolo del primo grado della documentazione non ammessa dal Tribunale in quanto tardiva e, in tal modo, avrebbe violato il principio del contraddittorio e il diritto di difesa rispetto a documenti che secondo la ricorrente avrebbero dovuto essere da lei ignorati. Il motivo è infondato.

La documentazione non ammessa in quanto tardiva in primo grado poteva essere ammessa ai sensi dell’art. 345 c.p.c., comma 3 che nella formulazione antecedente alla riforma di cui alla L. n. 69 del 2009 consentiva la produzione in appello di nuovi documenti, per tali dovendosi intendere anche i documenti non ammessi in primo grado in quanto irritualmente prodotti. Questa Corte ha ripetutamente affermato che il documento irritualmente prodotto in primo grado può essere nuovamente prodotto in secondo grado nel rispetto delle forme previste dall’art. 87 disp. att. c.p.c.; tuttavia, ove il documento sia inserito nel fascicolo di parte di primo grado, munito di indice e questo sia depositato all’atto della costituzione unitamente al fascicolo di secondo grado, si deve ritenere raggiunta – ancorchè le modalità della produzione non corrispondano a quelle previste dalla legge – la finalità di mettere il documento a disposizione della controparte, in modo da consentirle l’esercizio del diritto di difesa, onde l’inosservanza delle modalità di produzione documentale deve ritenersi sanata (Cass. 19/6/2009 n. 14338; Cass. 22/1/2002 n. 696).

Tali principi, pienamente condivisibili, devono qui essere riaffermati e sono stati correttamente applicati, dalla Corte territoriale.

2. Con il secondo motivo la ricorrente deduce violazione della L. n. 513 del 1977, artt. 27 e 28 in quanto il giudice di appello non avrebbe considerato:

che l’art. 27 consentiva all’assegnatario di confermare la domanda di trasferimento in proprietà dell’immobile entro prefissato termine che era stato osservato;

che l’art. 27, comma 2 (novellato dalla L. n. 513 del 1977, art. 52 stabiliva che "si considera stipulato e concluso il contratto di compravendita qualora l’ente proprietario o gestore abbia accettato La domanda di riscatto e comunicato all’assegnatario il relativo prezzo di cessione qualora non previsto per legge";

– che alle domande confermate si dovevano applicare le disposizioni dell’art. 28 il quale, a sua volta, non poneva alcuna condizione per il riscatto se non la tempestiva proposizione della domanda.

Il motivo è infondato e inconferente rispetto alla ratio decidendi della decisione impugnata che non dubita che tale sia il portato precettivo delle suddette norme, ma che fondatamente ne esclude l’applicabilità per la finalità traslativa invocata dall’attrice in quanto:

– l’ente proprietario aveva specificato che la cessione in proprietà era subordinata alla verifica della "regolarità amministrativa e contabile del rapporto locatizio";

sin da data anteriore alla domanda di cessione e precisamente dal 1980 l’attrice era decaduta dall’assegnazione ai sensi del D.P.R. n. 1265 del 1956, art. 27 per essere contravvenuta al divieto, ivi stabilito, di sublocazione dell’immobile, da intendersi comprensivo di qualsiasi forma di cessione stabile dell’alloggio a terzi, indipendentemente dalla configurabilità degli elementi propri della locazione.

– La pronuncia di decadenza ha mera natura dichiarativa ed opera nel momento stesso della violazione del divieto, senza possibilità di sanatoria (Cass. 6395/2000; Cass. 16628/2008).

In conclusione la Corte di Appello non ha applicato retroattivamente la decadenza, ma ha preso atto che la decadenza si era verificata addirittura prima della domanda di trasferimento con la conseguenza che tale domanda era stata proposta da un soggetto che non era più assegnatario; la conclusione è conforma alla consolidata giurisprudenza di questa Corte per la quale in tema di assegnazione di alloggi economici e popolari la natura "legale" di decadenza prefigurata dalla L. n. 1265 del 1956, art. 27, fa sì che essa si produca a seguito della verificazione del mero fatto della locazione o cessione in uso a terzi dell’alloggio (in assenza di apposita autorizzazione dell’ente proprietario) e, quindi, della violazione dell’esplicito divieto di legge. Ciò comporta che qualsiasi (eventuale) provvedimento emesso in sede giudiziaria o amministrativa, contenente la pronunzia sulla decadenza (per la verificazione dei presupposti di legge), ha mera natura dichiarativa dell’avvenuta estinzione "di diritto" all’assegnazione dell’alloggio, verificatasi nel momento stesso della violazione del divieto, senza possibilità di sanatoria o di prescrizione del potere – dovere dell’ente (esercitatile anche in sede giudiziaria ed anche sotto forma di eccezione alla pretesa dell’assegnatario di ottenere sentenza sostitutiva dell’atto di trasferimento della proprietà dell’alloggio, ex art. 2932 cod. civ.) di far valere la decadenza (Cass. 19/6/2008 n. 16628, con riferimento alle assegnazioni con patto di futura vendita, ma affermando principi applicabili anche alle assegnazioni in locazione semplice; cfr. anche Cass. S.U. n. 4903 del 1993). Il giudice, in presenza dell’eccezione di decadenza, è obbligato a svolgere il relativo accertamento e, se accerta (come è avvenuto in concreto) che il diritto all’assegnazione dell’alloggio si è estinto (a causa della violazione del divieto di cessione in uso) prima del pagamento del prezzo pattuito per la cessione dell’immobile, non può che rifiutare l’emissione della sentenza ex art. 2932 c.c. Tali osservazioni escludono, dunque, sia la necessità dell’espletamento di un apposite procedimento amministrativo che pervenga all’accertamento ed alla dichiarazione della decadenza, sia la necessità che nel giudizio in concreto sperimentato l’ente proprietario formuli una "domanda riconvenzionale" tendente alla stessa dichiarazione. Nella specie, correttamente l’ente si è limitato ad eccepire l’inesistenza del diritto dell’assegnatario ad ottenere l’alloggio in proprietà, in ragione dell’avvenuta decadenza (cfr. Cass. 17/5/2000 n. 6395).

