Cons. Stato Sez. VI, Sent., 18-02-2011, n. 1027 Vincoli storici, archeologici, artistici e ambientali zone di rispetto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, con la sentenza in epigrafe, definitivamente pronunciando su sei ricorsi, tra di loro riuniti, incardinati sub R.G. nn. 7559/1997, 17039/1997, 12269/1998, 11421/1999, 6854/2001, 6174/2002, tutti proposti da T.A. nei confronti del Ministero per i beni culturali e ambientali, della Soprintendenza per i beni ambientali ed architettonici di Roma e del Comune di Roma, e relativi alla realizzazione, in un terreno di proprietà del ricorrente, di una struttura museale aperta al pubblico destinata ad accogliere la famosa "collezione T.", di statue antiche greco romane, provvedeva come segue:

– (i) dichiarava l’inammissibilità del primo ricorso (R.G. n. 7559/97), proposto avverso la nota 24 febbraio 1997 n.1512/DG del Ministero per i beni culturali e ambientali, escludendo che l’atto impugnato avesse un vero e proprio contenuto provvedimentale lesivo, e ritenendo che lo stesso si esaurisse in una risposta di cortesia a un primo sondaggio informale del ricorrente dai connotati non definiti, preliminare alla presentazione di un progetto dettagliato o, quantomeno, di un progetto di massima, relativo a due edifici da realizzare in Roma, Viale Regina Margherita, in un’area non edificata, nonché rilevando che i contatti preliminari con il Ministero facevano riferimento a un progetto redatto dall’arch. Moretti (c.d. progetto Moretti), in seguito abbandonato e superato da un progetto successivo redatto dall’arch. Sciarrini (c.d. progetto Sciarrini), che prevedeva una diversa sistemazione dell’area e una diversa consistenza volumetrica, con sequela di carenza d’interesse a ricorrere;

– (ii) respingeva il secondo ricorso (R.G. n. 17039/1997), proposto ad impugnazione della determinazione dirigenziale n. 2213 del 16 ottobre 1997 del Comune di Roma, avente ad oggetto il diniego di concessione edilizia per l’area di Viale Regina Margherita, rilevando per un verso l’inammissibilità del ricorso per carenza d’interesse in seguito al superamento del progetto Moretti, presentato a corredo dell’istanza di concessione, e ritenendolo per altro verso comunque infondato nel merito, in quanto alla luce del primo motivo di diniego, ritenuto legittimo dal Tribunale, a seguito di precedente annullamento in parte qua delle previsioni del P.r.g. di Roma, disposto in sede giurisdizionale, l’area interessata dal progetto era venuta a trovarsi in zona priva di strumento urbanistico, ubicata all’interno del centro abitato, nella quale erano consentite soltanto opere di restauro e risanamento conservativo, manutenzione ordinaria e straordinaria e risanamento igienico, mentre, in base al secondo motivo di diniego, pure ritenuto legittimo dai primi giudici, l’entità del massiccio intervento edilizio proposto – il progetto Moretti prevedeva, invero, la realizzazione di due edifici residenziali con una volumetria di 15.620 mc – non poteva ritenersi compatibile con il contenuto del vincolo ex l. n. 1089/1939, imposto sull’area interessata dal progetto con d.m. 5 agosto 1963, n. 188983, contenente la testuale previsione di "non escludere la possibilità di assentire una limitata cubatura compatibile con il carattere monumentale del complesso";

– (iii) dichiarava l’inammissibilità del terzo ricorso (R.G. n. 12269/98), proposto avverso la determinazione del consiglio comunale di Roma n. 128 del 24 luglio 1998, testualmente volta ad "assumere ogni iniziativa utile alla collocazione delle statue romane della collezione T. nell’edificio T. di Via della Conciliazione oppure in un padiglione dell’ex Mattatoio o edificio similare dell’Amministrazione comunale, escludendo l’ipotesi di collocare la collezione in un nuovo edificio nell’area di Villa Albani", ritenendola espressione del generale potere di indirizzo e di programmazione delle attività culturali svolte dal Comune e priva di valenza lesiva della posizione del ricorrente;

