Cons. Stato Sez. VI, Sent., 18-02-2011, n. 1030 Rapporto di pubblico impiego

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1) Il professor D.M., inserito dall’anno scolastico 199394 nelle graduatorie ministeriali per il conferimento delle supplenze nei corsi ex l. 157 del 1971 di livello medio all’estero nella circoscrizione consolare di Stoccarda a seguito di superamento delle relative prove presso l’Istituto italiano di Cultura, chiede la riforma della sentenza n. 4308 del 2005 con la quale il Tar del Lazio ha respinto il ricorso n. 7763 del 1998 proposto per il riconoscimento del rapporto a tempo determinato e dei correlati diritti giuridici ed economici, nonché per l’annullamento di ogni atto contrario a tale riconoscimento, compreso il provvedimento che ha trasferito all’Ente nazionale Acli Istruzione professionale la gestione dei corsi in applicazione della legge 3 marzo 1971, n. 153.

Espone l’appellante che l’assunzione non è stata formalizzata con una nomina a supplente temporaneo, ma con un incarico professionale autonomo conferito dall’Istituto suddetto mediante la stipula di accordi a scadenza trimestrale o semestrale, via via rinnovati e che, a partire dalla seconda metà dell’anno scolastico 199798, sarebbero stati mascherati mediante l’interposizione fittizia dell’Ente nazionale Acli Istruzione professionale; tuttavia, l’attività svolta in forza di tali accordi sarebbe identica a quella propria del personale insegnante di ruolo o precario.

La sentenza impugnata ha respinto il ricorso, sul presupposto della natura privatistica del regime di lavoro del personale utilizzato dall’Istituto italiano di Cultura, ai sensi dell’art. 17 legge 29 dicembre 1990, n. 401, recante "riforma degli istituti italiani di cultura ed interventi per la promozione della cultura e della lingua italiana all’estero", e dell’art. 13 del decreto del Ministero degli affari esteri 27 aprile 1995, n. 392, di approvazione di norme sull’organizzazione, il funzionamento e la gestione finanziaria ed economico patrimoniale di tali istituti.

Con il gravame in esame, l’appellante – nel riproporre le censure di primo grado – la lamentato la mancata applicazione della normativa contrattuale collettiva e, in particolare, dell’art. 18 del contratto collettivo nazionale per il comparto scuola del 1995, sul presupposto della esistenza di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato con il Ministero degli affari esteri.

2) Ritiene la Sezione che la sentenza impugnata merita conferma.

Dall’esame della documentazione acquisita, risulta che il ricorrente è stato inserito dall’anno scolastico 199394 nella graduatoria ministeriale per il conferimento di supplenze nei corsi previsti dalla legge 3 marzo 1971, n. 153, e che in forza di tale utile inserimento ha ottenuto l’incarico dall’Istituto italiano di Cultura, a decorrere da tale anno, per l’insegnamento di lingua e cultura italiana nella circoscrizione di Stoccarda.

L’art. 9 della legge appena citata prevede, infatti, che, "qualora non fosse possibile od opportuno utilizzare il personale insegnante di ruolo…, il Ministero degli affari esteri ha la facoltà di assumere insegnanti incaricati o supplenti scelti tra coloro che siano in possesso del prescritto titolo di studio od abbiano comprovata esperienza specifica, siano forniti, possibilmente, del requisito della cittadinanza italiana e abbiano conoscenza della lingua locale o almeno di una delle principali lingue straniere".

Avvalendosi di tale norma, e dell’art. 17 comma 2 legge 22 dicembre 1990, n. 401, che analogamente dispone, l’Istituto ha stipulato con l’appellante un contratto di libera prestazione d’opera, sulla base del diritto tedesco.

Già in base al mero dato letterale è evidente che l’assunzione,avvenuta mediante l’esercizio della facoltà ministeriale riconosciuta dalle norme appena citate, non è in alcun modo assimilabile ad una incardinazione nel pubblico impiego, dove la nomina in ruolo per di più procede dalla formalizzazione e dalla successiva utilizzazione di una graduatoria; contrariamente a quanto ha dedotto l’appellante, si deve allora convenire che lo scorrimento della graduatoria non necessariamente deve sfociare nella instaurazione di un rapporto di impiego di ruolo del soggetto così individuato, e non ne costituisce, perciò, indice inequivocabile di esistenza.

Nel caso del personale assunto mediante incarico dall’Istituto italiano di Cultura, come nel caso dell’appellante, le stesse norme che consentono l’utilizzazione del personale a contratto hanno espressamente escluso che si possa instaurare un rapporto di pubblico impiego di ruolo: l’art. 13, comma 4, del decreto del Ministero degli affari esteri, contenente, come detto, norme sull’organizzazione, sul funzionamento e sulla gestione finanziaria ed economico patrimoniale di tali Istituti, espressamente prevede, al comma 4, che l’utilizzazione del personale a contratto ai sensi del comma 2 dell’art. 17 della legge 22 dicembre 1990, n. 401, possa essere disposta solo per contratti di lavoro autonomo di cui al titolo III del libro V del codice civile italiano, e, al comma 7, che i contratti stessi devono prevedere una clausola espressa che sancisca che in nessun caso il rapporto di dipendenza può comportare l’assunzione nei ruoli dell’Amministrazione degli affari esteri.

Inoltre, per quanto più specificamente riguarda il personale docente e non docente assunto dagli enti, associazioni, comitati o scuole locali previste dall’art. 6 legge 3 marzo 1971, n. 153 (tra i quali rientra l’Istituto in discorso), l’art. 1 della legge 22 maggio 1980, n. 232, nel prevedere la concessione di contributi in denaro da parte del Ministero, ribadisce ancora una volta "la natura privatistica del relativo rapporto d’impiego".

In base al regime normativo che regola la fattispecie, deve quindi escludersi l’esistenza di un rapporto di pubblico impiego tra l’Amministrazione e l’appellante; né un tale rapporto potrebbe risultare dalla invocata applicazione dell’art. 2 comma 2 legge 18 aprile 1962, n. 230, posto che costituisce principio ormai consolidato, dal quale il Collegio non ha motivo di discostarsi, che la conversione in rapporto di lavoro a tempo indeterminato dei rapporti a tempo determinato reiterati nel tempo si possa verificare nel pubblico impiego solo nei casi tassativamente previsti da una specifica fonte normativa, che peraltro risulti rispettosa dei principi espressi dall’art. 97 della Costituzione (per tutte, Consiglio Stato, sez. V, 18 marzo 2010, n. 1581).

3) In conclusione, l’appello deve essere respinto, anche nella parte relativa alla pretesa violazione del contratto collettivo nazionale del comparto scuola, la cui applicazione si riferisce al personale docente delle scuole statali, situazione nella quale non rientra, come si è visto, l’appellante.

Le spese del secondo grado del giudizio seguono, come di regola, la soccombenza, e si liquidano in dispositivo.
P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull’appello in epigrafe indicato n. 107 del 2006, lo respinge e, per l’effetto, conferma la sentenza impugnata.

Condanna l’appellante a rifondere all’Amministrazione intimata le spese di questo grado del giudizio, nella misura di 3.000 (tremila) euro.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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