3. Con il terzo motivo la ricorrente deduce la violazione dell’art. 1326 c.c. che disciplina la conclusione del contratto; essa assume che il contratto doveva ritenersi già concluso per effetto dell’intervenuto accordo sul prezzo e sulle modalità di pagamento.

La censura si ricollega al rilievo per il quale la L. n. 513 del 1977, art. 27 come modificato dalla L. n. 457 del 1978, art. 52 stabilisce che si considera stipulato e concluso il contratto di compravendita qualora l’ente proprietario o gestore abbia accettato la domanda di riscatto e comunicato all’assegnatario il relativo prezzo di cessione qualora non previsto per legge. La censura è infondata perchè non è rilevante l’avvenuta presentazione, da parte dell’assegnatario, di domanda di trasferimento in proprietà, ancorchè potesse ritenersi accettata (ma, come detto, l’accettazione non vi era stata in quanto espressamente e doverosamente subordinata alla previa verifica (iella regolarità amministrativa e contabile del rapporto locatizio), atteso che l’accettazione non preclude alla P.A., nell’esercizio dei poteri ad essa spettanti, una dichiarazione di decadenza per sopravvenuto accertamento di comportamenti anteriori, impedita, invece, soltanto dall’atto di trasferimento della proprietà dell’alloggio, che definitivamente sottrae il bene a patrimonio dell’ente ed all’esercizio di quei poteri di tutela;

infatti, come ripetutamente affermato da questa Corte, la disposizione sopra richiamata va intesa non nel senso della costituzione ope legis del vincolo contrattuale, ma in quello della definitività del diritto dell’assegnatario a conseguire la cessione mediante stipula del contratto di compravendita; tuttavia fino a tale momento l’ente proprietario o gestore conserva il potere di rilevare ragioni di decadenza dai diritti collegati all’assegnazione (Cass. 16628/2008; Cass. 11334/2007; Cass. 7211/1994). Solo per completezza di argomentazione, ulteriormente si osserva che in tema di trasferimento in proprietà di alloggi di edilizia residenziale pubblica già assegnati in locazione semplice, il diritto potestativo di trasformare la locazione in proprietà immediata, non produce per il solo fatto del suo esercizio il trasferimento automatico della proprietà dell’alloggio all’assegnatario, ma conferisce a quest’ultimo il diritto (personale) alla stipula del contratto di cessione della proprietà; questo principio è applicabile anche dopo l’entrata in vigore della L. 8 agosto 1977, n. 513, art. 27 come integrato dalla L. 5 agosto 1978, n. 457, art. 52 e deve escludersi che possa essere interpretato nel senso che la norma, nella ricorrenza dei presupposti ivi indicati, abbia ammesso il trasferimento immediato ed automatico del diritto di proprietà dell’alloggio in favore dell’assegnatario (Cass. n. 800/1997).

4. Con il quarto motivo la ricorrente deduce violazione del D.P.R. n. 1035 del 1972, art. 17, della L. n. 457 del 1978, art. 55, della L.R. Lazio n. 33 del 1987, art. 30 e il vizio motivazionale assumendo che:

4.1 la Corte di Appello ha fatto applicazione, per rilevare la decadenza, di una norma non applicabile alla fattispecie in quanto regolante le assegnazioni con patto di futura vendita, mentre la presente controversia attiene ad una assegnazione in locazione semplice;

4.2 la decadenza non si sarebbe mai verificata perchè M. A., figlia della S. e occupante l’alloggio, già abitava con la madre ai momento dell’assegnazione dell’alloggio e vi ha continuato ad abitare, insieme alla S., dopo il matrimonio;

4.3 non è mai intervenuto alcun provvedimento di rilascio, nè dichiarazione di decadenza a carico dell’occupante, nè lo IACP avrebbe potuto decidere sulla decadenza essendo questo potere riservato L. n. 457 del 1978, ex art. 5 e L.R. Lazio n. 33 del 1987, art. 30 alla competenza del Sindaco di Roma.

4.4 non e provata la disponibilità di altro alloggio da parte della S., nè il suo trasferimento in altra abitazione.