– (iv) dichiarava l’improcedibilità del quarto ricorso (R.G. n.11421/1999), diretto ad affermare l’obbligo delle Amministrazioni intimate a provvedere sulla diffida, con la quale il ricorrente, ripercorrendo l’iter della vicenda amministrativa e giurisdizionale, aveva chiesto che fosse dichiarato "l’obbligo delle suddette amministrazioni di portare a termine il procedimento per realizzare l’accordo di programma per l’utilizzazione museale edilizia dell’area indicata", rilevando che la conferenza di servizi si era pronunziata, sia pure negativamente, con conseguente sopravvenuta carenza d’interesse;

– (v) dichiarava l’inammissibilità del quinto ricorso (R.G. n. 6854/2001), proposto avverso i verbali relativi alle riunioni della conferenza di servizi del 24 luglio, 6 settembre e 5 ottobre 2000, nonché avverso la nota 30 ottobre 2000, prot. n. B7656, del Soprintendente per i beni ambientali e architettonici di Roma, sulla base del duplice rilievo della mancata notificazione al Comune di Roma, competente dal punto di vista edilizio ed urbanistico al rilascio della eventuale concessione edilizie e comunque titolare di competenze in seno alla conferenza di servizi, nonché della natura endoprocedimentale degli atti impugnati, facenti parte del dibattito interno alla conferenza e dunque privi di autonoma valenza esterna;

– (vi) respingeva nel merito il sesto ricorso (R.G. n. 6174/2002), proposto avverso il provvedimento del 19 marzo 2002, con cui il Segretario generale presso il Ministero per beni e le attività culturali, quale commissario ad acta nominato con ordinanza n. 6005/2001 del Tribunale amministrativo per il Lazio, aveva definito negativamente la procedura di accordo di programma iniziata nel 1997 presso il Ministero medesimo per il mancato raggiungimento di un’intesa tra le amministrazioni e la parte privata con conseguente "rigetto, allo stato degli atti, di tutte le istanze autorizzatorie… per i motivi emersi nel corso della discussione e riassunti nel predetto verbale" (v. così, testualmente, il gravato provvedimento negativo), ritenendo infondate le censure di carenza d’istruttoria e di motivazione mosse avverso tale provvedimento;

– (vii) dichiarava le spese di causa interamente compensate fra le parti.

2. Avverso tale sentenza interponeva appello il ricorrente soccombente, formulando i seguenti motivi (nell’ordine esposto nel ricorso in appello):

– a) erroneo rigetto del ricorso R.G. n. 6174/2002, di cui sopra sub 1.vi), sotto vari profili;

– b) erronea dichiarazione d’inammissibilità del ricorso R.G. n. 6854/2001, di cui sopra sub 1.v), non rilevando l’omessa notifica al Comune di Roma, giammai qualificabile come controinteressato alla conservazione degli atti gravati, e dovendosi agli atti impugnati attribuire carattere immediatamente lesivo della posizione di esso appellante;

– c) erronea dichiarazione d’inammissibilità del ricorso R.G. n. 17039/97, di cui sopra sub 1.ii), intendendo esso appellante, contrariamente alle affermazioni contenute nella gravata sentenza, "mantenere in vita il progetto Moretti nonché l’interesse alla sua realizzazione soprattutto alla luce della illegittimità del diniego di concessione edilizia, insistendo nella domanda di annullamento, per gli esposti motivi, del provvedimento citato" (v. così, testualmente, p. 18 del ricorso in appello), nonché erronea reiezione nel merito dei motivi di ricorso formulati in primo grado;

– d) erronea dichiarazione d’inammissibilità del ricorso R.G. n. 7559/1997, di cui sopra sub 1.i), dovendosi per un verso attribuire all’atto gravato natura lesiva, e non comportando la presentazione di un nuovo progetto l’abbandono di quello precedente.

2.1. Quanto alla statuizione declinatoria in rito relativa al ricorso R.G. n.11421/1999, di cui sopra sub 1.iv), l’appellante – pur censurando l’interpretazione dell’atto di diffida assunta dal Tribunale amministrativo regionale a conforto della declaratoria della carenza d’interesse relativamente alle pregresse fasi della vicenda contenziosa – affermava che "è evidente l’intervenuta cessazione della materia del contendere in quanto, a seguito delle determinazioni cautelari, è stato realizzato il risultato della ripresa del procedimento e della sua definizione" (v. così, testualmente, p. 14 del ricorso in appello).

