Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 27-01-2011) 23-02-2011, n. 6890 Sequestro preventivo

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

D.I.D. proponeva ricorso per Cassazione avverso il provvedimento del Tribunale del Riesame di Pistoia – in data 14 giugno 2010 – con il quale veniva respinto il ricorso contro il decreto, emesso il 6 maggio 2010 dal G.I.P. presso il Tribunale di Pistoia e con il quale veniva imposto il sequestro preventivo di un automezzo Nissan Vanette Cargo, di sua proprietà, in quanto utilizzato per il trasporto di rifiuti speciali non pericolosi in assenza di iscrizione all’Albo Nazionale Gestori Ambientali e, per tali ragioni, in violazione di quanto disposto dal D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 256, commi 1 e 4 in relazione all’art. 212, comma 8.

Con il primo motivo di ricorso denunciava la violazione e falsa applicazione dell’art. 365 c.p.p., comma 1 in relazione all’art. 370 c.p.p., comma 2, in quanto alla persona sottoposta alle indagini non era stato richiesto se fosse assistita da un difensore di fiducia e non era stato comunque assegnato un difensore d’ufficio, rilevando, inoltre, che il difensore non era stato avvisato della facoltà di assistere alle operazioni di sequestro e che di tale facoltà non era stata comunque data informazione all’indagato.

Rilevava, a tale proposito, che il Tribunale del Riesame si era limitato a rinviare, sul punto, ad isolata giurisprudenza di questa Corte, non tenendo conto delle puntuali critiche mosse al provvedimento impugnato e della restante giurisprudenza di legittimità che riconosceva, invece, il diritto dell’indagato presente all’esecuzione del sequestro – sia esso probatorio o preventivo – di essere destinatario del menzionato avviso nonchè alla possibilità, per il difensore, di assistere alle operazioni di sequestro.

Osservava, inoltre, che il sequestro impugnato non era stato accompagnato dalla consegna di un’informazione di garanzia nè conteneva tutti gli elementi indicati dall’art. 369 c.p.p..

Con il secondo motivo di ricorso lamentava la violazione e falsa applicazione dell’art. 321 c.p.p., comma 1 e violazione dell’art. 125 c.p.p., comma 3 per omessa motivazione in ordine alla sussistenza dei presupposti per sequestro preventivo, osservando che l’effettuazione del trasporto di rifiuti in assenza delle condizioni di legge non legittimava, di per sè, la misura reale, atteso che il mezzo ben poteva essere utilizzato per scopi leciti e che su tale punto i giudici del riesame non avevano fornito adeguata risposta alle doglianze della difesa.

Con il terzo motivo di ricorso denunciava la illegittimità costituzionale del D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 259, comma 2, articolandola su due diversi profili, entrambi ritenuti manifestamente infondati dal Tribunale del Riesame.

A tale proposito, rilevava, in primo luogo, il contrasto della richiamata disposizione con l’art. 25 Cost., comma 3, artt. 76 e 77 Cost. in quanto la previsione della confisca eccedeva i limiti della delega formulata dal Parlamento con la L. n. 308 del 2004, il cui contenuto non contemplava la possibilità di prevedere specifiche misure di sicurezza.

In secondo luogo, evidenziava che il menzionato D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 259 si poneva in contrasto anche con gli art. 3, 24, 25, 27 e 111 Cost. per il fatto che la misura di sicurezza patrimoniale, a fronte di una responsabilità penale prevista dall’art. 256 per tutti i soggetti coinvolti in attività di illecita gestione di rifiuti, colpisce esclusivamente il proprietario del mezzo di trasporto e ciò anche nel caso in cui, rispetto ad altri concorrenti, egli abbia svolto un ruolo minimale nella complessiva attività penalmente sanzionata.