5.1 la censura sub 4.1, relativa all’erronea indicazione delle disposizione normativa relativa alla decadenza comporta semplicemente la correzione della motivazione posto che la decadenza, per il caso di specie, è prevista dal D.P.R. n. 1035 del 1972, art. 11, commi 9 e 10; per i quali l’alloggio assegnato deve essere stabilmente occupato dall’assegnatario e l’inosservanza di tale obbligo comporta la decadenza dall’assegnazione; in fatto il giudice del merito ha accertato che la S. aveva trasferito la sua dimora abituale in altro luogo sin da epoca precedente la domanda di cessione in proprietà e pertanto ha correttamente ritenuto che l’assegnataria fosse decaduta dall’assegnazione e dai diritti che derivavano dalla condizione di assegnataria.

5.2 le censure sub 4.2 e 4.4 possono essere esaminate congiuntamente in quanto si risolvono in una critica alla motivazione in fatto del giudice del merito e sono quindi inammissibili; questa Corte ha ripetutamente evidenziato come il ricorso per cassazione, con il quale si facciano valere vizi di motivazione della sentenza impugnata a norma dell’art. 360 c.p.c., n. 5, debba contenere, in ottemperanza al disposto dell’art. 366 c.p.c., n. 4, la precisa indicazione di carenze o lacune nelle argomentazioni, ovvero di illogicità consistenti nell’attribuire agli elementi di giudizio un significato fuori dal senso comune, od ancora d’incoerenza tra le varie ragioni esposte e quindi di un’assoluta incompatibilità razionale degli argomenti usati e di un’insanabile contrasto degli stessi; nel caso di specie, invece, la censura, fondata su mere, labiali affermazioni di parte, con richiamo a documenti dei quali questa Corte non ha conoscenza in quanto non riprodotti in ricorso, integra un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e dei convincimenti del giudice del merito e postula un nuovo giudizio sul fatto estraneo alla natura ed alle finalità del giudizio di legittimità. (Cass. n. 6123/2001).

5.3 Con la censura sub 4.3 si contesta la possibilità di eccepire nel giudizio ordinario in via di eccezione per paralizzare la domanda avversaria essendo mancava una previa declaratoria di decadenza.

Il motivo deve essere rigettato per le considerazioni già in precedenza svolte: la Corte territoriale, ha correttamente fatto applicazione dei principi già affermati da Cass. n. 6395/2000 e che qui si condividono, secondo i quali in tema di assegnazione di alloggi economici e popolari con patto di futura vendita (ma il principio è applicabile anche alla assegnazione in locazione semplice), la natura "legale" di decadenza prefigurata fa sì che essa si produca a seguito del mero verificarsi del fatto al quale la legge ricollega la decadenza e pertanto la stessa può essere accertata e dichiarata anche a seguito della eccezione dell’ente proprietario che si oppone alla pretesa dell’assegnatario di ottenere sentenza sostitutiva dell’atto di trasferimento della proprietà dell’alloggio, ex art. 2932 cod. civ. 6. Con il quinto motivo la ricorrente lamenta l’omesso esame della domanda di risarcimento danni per l’oggettivo ritardo dello IACP a provvedere in merito alla richiesta di cessione in proprietà dell’alloggio. Con riferimento al danno da ritardato accoglimento della domanda di cessione in proprietà, la reiezione è implicita nel rigetto della domanda di cessione in proprietà essendo, all’evidenza, impossibile liquidare un danno per il mancato accoglimento di una pretesa infondata.

Con riferimento alla domanda di risarcimento del danno per il ritardo nell’emettere un qualunque provvedimento la censura è inammissibile per difetto di autosufficienza: la parte che impugna una sentenza con ricorso per cassazione per omessa pronuncia su una domanda (o anche su una eccezione) ha l’onere, per il principio di autosufficienza del ricorso, a pena di inammissibilità, di specificare in quale atto difensivo o verbale di udienza l’ha formulata, per consentire al giudice di verificarne la ritualità e tempestività, e quindi la decisività della questione, e perchè, pur configurando la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. un "error in procedendo", per il quale la Corte di cassazione è giudice anche del "fatto processuale", non essendo tale vizio rilevabile d’ufficio, il potere – dovere della Corte di esaminare direttamente gli atti processuali non significa che la medesima debba ricercarli autonomamente, spettando, invece, alla parte indicarli (Cass. 17/1/2007 n. 978;

Cass. S.U. 14/5/2010 n. 11730).

Nel caso concreto, mentre dall’intestazione della sentenza di appello risulta formulata una domanda risarcitoria "per omesso tempestivo adempimento e per la mancanza di trasparenza", riferita alla mancata tempestiva stipulazione del contratto di compravendita, sia nella sentenza di appello, sia nel ricorso manca ogni specifico riferimento a una domanda risarcitoria formulata in primo grado con riferimento al danno da ritardo nell’emettere anche un provvedimento di semplice rigetto della richiesta.

7. Le spese di lite, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza della ricorrente.
P.Q.M.

LA CORTE rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a pagare al resistente le spese di questo giudizio di cassazione che si liquidano in complessivi Euro 2.700,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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