2.2. Quanto alla declaratoria d’inammissibilità del ricorso R.G. 12269/1998, di cui sopra sub 1.iii), dichiarava di prendere atto dell’assenza di lesività dell’atto impugnato.

3. Costituendosi, le appellate Amministrazioni statali contestavano la fondatezza dell’impugnazione chiedendone il rigetto

4. Si costituiva altresì l’appellato Comune di Roma, resistendo e chiedendo il rigetto del ricorso in appello.

5. All’udienza pubblica del 23 novembre 2010 la causa veniva trattenuta in decisione.
Motivi della decisione

1. Al fine di delimitare l’ambito oggettivo del presente giudizio d’appello giova puntualizzare che, per effetto dell’acquiescenza prestata dall’odierno appellante alle statuizioni (in rito) della gravata sentenza, di cui sopra sub 1.iii) e 1.iv), le stesse esulano dal devolutum, sicché nulla è dato statuire al riguardo.

Va inoltre precisato, che l’interpretazione dell’atto di diffida del 3 maggio 1999, proposta dai primi giudici a p. 16 della gravata sentenza dopo essere pervenuti alla declaratoria d’improcedibilità, di cui sopra sub 1.iv) – onde trarne delle ulteriori conclusioni a conforto del proprio "convincimento…in ordine alla sostanziale carenza di interesse relativamente alle pregresse fasi della vicenda contenziosa (in particolare con riferimento al diniego di concessione edilizia), di fronte al nuovo strumento utilizzato da tutte le parti in causa, dell’accordo di programma, per il cui positivo esito il ricorrente aveva ritenuto di ridimensionare e modificare il progetto Moretti inizialmente presentato" (v., così, testualmente, p. 16 della gravata sentenza) -, esula dall’iter argomentativo che ha condotto alla statuizione d’improcedibilità e costituisce, nell’ambito del capo di sentenza in esame, un obiter, venendo piuttosto in rilievo come elemento motivazionale a sostegno della declaratoria d’inammissibilità delle vicende processuali pregresse, in ispecie dei ricorsi precedentemente incardinati sub R.G. nn. 7559/97 e 17039/1997, dichiarati inammissibili con le statuizioni sub 1.i) e 1.ii), talché le critiche mosse avverso detta interpretazione dall’odierno appellante, riportate sopra sub 2.1., vanno considerate in sede di esame dei motivi di appello formulate avverso tali statuizioni.

2. Prima di affrontare i singoli motivi d’appello, si osserva in linea di fatto che, sulla base delle risultanze della documentazione versata in giudizio e degli scritti difensivi, devono ritenersi incontrovertibilmente comprovati i seguenti dati di fatto, anche relative alle pregresse vicende processuali:

– il ricorrente e odierno appellante, proprietario della Villa Albani in Roma (oggi, Villa T.) soggetta a vincolo monumentale assoluto, è altresì proprietario di un’area adiacente sita in Viale Regina Margherita, acquistata dai suoi danti causa agli inizi del secolo scorso e confinante con Villa Albani, Via Adda, Viale Regina Margherita e Via Savoia;

– detta area è stata sottoposta a vincolo ex l. 1 giugno 1939, n. 1089 con d.m. 5 agosto 1963, n. 188983, implicante non un divieto di edificabilità assoluto ma relativo, e dunque l’obbligo di sottoporre gli eventuali progetti edilizi all’autorizzazione dell’autorità preposta alla tutela del vincolo (v. il citato decreto ministeriale in atti, il quale tra l’altro testualmente prevede che il vincolo "non esclude la possibilità di assentire una limitata utilizzazione edilizia compatibile con i caratteri monumentali del complesso", in funzione della tutela dell’"armoniosa composizione architettonica complessiva");

– il Piano regolatore generale di Roma, approvato con d.P.R. 16 dicembre 1965, destinava l’area di cui sopra a parco privato con divieto assoluto di nuove costruzioni, e di conseguenza il Comune respingeva una prima domanda di concessione edilizia, perché in contrasto con la destinazione di P.r.g., oltreché per motivi estetici;