Osservava, inoltre, che la segnalata disparità di trattamento appariva ancor più ingiustificata alla luce del generico richiamo operato dall’art. 259 all’art. 256 D.Lgs. n. 152 del 2006, che consentirebbe l’applicazione della confisca anche nelle ipotesi di mera inosservanza delle prescrizioni contemplate dal cit. art. 256, comma 4, nonchè riguardo all’ipotesi di reato contemplata dall’art. 258, comma 4 che pure prevede la confisca del mezzo di trasporto, incidendo più pesantemente sulla persona del trasportatore rispetto ad altri soggetti eventualmente concorrenti nel reato.

Richiamando, infine, le modifiche apportate nel tempo al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 212, comma 8, osservava che una interpretazione costituzionalmente orientata di tale disposizione avrebbe dovuto indurre, in caso di trasporto di rifiuti in conto proprio, a non applicare la confisca, dovendosi ritenere il rinvio operato dall’art. 259 come rinvio "fisso" e non "mobile" e, per tale ragione, riferito alle violazioni dell’art. 256 in relazione all’art. 212, comma 8 nella sua originaria formulazione, antecedente al D.Lgs. n. 4 del 2008 che ha esteso l’obbligo di iscrizione all’Albo Gestori Ambientali anche alle imprese che effettuano il trasporto dei propri rifiuti.

Insisteva, pertanto, per l’accoglimento del ricorso.
Motivi della decisione

Il ricorso è infondato perchè non sussistono le denunciate violazioni di legge.

Deve infatti rilevarsi, con riferimento al primo motivo di ricorso, che correttamente i giudici del riesame hanno richiamato l’orientamento di questa Corte, che il Collegio condivide, in tema di esecuzione di sequestro preventivo ed obbligo dell’avviso al difensore di fiducia dell’indagato ovvero di avviso all’indagato della facoltà di farsi assistere dal difensore di fiducia.

Si è infatti osservato in un primo tempo, a tale proposito, che il codice di rito nulla prevede in tal senso e che, nella fattispecie, non sono applicabili le disposizioni contenute nell’art. 365 c.p.p. in quanto la misura cautelare reale corrisponde ad esigenze diverse da quelle previste per il sequestro probatorio e che sono quelle di evitare che la libera disponibilità del bene possa protrarre o aggravare le conseguenze del reato o determinare la commissione di altri reati. Non riguardando le indagini preliminari, pertanto, non può trovare applicazione una disposizione ad esse espressamente riferita (Sez. 3, n. 1266,20 maggio 1999).

L’assenza di specifiche indicazioni sulle garanzie difensive in precedenza richiamate e la conseguente inapplicabilità delle disposizioni in tema di sequestro probatorio sono state successivamente ribadite (Sez. 3, n. 40970, 5 dicembre 2002).

Più recentemente, la decisione richiamata nel provvedimento impugnato (Sez. 4, n. 42512, 5 novembre 2009, coni n. 37937, 26 ottobre 2010) ha precisato come il sequestro probatorio attenga alle indagini del Pubblico Ministero o della polizia giudiziaria e tale sua caratteristica renda necessaria, all’atto dell’esecuzione, l’assicurazione di garanzie difensive nei limiti fissati dal codice di procedura non richiesta, invece, per la misura reale la quale, pervenendo da un soggetto processuale neutrale quale è il giudice, non richiede analoghe garanzie.

La richiamata decisione evidenzia, inoltre, che la distinzione trova peraltro coerente riscontro nelle diverse conclusioni cui deve giungersi allorquando il sequestro preventivo sia eccezionalmente eseguito di iniziativa ai sensi dell’art. 321, comma 3 bis dalla polizia giudiziaria, poichè in tal caso viene a verificarsi la stessa situazione prevista per il sequestro probatorio, con la conseguenza che l’esclusione dell’avviso sarebbe incongrua (v. Sez. 3, n. 20168, 30 maggio 2005).

Il ricorrente pone peraltro l’accento sulla circostanza che il sequestro preventivo non è avvenuto di iniziativa da parte della polizia giudiziaria, essendo stato dalla stessa eseguito su delega del Pubblico Ministero, con conseguente applicabilità del disposto dell’art. 370 c.p.p., comma 2, che richiama espressamente l’art. 365.