– con d.P.R. 2 marzo 1995, in accoglimento di ricorso straordinario proposto dal T., il P.r.g. di Roma è stato annullato in parte qua, e l’adito Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, con sentenza 2 maggio 1996, n.775, annullava il provvedimento di diniego di concessione edilizia;

– a seguito dell’annullamento del P.r.g., all’area non risulta essere stata impressa una nuova destinazione urbanistica;

– dopo ulteriori vicende contenziose, in data 17 ottobre 1997, in ottemperanza alle suddette pronunzie, il Comune di Roma notificava il provvedimento (oggetto del gravame R.G. n.17039/97, di cui sopra sub 1.i), con il quale respingeva l’istanza di concessione edilizia, presentata sulla base del progetto Moretti;

– il progetto Moretti prevedeva la realizzazione di due edifici residenziali con una volumetria complessiva di 15.620 mc, mentre il progetto Sciarrini, presentato in epoca successiva in sede di procedimento diretto alla definizione di un accordo di programma per risolvere la complessa questione di sistemazione museale, architettonicoambientale ed ediliziourbanistica dell’area, prevedeva la realizzazione di un fabbricato di almeno 21.000 mc fuori terra, di cui soli 6.800 mc ca. destinati a specifica funzione museale, oltre a volumi interrati di 8.973 mc per la realizzazione di un parcheggio multipiano, per una cubatura totale di 30.852 mc.

2.1. Scendendo alla disamina ei singoli motivi d’appello, nell’ordine proposto dallo stesso appellante, si osserva che infondato è il primo motivo sub 2.a), formulato avverso la statuizione sub 1.vi), di reiezione del ricorso R.G. n. 6174/2002, proposto avverso il provvedimento del 19 marzo 2002, con cui il Segretario generale del Ministero per beni e le attività culturali, quale commissario ad acta nominato con ordinanza n. 6005/2001 del 28 settembre 2001 del Tribunale amministrativo per il Lazio, aveva definito negativamente la procedura di accordo di programma iniziata nel 1997 presso il Ministero medesimo, per il mancato raggiungimento di un’intesa tra le amministrazioni e la parte privata, con conseguente "rigetto, allo stato degli atti, di tutte le istanze autorizzatorie…per i motivi emersi nel corso della discussione e riassunti nel…verbale" (v. così, testualmente, il gravato provvedimento negativo).

Giova premettere che l’ordinanza n. 6005/2001 del 28 settembre 2001 del Tribunale amministrativo per il Lazio, pronunciata in attuazione di precedente ordinanza cautelare (confermata in appello), con la quale era stata accolta l’istanza di sospensiva proposta avverso il provvedimento negativo tacito formatosi sull’atto di diffida notificato il 6 maggio 1999, invitava "le autorità intimate a porre sollecitamente in essere ogni utile e concreta iniziativa, finalizzata allo svolgimento e alla conclusione dell’iter procedimentale preordinato all’eventuale formazione dell’accordo di programma, ipotizzato nella prospettiva di una definitiva soluzione della questione dedotta in lite".

Orbene, ritiene il Collegio che il provvedimento conclusivo negativo adottato dal commissario ad acta non costituisca altro che la corretta presa d’atto delle differenti posizioni assunte dalle Amministrazioni partecipi del procedimento, in insormontabile contrasto con le proposte progettuali dell’odierno appellante (progetto Sciarrini), specie con riguardo alla rilevata incompatibilità con il contenuto del decreto di vincolo che, come sopra esposto, prevedeva una limitata utilizzazione edilizia dell’area interessata dal progetto, "compatibile con i caratteri monumentali del complesso", e, secondo l’assunto delle Amministrazioni, avrebbe consentito la realizzazione di una qualche limitata cubatura a funzione pertinenziale e/o accessoria, incompatibile con la previsione progettuale di una cubatura fuori terra di 21.000 mc oltre ai volumi interrati (v. verbale riassuntivo del 7 marzo 2002 della conferenza di servizi istruttoria e gli atti ivi richiamati, in ispecie, la nota del Ministero per i beni culturali e ambientali del 2 dicembre 1997, evidentemente riferita al progetto Sciarrini).

Si aggiunga che, come chiaramente emerge dal citato verbale conferenziale, fino alla conclusione del procedimento sono rimaste indefinite le reali intenzioni progettuali dell’odierno appellante, essendo stato formalizzato il solo progetto Moretti, mentre il progetto Sciarelli, sebbene oggetto di valutazione in seno al procedimento teso alla definizione dell’accordo di programma, è sempre rimasto fermo a un progetto di massima, con conseguente impossibilità, rilevata dal rappresentante del Comune, dell’elaborazione di soluzioni concrete sotto il profilo urbanistico ed edilizio, cui si aggiungeva la mancata soluzione delle esigenze museali e di quelle relative alla tutela del vincolo impresso sull’area.

A fronte di tale situazione, il provvedimento negativo adottato dal commissario ad acta a definizione del procedimento si è risolta nell’obbligata presa d’atto – peraltro, "allo stato degli atti" – della situazione di stallo creatasi tra i portatori dei vari interessi, pubblici e privati, coinvolti nella vicenda, e – come puntualmente rilevato dai primi giudici – si sottrae alle censure di carenza d’istruttoria e di difetto di motivazione formulate dal ricorrente.

2.2. Infondato è, altresì, il secondo motivo d’appello sub 2.b), atteso il corretto rilievo, nell’impugnata sentenza, della natura endoprocedimentale degli atti impugnati (verbali relativi alle riunioni della conferenza di servizi del 24 luglio, 6 settembre e 5 ottobre 2000, nonché nota 30 ottobre 2000, prot. n. B7656, del Soprintendente per i beni ambientali e architettonici di Roma), privi di autonoma rilevanza esterna, con assorbimento di ogni altra correlativa questione.

2.3. In reiezione del terzo motivo d’appello sub 2.c), s’impone la considerazione assorbente della condivisibile affermazione, contenuta nell’impugnata sentenza e basata, tra l’altro, su una corretta lettura interpretativa del sopra citato atto di diffida, che il progetto Moretti, oggetto del gravato diniego di concessione edilizia, doveva ritenersi superato dal successivo progetto Sciarrini, con conseguente carenza d’interesse a coltivare il ricorso.

Dirimente appare, al riguardo, che l’odierno appellante, insistendo nella coltivazione del ricorso proposto avverso il provvedimento conclusivo negativo del procedimento teso al raggiungimento di un accordo compositivo dei contrastanti interessi, vertente sul progetto Sciarrini, dimostrava l’attualità e concretezza del suo interesse all’approvazione del progetto da ultimo menzionato, con ciò ponendo in essere una condotta processuale incompatibile con la coltivazione del ricorso volto all’annullamento del provvedimento diniego del progetto precedente. A fronte di siffatta condotta processuale, la mera affermazione, nel ricorso d’appello, del persistente interesse all’approvazione anche del progetto Moretti e alla coltivazione del correlativo ricorso giudiziale, si risolve in una vera e propria protestatio contra factum proprium idonea a rendere indeterminato lo stesso oggetto del contendere, e dunque inammissibile.

Resta assorbito ogni altro profilo del motivo in esame.

2.4. Le stesse, identiche considerazioni valgono a disattendere il quarto motivo d’appello, di cui sopra sub 2.d), con l’aggiunta che il Tribunale amministrativo regionale a ragione ha rimarcato la natura non provvedimentale della gravata nota, per il suo univoco tenore letterale correttamente qualificata mera "risposta di cortesia ad un primo sondaggio informale del T. dai connotati non definiti, preliminare alla presentazione di un progetto dettagliato o, quanto meno, di un progetto di massima" (v. così, testualmente, l’impugnata sentenza).

3. Considerato l’esito della causa, l’appellante va condannato a rifondere alle parti appellate le spese del presente grado, come liquidate in parte dispositiva.
P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta),

definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto,

lo respinge e, per l’effetto, conferma l’impugnata sentenza;

condanna l’appellante a rifondere alle parti appellate (Comune di Roma per un verso e Amministrazioni statali per altro verso) le spese del grado, che si liquidano, in favore di ciascuna delle predette appellate, nell’importo complessivo di euro 3.500,00 oltre agli accessori di legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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