Tale assunto, tuttavia, non implica in alcun modo una diversa considerazione dei principi in precedenza menzionati.

L’art. 370 c.p.p., infatti, si riferisce ad atti di indagine del Pubblico Ministero, diretti o delegati alla polizia giudiziaria, effettuati per le specifiche finalità cui sono destinati e consistenti, in sostanza, nelle determinazioni inerenti l’esercizio dell’azione penale la cui natura rende evidente la necessità del presidio difensivo.

Nel caso del sequestro preventivo disposto dal giudice, al contrario, il Pubblico Ministero si limita a curare l’esecuzione del provvedimento secondo quanto dispone l’art. 104 disp. Att. C.p.p. il quale, a sua volta, richiama il precedente art. 92.

Si tratta di attività di mera esecuzione di un provvedimento, emesso dal giudice previa valutazione della sussistenza dei presupposti di legge, che non può essere in alcun modo equiparabile alle diverse attività cui si riferisce l’art. 370 c.p.p., tanto è vero che nel caso in cui il Pubblico Ministero, nell’ambito della attività di esecuzione del sequestro preventivo, adotti provvedimenti specifici quali, ad esempio, lo sgombero di un fabbricato per il quale è stata disposta la misura reale, si ritiene che questi rientrino nell’ambito dei poteri esecutivi attribuitigli dall’art. 655 c.p.p., con la conseguenza che l’eventuale illegittimità deve essere fatta valere davanti al giudice dell’esecuzione, cui spetta il potere di revocare o modificare l’atto (cfr. Sez. 3 n. 3924,28 gennaio 2010).

Altrettanto irrilevante è la mancanza, in ogni caso, della preventiva informazione di garanzia ovvero della presenza di tutti i suoi contenuti nel provvedimento cautelare emesso dal G.I.P. Come si è già avuto modo di osservare, infatti, la natura di "atto a sorpresa" del provvedimento di sequestro preventivo esclude la necessità del previo avviso dell’informazione di garanzia e ""agli effetti del congruo esercizio del diritto di difesa, è lo stesso provvedimento impositivo del vincolo reale ad essere, a quel fine, atto "autosufficiente", giacchè la motivazione che lo assiste, non può non enunciare – in positivo – l’intera gamma dei presupposti su cui si radica l’applicazione della misura" (così Sez. 2, n. 25694, 24 giugno 2008).

Deve pertanto nuovamente affermarsi il principio secondo il quale il Pubblico Ministero, nel delegare la polizia giudiziaria ad effettuare un sequestro preventivo disposto dal giudice si limita a curare l’esecuzione del provvedimento secondo quanto dispone l’art. 104 disp. att. c.p.p. il quale, a sua volta, richiama il precedente articolo 92. Trattandosi di attività di mera esecuzione di un provvedimento emesso dal giudice previa valutazione della sussistenza dei presupposti di legge, non può essere in alcun modo equiparata alle diverse attività cui si riferisce l’art. 370 c.p.p.. Non sussiste, pertanto, l’obbligo del previo avviso al difensore di fiducia dell’indagato della esecuzione del sequestro disposto dal giudice, nè sussiste l’obbligo per la polizia giudiziaria di avvisare l’indagato della facoltà di farsi assistere da un difensore di fiducia. Non è inoltre dovuta la preventiva informazione di garanzia nè è richiesta la presenza di tutti i suoi contenuti nel provvedimento cautelare emesso dal G.I.P. Anche con riferimento al secondo motivo di ricorso, le doglianze del ricorrente risultano destituite di fondamento.

I giudici del riesame hanno adeguatamente dato atto della sussistenza di tutti i presupposti per l’emissione del sequestro e della loro corretta valutazione da parte del G.I.P., considerando la circostanza che il mezzo in sequestro era stato adibito al trasporto di rifiuti in assenza del prescritto titolo abilitativo, come accertato da verifica documentale operata dalla polizia giudiziaria, che lo stesso aveva caratteristiche costruttive tipiche dei mezzi adibiti al trasporto di materiali ed osservando, in premessa, che la misura reale era stata applicata anche in ragione della prevista confisca obbligatoria.

Può conseguentemente affermarsi che la libera disponibilità di un veicolo destinato, per le intrinseche caratteristiche costruttive, al trasporto di materiali e già destinato al trasporto illecito di rifiuti dal proprietario titolare di impresa individuale il quale svolge attività comportante la produzione di rifiuti possa agevolare la commissione di altri reati e che l’indicazione di tali circostanze soddisfino adeguatamente l’obbligo di motivazione imposto al giudice.

Parimenti corretta è la conclusione cui il Tribunale del Riesame è giunto con riferimento alle dedotte questioni di legittimità costituzionale del D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 259, comma 2.

Il riferimento al ritenuto eccesso di delega appare del tutto inconferente, non solo per le ragioni illustrate dal Tribunale del Riesame, ma anche per il fatto che le previsioni della Legge Delega 15 dicembre 2004, n. 308 appaiono pienamente rispettate laddove la stessa impone, all’art. 1, comma 8, lett. i), come indicato in ricorso, di conformare gli emanandi decreti legislativi "al rispetto dei principi e delle norme comunitarie…ai seguenti principi e criteri direttivi generali… i) garanzia di una più efficace tutela in materia ambientale anche mediante il coordinamento e l’integrazione della disciplina del sistema sanzionatorio, amministrativo e penale, fermi restando i limiti di pena e l’entità delle sanzioni amministrative già stabiliti dalla legge".

Il D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 259 riproduce, infatti, il testo del D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 53 precedentemente in vigore e non ha, pertanto, introdotto alcuna innovazione rispetto alla previgente disciplina, con la quale sussiste peraltro sostanziale continuità, poichè la misura della confisca era già prevista in precedenza.

Altrettanto manifestamente infondata risulta la questione relativa alla ritenuta disparità di trattamento tra il proprietario del mezzo utilizzato per il trasporto illecito, che materialmente subisce la confisca e gli altri soggetti concorrenti nel reato.

Invero, questa Corte ha già avuto modo di precisare che la confisca prevista dalla normativa in tema di rifiuti è stata imposta dal legislatore a seguito di una evidente presunzione di pericolosità del mezzo di trasporto utilizzato per lo svolgimento dell’attività illecita e si giustifica non per la pericolosità intrinseca della cosa, ma per la funzione "generalpreventiva-dissuasiva" attribuitale dal legislatore con connotati repressivi propri delle pene accessorie e, pertanto, può prescindere dalla pericolosità intrinseca della cosa (Sez. 3, n. 10710,11 marzo 2009).

Tale scelta legislativa appare del tutto in linea con il dettato costituzionale e non determina alcuna disparità di trattamento tra i diversi soggetti concorrenti nel reato, essendo del tutto evidente che la stessa necessariamente opererà nei confronti del proprietario del veicolo, utilizzato per l’illecito trasporto anche dagli eventuali concorrenti nel reato la cui condotta, peraltro, è resa possibile proprio dalla disponibilità del mezzo fornita da chi ne è il proprietario.

Le posizioni dei singoli concorrenti in relazione al contributo fornito singolarmente per la realizzazione del reato andranno poi valutate dal giudice sulla base dei criteri generali previsti dal codice penale.

Del tutto infondata è, infine, la proposta soluzione interpretativa che riterrebbe inapplicabile la confisca all’ipotesi in esame senza tenere conto delle modifiche apportate dal D.Lgs. n. 4 del 2008, art. 212, comma 8 in tema di trasporto di rifiuti propri, atteso che se il legislatore avesse ritenuto di limitare l’applicabilità della confisca solo ad alcuni casi di trasporto illecito, avrebbe potuto farne espressa menzione.

Il maggior rigore, pertanto, appare voluto e non casuale poichè la modifica della richiamata disposizione si inseriva in una complessa e significativa, ancorchè incompleta, rivisitazione del D.Lgs. n. 152 del 2006.

Il ricorso deve pertanto essere rigettato con le consequenziali determinazioni indicate in dispositivo.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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